Il canyoning secondo Marco Heltai

Abbiamo parlato di canyoning con Marco Heltai, Guida Alpina e presidente della Commissione Tecnica Canyoning del Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane e della Commissione Tecnica Internazionale Canyoning UIAGM. In questa intervista, Heltai ci spiega come avvicinarsi a questa suggestiva attività e quali sono gli aspetti da tenere in considerazione durante un percorso di torrentismo.

Il canyoning secondo Marco Heltai
di Massimo Dorigoni
(pubblicato su orizzontidolomitici.wordpress.com il 4 settembre 2023)

Tuffi, calate e salti in gole naturali dove scorrono torrenti dalle acque cristalline. Il canyoning è uno sport che sa di avventura e per questo incuriosisce e appassiona ogni giorno sempre più persone. Ma attenzione: unisce attività diverse come alpinismo, escursionismo e sport acquatici, sommandone anche i rischi. Per questo, soprattutto nei primi approcci, occorre essere accompagnati da un professionista che possa trasferire le competenze necessarie ad affrontare questi percorsi con consapevolezza.

Marco, il canyoning è un’attività in acqua e non tutti lo associano alla necessità di una guida alpina. Perchè serve un professionista?
Innanzitutto è un’attività complessa, in cui servono competenze specifiche che variano a seconda del livello di torrente che ti trovi ad affrontare. Chi si approccia al canyoning, dovrebbe farlo sempre accompagnato da un professionista che può trasferire le competenze necessarie per gestire tutte le situazioni a cui si può andare incontro. Acquisire queste competenze in modo corretto comporta tempo, ma è la strada giusta per far crescere anche la passione verso questo sport”.

Il canyoning è un’attività di nicchia o si sta diffondendo?
“Sta vivendo un momento molto florido per due ragioni: c’è sempre maggior offerta di canyoning sul territorio ed è quindi possibile praticarlo più facilmente, perché ci sono itinerari alla portata di tutti. Troviamo percorsi in tutta Italia, dalla Sicilia all’Alto Adige, anche se ci sono ovviamente zone più frequentate come la Lombardia, soprattutto la Val Chiavenna, il Lago Maggiore, o il Lago di Garda, che è una specie di paradiso del canyoning”.

Foto: Archivio Marco Heltai

Chiunque può provare questo sport?
Assolutamente sì. Prima era un’attività alla mercé di esploratori e amanti dello sport estremo, mentre oggi il livello di frequentazione si sta abbassando e ci sono sempre più richieste da parte di famiglie con bambini. Ho clienti da 8 anni in su. Ovviamente ci sono torrenti adatti ai bambini e altri a persone più avventurose: i livelli sono diversi a seconda di competenze e capacità”.

Che attrezzatura serve?
Ci sono attrezzature specifiche di derivazione alpinistica, ad esempio l’imbrago, che però è leggermente diverso e sviluppato appositamente per questa attività. Poi corde, moschettoni, discensori e caschetto: fondamentale, perché sei all’interno di gole dove possono muoversi dei sassi. A queste si devono aggiungere le attrezzature specifiche per la frequentazione in acqua: scarpe antiscivolo, calzari termici in neoprene, muta in neoprene. Anche le tecniche sono assolutamente specialistiche, come i sistemi di calata. La presenza di acqua e corde in un ambiente chiuso è una cosa da gestire molto attentamente”.

Rivolgendosi alle Guide è possibile avere anche l’attrezzatura?
Sì, i professionisti forniscono tutto il materiale ai loro clienti. Sono attrezzati e sanno consigliare in modo specifico in base al livello del cliente”.

Esiste una formazione specifica per il canyoning?
Esistono diversi modi per prepararsi e apprendere le tecniche della disciplina, per gli appassionati che dopo la prima esperienza vogliono iniziare a frequentare con assiduità questi ambienti, noi professionisti organizziamo corsi specifici di durata variabile a seconda del livello che si desidera raggiungere. Per quanto riguarda i professionisti, il collegio Nazionale delle guide alpine annualmente organizza il corso di specializzazione professionale che fornisce competenze e conoscenze dell’ambiente, il corso ha una durata totale di 26 giorni e pone particolare attenzione alle tecniche di insegnamento e accompagnamento in questi ambienti con particolare attenzione ai rischi derivanti dalla presenza di masse d’acqua in movimento”.

Come ci si approccia ai salti?
I salti sono sempre un’opzione secondaria. Chi attrezza i torrenti deve fare in modo che non siano obbligatori. Il salto comporta 3 passaggi fondamentali sui quali bisogna sviluppare competenze specifiche: lo stacco, il volo e l’entrata nell’acqua che è molto diversa a seconda dei salti che si affrontano. Dai 6 metri in su bisogna aver molta esperienza e conoscere bene i 3 passaggi”.

Cosa si intende per acqua viva?
L’acqua viva è l’acqua in movimento. L’acqua non è mai ferma nemmeno nei laghi, ma nei fiumi si vede chiaramente muoversi in vari modi. Capire come si muove l’acqua, con quale direzione, intensità e forza, è fondamentale perché nei torrenti troviamo le dinamiche più complesse da gestire. Ad esempio, devo saper valutare se posso o meno entrare in una vasca che gira a causa di una cascata, devo sapere se sono in grado di andare dove voglio in quell’ambiente. Io, come essere umano, non posso contrastare la forza dell’acqua: devo saperla gestire. Per questo esistono i corsi appositi per il canyoning”.

