Franco Secchieri è preoccupato per la riduzione di superfici e volumi in Marmolada: «L’aspetto più critico è legato all’agricoltura, la riserva idrica immagazzinata si sta riducendo».
I ghiacciai testimoni della crisi
(l’esempio tipico della Marmolada)
a cura della Redazione di corrierealpi
(pubblicato su corrierealpi.gelocal.it il 21 febbraio 2023
«Sono anni che i ghiacciai ci raccontano i cambiamenti climatici». Parole di Franco Secchieri, noto glaciologo, che studia la Marmolada da decenni. Si dice allarmato per quello che potrebbe accadere.
La Marmolada è una delle vittime di questi cambiamenti del clima che Il Corriere delle Alpi ha puntualizzato in un convegno del 16 febbraio 2023. Se manca la neve sul ghiacciaio, il Piave non fornirà d’acqua la pianura nell’abbondanza che di solito garantisce. Ma c’è di più: «Manca la riserva d’acqua», sottolinea, «ma soprattutto l’alimentazione che consente ai ghiacciai quanto meno di mantenersi. Il bilancio di massa sarà negativo. E questo significa che verosimilmente la massa gelata persa per fusione supererà la quantità immagazzinata con le precipitazioni della stagione invernale: quindi ulteriore riduzione areale e volumetrica».
Il ghiacciaio tra 15 o 20 anni potrebbe scomparire del tutto, dopo che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. Quanta acqua rischia di sottrarre alla pianura quest’estate?
«La stima della riserva idrica che il ghiacciaio metterà a disposizione dipende da quanto sarà lo spessore (sarebbe opportuno utilizzate il termine tecnico di “equivalente in acqua” ) del manto nevoso e dall’andamento termo – pluviometrico della stagione. Se sarà consumato tutto il manto nevoso, verrà intaccato il ghiaccio del ghiacciaio, ma il suo ridotto volume non potrà più fornire quantità di acqua significative (basta vedere il livello del lago di Fedaia). Siccome non voglio essere un catastrofista, mi auguro che riusciamo ancora a recuperare in termini di precipitazioni nelle prossime settimane».
Il cambiamento climatico è recente? Da quanto tempo, nel suo lavoro, lo sta registrando?
«Da parecchi decenni or sono. Lavorando come glaciologo per Enti pubblici (Regioni e province autonome) e privati (Enel per i bilanci dei bacini idroelettrici), oltre che per il Comitato Glaciologico Italiano, ho avuto modo di notare le modifiche che stavano interessando i ghiacciai, almeno quelli delle Alpi Orientali, tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, inequivocabilmente collegate a modifiche del clima. In precedenza, infatti, ci fu un periodo un po’ freddo durato circa venti anni, durante il quale molti ghiacciai mostrarono una sensibilità avanzata, segnale inequivocabile di determinate condizioni climatiche che non tutti i climatologi e meteorologi di allora avevano notato».
I segnali inequivocabili che si dovevano cogliere quali erano?
«Un esempio? Le fronti di molti ghiacciai, con la loro avanzata, avevano costruito delle morene di neo formazione che ancora oggi si possono osservare e dalle quali si poteva dedurre il verificarsi di tale evento. Poi, a partire da metà degli anni ’80 la situazione si è modificata, con la fine delle avanzate delle fronti, seguita da un graduale ritiro delle stesse e dalla riduzione volumetrica ed areale dei ghiacciai. Da allora si sono succedute annate con fasi alterne, ma sempre con i bilanci glaciologici sostanzialmente negativi, fino ad arrivare alla situazione attuale che possiamo considerare per molti versi drammatica e di cui siamo testimoni».
Che cosa la preoccupa di più del ghiacciaio della Marmolada?
«Gli affioramenti rocciosi si sono sempre più ampliati e il corpo glaciale ha perso la sua unità frammentandosi in diverse parti, sottoposte a un più intenso consumo. Il cambiamento climatico porta dunque a una modifica sostanziale del paesaggio dell’alta montagna, sia per la riduzione delle masse gelate, sia per le sempre più numerose frane che si abbattono dai versanti per lo scioglimento del permafrost. Ma l’aspetto più critico è legato alla riduzione della riserva idrica immagazzinata sotto forme di neve, nevato e ghiaccio che porterà a conseguenze molto gravi soprattutto per l’agricoltura».
Il cambiamento in atto, in definitiva, che cosa produce?
«Produce due conseguenze “mortali”: da una parte le precipitazioni sempre più scarse e le temperature sempre più elevate. Stando alle statistiche il mese di gennaio 2023 è stato il terzo più caldo e secco della storia (dopo il 2007 e 2020). La speranza è che la prossima estate non voglia battere il record delle temperature e della siccità».