Allarme del Soccorso Alpino: “Troppi allo sbaraglio”

Il numero di escursionisti che affrontano ambienti impervi con assoluta approssimazione è in crescita“. A dirlo è Fabio Bristot, del Corpo nazionale del soccorso alpino, che racconta come i ‘frequentatori’ delle montagne siano negli anni incredibilmente, e talvolta in modo preoccupante, cambiati: “CAI, rifugisti, guide alpine sono stati spodestati da Google, i social e i loro influencer, in molti casi sprovveduti che possono arrivare a dare pericolosi ‘consigli’. La montagna, però, non è una moda ma la pratica d’una cultura che richiede accorgimenti e conoscenze“.

Allarme del Soccorso alpino: “Troppi allo sbaraglio”
di Sara De Pascale
(pubblicato su ildolomiti.it il 10 luglio 2023)

La montagna sta diventando una sorta di luna park, in cui approdare senza pagare il gettone“.
Non una frase fatta ma una considerazione che nasce quasi spontanea se si guarda ai dati raccolti dal Soccorso alpino: “Oggi molti partono senza aver nemmeno consultato una cartina o un bollettino meteo – anticipa Fabio Bristot, membro della direzione del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico, a Il Dolomiti In non pochi casi si preferisce affidarsi ai consigli dell’influencer di turno, mettendo a rischio la propria vita e quella dei soccorritori“.

I dati degli interventi del Soccorso alpino, a livello nazionale, relativi al 2023 sono ad oggi in calo rispetto a quelli del 2022 (guardando allo stesso periodo, NdR), “ma questo semplicemente perché negli scorsi mesi ha piovuto ininterrottamente per 40 giorni, riducendo notevolmente la frequentazione della montagna. Con l’arrivo delle belle giornate abbiamo già cominciato a notare un incremento non soltanto del numero di escursionisti e turisti ma anche di interventi“.

Si parla, per ora, di un 23% in meno rispetto allo scorso anno, per un totale di 3.541. Di questi, il 35.4% ha avuto a che fare con il recupero di escursionisti dispersi, infortunati o stanchi.
16.2% è invece la percentuale di interventi effettuati sulle piste da sci nei mesi invernali del 2023, mentre circa il 7% delle chiamate al soccorso alpino hanno riguardato il recupero di persone cadute in mountain bike.

Un fenomeno, quello delle mountain bike, che negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo straordinario, comportando l’aumento, altrettanto straordinario, dei nostri interventi (e la conseguente necessità di nuovi corsi di aggiornamento per i soccorritori, NdR). Siamo passati dai 282 del 2012 ai quasi 1.000 del 2022“, sottolinea Bristot.

Il significativo incremento ha riguardato, “purtroppo, anche le morti, che se un tempo erano pari a 2 o 3 all’anno, nel 2022 hanno raggiunto quota 17“.

Un numero, quello degli escursionisti, che negli anni è incredibilmente aumentato, mostrando anche dei cruciali cambiamenti, come aveva raccontato a Il Dolomiti anche la rifugista del Pian de Fontana Elena Zamberlan: “Un tempo si contattavano gli organi competenti come CAI, rifugisti o guide alpine per informarsi al meglio su di un percorso, con tanto di cartina geografica cartacea alla mano – prosegue – Oggi, questi ‘attori’ della montagna sono stati spodestati da Google, i social e i loro influencer, in molti casi sprovveduti che possono arrivare a dare pericolosi ‘consigli’. Ormai chiunque può creare ‘mode’ sui social: la montagna, però, non è un moda, ma la pratica d’una cultura“, che richiede accorgimenti e conoscenze.

I più sono convinti che per imparare a fare un nodo o una ferrata basti guardare un tutorial su internet: non c’è nulla di più sbagliato – fa notare Bistrot – Sebbene anch’io sia profondamente convinto che la montagna è di tutti, sono anche certo del fatto che, molti luoghi, non sono per tutti. Servono preparazione fisica e mentale, anche per le gite più ‘banali’“.

Prima di partire, secondo il vicepresidente del soccorso alpino, “è essenziale essere consapevoli della propria preparazione ed essere in grado di scegliere i compagni giusti“.