Foto: Archivio Marco Heltai

Come affrontare i gorghi naturali?
Quelli che vengono chiamati gorghi si formano dallo scontro di due correnti che provengono da direzioni opposte e creano un mulinello che gira. Accade però di solito nei torrenti di forte portata, dove di norma si praticano altri tipi di discipline fluviali, canoa o rafting. Nei canyon rappresentano situazioni limitate, mentre esistono delle dinamiche più frequenti da considerare, come ad esempio le forti correnti di una vasca chiusa dove l’acqua gira velocemente o l’effetto della forza della cascata che cade in un ambiente chiuso tra le pareti, per finire con il pericolo più temuto da tutti coloro che frequentano gli ambienti fluviali, ovvero, “i sifoni “ostacoli naturali nel corso del fiume in cui l’acqua passa anche al di sotto, aspirando tutto ciò che si avvicina, creando un vero rischio altissimo”.

Quali sono i potenziali rischi del canyoning?
Questo sport unisce vari sport e somma i loro rischi. Un tipo di rischio è legato all’acqua fredda che si muove, quindi parliamo di ipotermia e raffreddamento. Un altro è legato al fatto che le manovre sono specialistiche e necessitano di competenze diverse da quelle che si usano su roccia. Ad esempio sarebbe molto pericoloso rimanere bloccati su una corda mollando le mani. C’è poi un rischio ambientale importante: il canyon è stretto scuro e chiuso, se cambia il livello dell’acqua cambia tutto, e spesso non posso rifugiarmi da qualche parte o tornare indietro come in un terreno aperto. Il fatto che non ci siano vie di fuga è un rischio, perché dopo che sei partito devi per forza arrivare in fondo”.

Come possiamo valutare le difficoltà di un percorso di canyoning?
“Nel canyoning i gradi di difficoltà sono tre: il primo riguarda la difficoltà verticale, quindi la complessità e la lunghezza delle manovre; il secondo le problematiche acquatiche, quindi la forza dell’acqua e le manovre specifiche per affrontarla. La terza riguarda l’impegno generale e le eventuali vie di fuga. Consultando un professionista, una Guida alpina, sicuramente sarà possibile valutare al meglio il percorso migliore in base alle proprie capacità e godere appieno di questa esperienza”.

Foto: Archivio Marco Heltai
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2 Comments

  1. says: bruno telleschi

    Suppongo che sia vero, che ci sia bisogno di un professionista per imparare il “canyoning”, ma credo anche che non ci sia bisogno di un altro sport per trasformare la montagna in lunapark.

  2. says: Carlo Crovella

    Mi sono avvicinato la canyoning (che allora si chiamava, banalmente, “torrentismo”) a cavallo fra anni ’80 e ’90, durante una settimana di kayak d’acqua viva presso la scuola di Bernasconi in Val Sesia. Di pomeriggio, quando gli altri kayakisti prendevano il sole sparapanzati sulla (peraltro fantastica) spiaggetta del campeggio della scuola, io partecipavo alle uscite di canyoning proposte da alcuni “pazzi” fra i quali Roberto Bonelli, che gli storici dell’arrampicata conoscono per esser stato un alfiere del Nuovo Mattino.

    Però in precedenza Bonelli era stato anche speleologo e questo accoppiata di esperienze spiega molto del suo coinvolgimento, perché tre sono i padri ideologici del torrentismo: alpinismo (manovre di corda, ecc), speleo (senso del cacciarsi “dentro”) e acqua viva (perché dentro l’acqua ti muovi e devi aver acquisito le dinamiche). Si era in una fase molto pioneristica e sperimentale del torrentismo, forse questo era l’aspetto più affascinante (cioè che non c’era nulla di “codificato”, ma occorreva provarlo e riprovarlo, prendendo anche certe nasate…). Seguendo questo drappello di pionieri ho visitato dal di dentro dei torrenti molti valloni laterali della Val Sesia. E’ stato un modo alternativo per conoscere le montagne. nel mio piccolo, ho trasferito l’approccio 8in autonomia) all’area alta Val Susa-Briancon, dove peraltro agivano da tempo importanti torrentisti francesi, che avevano già esplorato percorsi magnifici, degni di ripetizioni divertentissime.

    A differenza della prima fase (quella pionieristica), il canyoning si è poi sviluppato, almeno in misura principale, come un’attività “usa e getta”. Viene offerto dalle Scuole di kayak e rafting (a sua volta derubricato a principale attività “usa e getta”) come alternativa/aggiunta al rafting stesso. In parole povere: i clienti, privi di ogni competenza e senza neppure un pezzo dell’attrezzatura, arrivano alla scuola, pagano, vengono vestiti di tutto punto (con materiale della scuola), portati col pulmino alla partenza del torrente, nel torrente sono seguiti da un accompagnatore, all’arrivo c’è il pulmino che li raccatta, alla scuola restituiscono la muta ecc, fanno una doccia, salutano e chi si è visto si è visto. in genere non faranno mai più canyoning, che quindi diventa una specie di giro in giostra per provare l’adrenalina. Nulla di più.

    Esistono, per carità, dei canyoninsti sistematici che fanno discese private, come gli scialpinisti fanno gite per conto loro e i climber vanno in falesia da soli, ma i canyoninsti autonomi sono rarissimi, la massa è composta da torme di cannibali portati a spasso a pagamento in modalità “usa e getta”. Insomma il canyoning, suo malgrado, è diventato (come il rafting e l’hydrospeed) una delle tante manifestazioni da Circo Barnum. Non è colpa del canyoning (che è bellissimo), ma è colpa del modello. Che però è ormai così assodato che temo sia inestirpabile. Peccato.

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