Camminare per curare l’anima

A 15 anni Daniele Matterazzo ha perso l’uso di un braccio. Con conseguenze fisiche e mentali. A 30 anni ha scoperto il cammino e poi le grandi attraversate a piedi come terapia per sé e come strumento per aiutare gli altri.

di Pietro Assereto

L’adolescenza è una fase delicata per tutti i ragazzi. Gli amici, i primi amori, i cambiamenti. Lo è ancora di più se si è costretti a nascondersi per una “diversità”, trascinando dietro di sé paure che pesano come macigni. La vita di Daniele Matterazzo è cambiata quando una mattina a Tombelle di Saonara, nel padovano, non ha rispettato una precedenza.

Dopo più di sette mesi in ospedale, riparte con una disabilità permanente al braccio e alla mano sinistra. Ma era dentro che qualcosa si era rotto. Daniele si è ritrovato grazie al cammino, che ha visto in lui l’impegno e la responsabilità che caratterizza anche il brand.

daniele matterazzo camminare 2

Ci vuoi raccontare il tuo percorso e la tua storia?
Prima dei 15 anni la mia era una storia come tanti altri adolescenti e la mia vita si poteva considerare normale. Ho poi avuto un incidente in motorino: non ho rispettato la precedenza e mi sono scontrato con un veicolo. Nell’urto ho subito un trauma cranico, danni agli organi interni, fratture varie e, cosa più importante, una sub amputazione dell’arto sinistro. Ho passato circa sette mesi in ospedale e, una volta dimesso, ho affrontato negli anni a seguire una quindicina di operazioni chirurgiche nel tentativo di ricostruire e recuperare l’arto danneggiato.

Quali sono state le conseguenze dell’incidente?
Ho accusato molto il colpo essendo successo in un’età delicata come quella adolescenziale. Ho avuto una difficoltà immensa fin da subito ad accettare quello che era successo e a rapportarmi con i miei coetanei. Esternare la mia condizione non era di certo facile. Ho passato tanti anni a vivere passivamente, evitando il più possibile situazioni che potessero recarmi disagio. Un periodo già difficile di suo per l’età, per me ancora di più.

Cos’è successo dopo?
Dai 22 ai 30 anni ho cercato di trovare la mia strada, senza successo. Ho commesso tanti errori dettati dall’ingenuità della gioventù per cercare di prendere in mano le redini della mia vita. Poi un giorno ho visto The Way – Il cammino per Santiago che mi ha abbagliato e da lì è cambiata la mia ottica. La dimensione sportiva l’avevo totalmente abbandonata e il camminare lo ritenevo un’attività inutile. Ho deciso comunque di fare questo salto nel vuoto e il 31 luglio 2020 sono partito da solo per questo viaggio. Dopo 23 giorni ho raggiunto la cattedrale di Santiago, in Spagna, e ho poi continuato fino all’oceano, Finisterre.

daniele matterazzo camminare 3

Cosa ti ha folgorato del cammino in generale?
Inizialmente lo stare da solo: sentire solo il rumore dei miei passi, riordinare i miei pensieri e ritrovarmi come persona. Ho pianto, gioito ma soprattutto ho accettato la mia disabilità una volta per tutte. Ho preso coscienza di quello che ero: i tanti limiti di cui mi ero costernato negli anni erano frutto solamente del mio approccio negativo e potevo fare tanto in realtà, pur con le mie difficoltà.

Come sei diventato un fundraiser sportivo?
Tornato dal mio primo cammino, sono stato fermo un paio di mesi. Avevo bisogno di metabolizzare e soprattutto volevo capire perché questa cosa mi aveva reso così felice. Ho preso la decisione di non abbandonare più questa dimensione. Nel 2021, ripensando alla mia storia, ho voluto lanciare la mia prima raccolta fondi per provare a ridare indietro l’aiuto ricevuto dalle cure ospedaliere; sono partito per un nuovo viaggio, questa volta in Italia: la Via Francigena. Ho donato tutto al reparto pediatrico della mia provincia. Quando vivevo momenti di sconforto, delusione e difficoltà, sapere che i miei passi erano diventati uno strumento per sensibilizzare e aiutare altre persone mi aiutava a ritrovare la forza di andare avanti. Da allora, ogni anno ho sempre associato ai miei cammini raccolte fondi, sostenendo cosi tematiche sociali sempre differenti.

Come scegli la causa da sostenere?
Attualmente sono tutte cause che mi appartengono e sento vicine. Le prime erano realtà abbastanza piccole del mio territorio, il padovano. L’ultima, invece, è un’associazione perugina.

In che modo AKU ti sostiene?
AKU è stata una delle prime aziende che ha sposato la mia causa e il mio pensiero. Mi trovo molto bene con loro, collaboriamo insieme alla realizzazione dei miei progetti e mi sostengono donandomi le calzature idonee per i miei viaggi. Inoltre, mi aiutano nel sensibilizzare e divulgare la mia storia e le mie iniziative. Con loro collaboro dal 2021, dalla mia prima raccolta fondi.

Outdoor cosa significa per te?
Per me vuol dire cercare la propria dimensione. La mia storia e il mio passato hanno influenzato totalmente la mia vita ma è solo grazie alle esperienze in natura che io sono riuscito a ritrovare me stesso. Mi fa riprendere contatto con la mia parte più profonda che esce fuori solo in determinati contesti.

Che programmi hai per il futuro?
Immergermi sempre più in avventure, chilometri, strade non ordinarie da percorrere e nuove terre da scoprire. Ho una cospicua lista di sfide da voler svolgere nel tempo, diversificando latitudini, territori, stagioni. E non nego la possibilità di tentare nuove discipline col tempo. Ho un po’ di idee vaghe anche in campo alpinistico ma c’è tempo per avere più chiarezza. Sono passato dai pellegrinaggi alle attraversate in autonomia e solitaria, l’ultima in Islanda: ho attraversato l’intero Paese da nord a sud. Cerco sempre di aggiungere ogni anno un tassello di difficolta alle mie avventure.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?
Con i miei progetti cerco di sensibilizzare sulla tematica della disabilità e dell’inclusione sportiva, ma soprattutto cerco di incoraggiare chi vive in situazioni simili. Testimonio lo sport come il miglior strumento di cui servirvi per esplorare sé stessi e i propri limiti: un’esperienza attiva e diretta che consente di fare tanta strada, dentro e fuori di noi.

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