Insieme, risulterebbe importante anche “organizzare la propria uscita con qualche giorno d’anticipo, contattando guide alpine o le sezioni CAI per pianificare il tutto al meglio, raccogliendo informazioni sul posto in cui si vorrebbe andare“.

Risposte e informazioni che andrebbero ‘sommate’ alla consultazione del bollettino meteo e delle cartine geografiche cartacee: “Mai affidarsi ad applicazioni strane, che spesso e volentieri si rivelano essere farlocche, soprattutto per quanto concerne il meteo – rivela il membro della direzione del Soccorso alpino nazionale – Non sono mancati negli anni moltissimi escursionisti che si sono persi affidandosi meramente ai navigatori in internet – ricorda, raccontando un aneddoto – Ci è capitato di soccorrere un uomo che non soltanto aveva sbagliato montagna ma anche regione: si trovava in Friuli Venezia Giulia convinto di fare il giro del Pelmo“.

Episodi che, sebbene possano far sorridere alcuni, “per me sono sconsolanti. Alcune persone non si rendono conto del fatto che i soccorritori mettono a rischio le proprie vite per salvare gli altri”. Uno dei più grandi problemi, al giorno d’oggi, starebbe nel fatto che non si ha più voglia ‘di fare fatica’: non soltanto quella fisica ma anche quella ‘preliminare’, che ha anche vedere con un’organizzazione tale da permettere di eliminare i rischi prevedibili. Gli imprevisti, ovviamente, non li possiamo controllare”. Ciò significa quindi attrezzarsi, indossare abbigliamento tecnico (vestendosi “a cipolla”, NdR) con “calzature adatte, che fasciano la caviglia e zaini mai troppo pieni. Due terzi delle persone che soccorriamo scivolano a causa di scarpe non adatte“.

Capita ovviamente che il tizio di turno in espadrillas sul ghiacciaio non si faccia nulla mentre l’escursionista in scarponi cada, ma questo non significa che ci si possa sentire liberi di rischiare: per ogni recupero a muoversi sono mezzi costosi e particolari, nonché tecnici che, torno a ripetere, mettono in gioco le proprie vite“.

Insieme all’attrezzatura, il consiglio dei soccorritori è quello di dotarsi sempre di acqua, integratori ed alimenti nutrienti come frutta: “Niente mortadella o vongole”, ironizza.

Nello zaino non dovrebbero mai mancare anche torcia o un telo termico: “Pochi etti di peso, che possono fare davvero la differenza, soprattutto se ci si perde di notte“.

Non meno importante, nello zaino ci vorrebbe anche una “buona dose di senso della rinuncia: la montagna domani o fra un mese sarà sempre lì. Spesso manca la capacità di ‘abbandonare’ o tornare sui propri passi: troppi, non hanno consapevolezza dei propri limiti – prosegue Bristot – Il numero di soggetti che affrontano ambienti impervi con assoluta approssimazione è in crescita“, e a dimostrarlo sono proprio i dati e i resoconti forniti dal Soccorso alpino, fra le raffiche di interventi sulle ferrate o i recuperi di escursionisti stanchi e incapaci di proseguire

Andare in montagna dovrebbe equivalere non soltanto ad avere rispetto per quest’ultima ma anche e soprattutto per se stessi. Ogni anno ci sono sempre più escursionisti che si ritrovano in situazioni gravissime, o che addirittura perdono la vita, poiché s’incamminano con leggerezza e approssimazione. Non possiamo dare colpa alle app o agli influencer: la colpa sta in chi sceglie di andare in quota senza la giusta preparazione o attrezzatura. Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni – conclude Bristot suggerendo – Ora più che mai c’è l’urgenza di lanciare un grande programma (che CAI, Province e Regioni dovrebbero elaborare insieme, NdR) per sensibilizzare la gente, nel tentativo di far rivivere quella cultura che è andata (e sta andando sempre più) a perdersi“.

Il commento
di Carlo Crovella

Sono sempre più diffusi i casi in cui i componenti del Soccorso Alpino prendono posizione esplicite contro la ”montagna luna park”. La leggerezza degli sprovveduti mette a rischio anche i soccorritori, i quali stanno facendo trasparire il messaggio che “non hanno più tanta voglia” di rischiare per colpa degli sprovveduti.

