di Paolo Piacentini
(pubblicato su famigliacristiana.it il 28 maggio 2021)
La pandemia può essere l’occasione per avviarsi lungo un percorso di rigenerazione fondato sulla cura di sé stessi, del territorio, della comunità alla quale apparteniamo, promuovendo una nuova alleanza tra montagna e città. La riflessione di Paolo Piacentini, presidente di Federtrek, uno dei maggiori esperti in Italia di Cammini e dell’Appennino.
Non possiamo più pretendere di essere cittadini solo per nascita. Questo vale per gli abitanti delle metropoli come per i montanari delle terre alte. Una nuova etica, prima ancora di una norma giuridica universale, dovrebbe stabilire i diritti acquisiti in quanto residente: si è cittadini a pieno diritto se ci si prende cura del luogo in cui si vive. Una grande provocazione? Può darsi, ma se non ora quando?
Bisogna avere il coraggio di ribaltare questa narrazione malata. I territori hanno bisogno di essere curati, fruiti, utilizzati e preservati. Dentro questo processo di cura si dovrebbe sviluppare la nuova “cittadinanza attiva”. Se a vincere sono logiche esclusivamente privatistiche, affaristiche, speculative ed impattanti dal punto di vista ambientale e sociale dovrebbe venir meno il diritto pieno di cittadinanza.
E’ diventato di moda dire: “che ne sapete voi cittadini dei bisogni dei montanari? Io che sono un vero montanaro vi dico che quell’impianto serve, quell’albergo in natura è indispensabile allo sviluppo locale, quella strada porta più turisti e quindi più soldi alle comunità locali”. Tutta questa enfasi per giustificare progetti spesso non in linea con l’ormai improcrastinabile priorità della cura del territorio.
In città il processo può vedere in campo attori diversi e a cambiare può essere l’oggetto del contendere ma, purtroppo, non cambia la logica del sentirsi padroni di un luogo solo perché si è residenti o proprietari di uno spazio. In un nuovo umanesimo basato sul concetto di cura il risiedere in un luogo non può dare il diritto a trasformarlo. Precede il diritto alla trasformazione di un luogo il dovere della cura dello stesso.
Papa Francesco nella Laudato sì ha posto le basi per una rivisitazione del concetto di cura attraverso una declinazione sublime dell’ecologia integrale, mentre nella Fratelli tutti lo ha rafforzato ponendo le basi di un nuovo umanesimo. La pandemia poteva essere l’occasione per avviarsi lungo un cammino di rigenerazione che partisse proprio dai principi fondanti delle due Encicliche e dalle innumerevoli riflessioni di una parte significativa di movimenti ed associazioni che seguono da sempre il tema dei beni comuni. Sarà colta questa necessità post pandemica? Un pezzo di società credo farà tesoro di quanto un cambiamento radicale non possa più attendere.
Ci sono due luoghi all’estremità della dimensione sociale ed ambientale del nostro Paese che devono tornare a riconoscersi e rispettarsi nel processo di costruzione di una vera “società della cura”: la montagna e la città. Se la montagna ha bisogno di un nuovo patto con la città, questo deve passare attraverso un’alleanza privilegiata tra chi sposa il concetto di cura dei luoghi. Un patto tra chi si prende cura della città con chi fa altrettanto nelle cosiddette aree interne. A questo punto il concetto di cittadinanza attiva diventa trasversale nel tempo e nello spazio e dalla cura del proprio spazio si giunge ad essere custodi di un bene comune.
Chi si prende cura del proprio quartiere potrebbe adottare uno spazio montano, quello più prossimo, per sostenere i “montanari custodi della terra”. Un’alleanza virtuosa che promuove economie circolari e sostenibili e che punta ad un riequilibrio culturale, sociale ed economico spezzato drammaticamente con l’abbandono prima e la successiva colonizzazione della montagna. La cura di sé stessi, del territorio che ci circonda, della comunità a cui apparteniamo dovranno essere alla base di una rigenerazione in salute interpretando questo fondamentale sostantivo femminile secondo le indicazioni dell’Oms. La salute non è semplice assenza di malattia ma uno stato di benessere psico-fisico che riguarda la persona inserita in un “noi” che va dalla comunità al territorio.
La salute al centro è la frase fatta di questo momento così drammatico, ma se vogliamo che non rimanga uno slogan dobbiamo cambiare radicalmente il nostro rapporto malato con il mondo. Una società sana non può che ripartire dalla cura di sé ed il nostro abitare non può essere solo la presenza fisica in un determinato luogo. Bisogna imparare a riabitare con cura ridisegnando forma e sostanza dell’ essere cittadini. I patti tra città ed aree interne dovrebbero sugellare nuove alleanze come quella che un attivissimo gruppo di Recanati vorrebbe costruire partendo da uno storico legame tra la cittadina leopardiana ed i Monti Sibillini. Un “gemellaggio consapevole” tra cittadini custodi del territorio che dal Colle dell’ Infinito giunge fino all’ orizzonte lontano e vicino dell’ Appennino. Un gemellaggio che è patto solidale tra i territori e loro interdipendenze culturali, fisiche e geografiche. Ora non rimane che mettersi in viaggio prima che sia troppo tardi.