Cicatrici centenarie

Il primo dicembre 1923 verso le 7.30 ci fu una grande tragedia in val di Scalve, in provincia di Bergamo. I morti accertati furono 356 e ancora oggi non ci sono certezze sul perché la diga sia crollata.

Cicatrici centenarie è un cortometraggio che racconta la storia della diga del Gleno, a cento anni dal crollo. La storia viene raccontata in prima persona dalla valle di Scalve, testimone del disastro. Le cicatrici sono i resti della diga, che invitano a una riflessione sulle conseguenze dell’agire umano.

Ciò che resta della Diga del Gleno

Guarda il cortometraggio Cicatrici centenarie.

Gli autori
Francesca Rinaldi
Nata a Udine il 22 novembre 2000, ha frequentato il Liceo classico J.Stellini e svolto un periodo di studio negli Stati Uniti nel 2018. Ha conseguito la laurea in Design del Prodotto industriale al Politecnico di Milano nel 2022. E’ attualmente iscritta al corso magistrale di Integrated Product Design nella medesima università. Nutre interesse per le discipline artistiche e musicali.


Giovanni Barone
Nato a Milano il 01 luglio 1997, ha diviso la sua infanzia e adolescenza fra il capoluogo lombardo e la Puglia. Ha conseguito la laurea in Design del Prodotto industriale al Politecnico di Milano nel 2022. E’ attualmente iscritto al corso magistrale di Integrated Product Design nella medesima università. Nutre interesse per la composizione di musica e per i prodotti del settore.

Marco Carrara
Nato a Bergamo il 23 giugno 1999, ha conseguito la laurea in Design del Prodotto industriale al Politecnico di Milano nel 2021. Dopo un anno da junior project manager presso un’azienda di settore, è attualmente iscritto al corso magistrale di Integrated Product Design nella medesima università. Nutre interesse per gli sport di squadra e il trekking.

L’altro Vajont
(il crollo della diga del Gleno e i 356 morti che l’Italia ha dimenticato)
di Embed
(pubblicato su veneto.corriere.it il 29 novembre 2023)

È il primo dicembre del 1923 quando in Val di Scalve, in provincia di Bergamo, crolla la diga del Gleno. I morti sono centinaia:356 quelli accertati. Una strage, un Vajont dimenticato. E un crollo sul quale ancora oggi, 100 anni dopo, non ci sono certezze. I ruderi della diga sono sempre lì in mezzo alla montagna, maestosi e spettrali, con quell’enorme squarcio che guarda sulla valle. Una gigantesca ferita che racconta una tragedia completamente cancellata dalla memoria del nostro Paese.

Ore 7.30
Il boato, il vento e poi la massa d’acqua che travolge tutto e tutti. Sono circa le 7.30 del mattino quando la struttura cede nella parte centrale e sei milioni di metri cubi di acqua iniziano a correre lungo la valle spazzando via interi paesi in Val di Scalve: Bueggio, subito sotto la diga, e poi Dezzo; Mazzunno e Corna di Darfo, in Valle Camonica (provincia di Brescia), fino a raggiungere il lago d’Iseo. Tutto in 45 minuti.

Perché è crollata?
Ancora oggi è difficile dire con certezza perché la diga sia crollata, come emerge anche da uno studio condotto nell’ultimo anno dall’Università di Bergamo (che in occasione del centenario della tragedia ha pubblicato un libro sul Gleno: «A partire da quel che resta»). Sulle ragioni del disastro ci sono diverse ipotesi: il cambio di progetto durante i lavori senza le autorizzazioni necessarie, errori di costruzione, piccoli eventi tellurici o, la più accreditata, l’utilizzo di materiali scadenti. Tutte possibilità, ma una risposta definitiva non c’è. Durante il processo si ipotizza anche un attentato dinamitardo, ci sono testimonianze che raccontano di un boato e perizie difensive che avvalorano questa idea ma, anche in questo caso, nessuna conferma.

Ciò che resta della Diga del Gleno

I fatti
I lavori per la diga iniziano nel 1916 e si concludono nel 1923. Un’opera all’avanguardia, per l’epoca. Inizialmente il progetto prevede la realizzazione di una diga a gravità, poi il cambio in corsa per passare a una ad archi multipli. Il risultato finale è una struttura imponente: lunga 260 metri a 1500 metri di altitudine. Un’opera voluta e fatta costruire da Virgilio Viganò, proprietario di cotonifici che necessitavano di energia idroelettrica a basso costo. Il 15 ottobre 1923 il bacino si riempie per la prima volta, è un periodo piovosissimo e dalla diga si verificano numerose perdite d’acqua. Che allarmano gli abitanti della valle. Eppure, il 22 ottobre, il capo del genio civile di Bergamo sale fino alla diga per un collaudo ufficioso e chiede al progettista, ingegner Santangelo, se si senta tranquillo. «Tranquillissimo» è la sua replica. Poco più di un mese dopo la diga crolla.

Il processo
Un anno più tardi inizia il processo. Gli imputati principali sono due: Virgilio Viganò, il proprietario, e Giovanni Santangelo, il progettista. Dopo 5 anni e centinaia di persone chiamate a testimoniare i due vengono giudicati colpevoli di disastro colposo con morte provocata. La condanna è però lieve: 3 anni e 4 mesi. Accusa e difesa presentano ricorso in appello ma Viganò muore prima della sentenza mentre Santangelo viene assolto per insufficienza di prove. Anche dal processo non emerge dunque una verità esaustiva.

La memoria
Il crollo della diga del Gleno colpisce molto l’opinione pubblica dell’epoca, per giorni la vicenda è sulle prime pagine dei giornali che per settimane costruiscono reportage con i loro inviati. In val di Scalve arrivano il re Vittorio Emanuele III e Gabriele D’Annunzio, per portare solidarietà alle popolazioni colpite. Manca però un mezzo potente come la televisione per documentare e diffondere quelle immagini così catastrofiche e, forse anche per questo, al di fuori della val di Scalve quasi nessuno oggi ricorda questa tragedia.

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