Considerazione provocatoria: e se improvvisamente il CNSAS giungesse alla conclusione che il gioco non vale più la candela? Se interrompesse l’attività perché è diventata “troppo pericolosa” per i suoi componenti?

L’obbligo giuridico di soccorso sarebbe sempre garantito dalle altre strutture pubbliche ma, almeno nel breve termine, queste non hanno la stessa estensione numerica del CNSAS. Quindi, qualche problemino nel fronteggiare tutte le richieste di intervento andrebbe messo in preventivo…

Proprio a chi crede nella fondatezza etica del soccorso in montagna toccherebbe preoccuparsi di conservare le condizioni generali perché tale attività continui ad esistere senza alcun problema.

Gli sprovveduti non dovrebbero più esserci, perché dovrebbero acquisire consapevolezza: la deprecabile alternativa è il non concedere loro l’accesso alle montagne. La prima ipotesi è quella più “nobile” sul piano ideologico, ma presuppone la disponibilità degli attuali sprovveduti a voler davvero crescere.

Il che richiede profonde modifiche negli standard di approccio alla montagna. Consultare cartine, informarsi, “studiare” son tutte attività che costano fatica e impegno. Per chi ama davvero l’andar in montagna tutte queste attività collaterali sono addirittura fonte di gioia e di divertimento. Ma chi ha un approccio “mordi e fuggi” non arriverà mai a capire da solo che è opportuno seguire queste modalità, seppur “faticose”.

Il punto è cruciale: dati i numeri umani in gioco, ormai è giocoforza modificare i trend in atto fra i “fruitori” delle montagne. Uno sforzo che può essere solo collettivo.

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5 Comments

  1. Concordo ma…
    1 I rifugisti sono sempre più ristoratori e albergatori e sempre meno alpinisti (non sento nessuno parlarne in modo serio)
    2. I negozianti (specie nei negozi di montagna) consigliano attrezzatura per corsa in montagna a persone che sono abituata a camminare forse per qualche km su sterrato.
    Ci metti in mezzo i social e la consapevolezza che tanto mi soccorrono e il gioco è fatto.
    Io farei il soccorso gratis solo ai soci CAI che fanno regolarmente corsi di sicurezza in montagna
    Si, perché non basta nemmeno essere soci per il bollino. Il resto metterei un tariffario tipo 10.000 euro a soccorso (senza elicottero) e nel traiffario metterei le ipotesi di costo con intervento del elicottero. Così un po’ la aumenti la consapevolezza.
    Saluti

  2. says: Roberto

    D’accordo con quanto scritto
    Una proposta è fare pagare l’intervento del soccorso a coloro che in maniera evidente si avventurano in montagna senza adeguata attrezzatura
    Inoltre fare pagare l’intervento a chi chiama i soccorsi, ma poi non si fa trovare perché riesce a proseguire e non avvisa: ho letto resoconti di ricerche durate ore, mentre il chiamante era già in albergo, e non si è premurato di avvisare

  3. says: Luigi

    In funivia chiunque arriva ovunque come per una scampagnata, e probabilmente non ha mai camminato in pianura, senza sapere come e dove mettere i piedi su un sentiero o una pietraia; in e-bike chiunque arriva ovunque senza aver mai pedalato in pianura e senza sapere come si guida una bici. Ma l’importante è che i turisti spendano più soldi possibili in impossibili imprese. Nessuno stupore o ammirazione per il mistero della montagna. Solo poter dire che ci si è in qualche modo arrivati.

  4. says: Claudio

    Nei miei anni ho frequentato tutti i possibili corsi del CAI e con le Guide Alpine. Una volta in Grossvenediger sul ghiacciaio in mezzo alla bufera, senza bussola e altimetro, ne venimmo fuori soltanto con una cartina dell’Alpenverein e sapendo leggere il terreno su cui ci muovevamo. Con l’idea di andare a fare il Monte Bianco con le pelli di foca mi allenai per due anni con bici da strada, mountain bike, corsa, palestra, e ovviamente scialpinismo e fondo. Un semplice amatore che facesse adesso una cosa del genere verrebbe preso per matto da chi pretende di frequentare la montagna senza conoscerla per nulla.

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