Il contrabbando di fatica e di miseria

Il contrabbando di fatica e di miseria
di Paolo Crosa Lenz
(pubblicato su Lepontica 33)

In Val Divedro, a 2300 m di quota, il Pizzo Zucchero e il Pizzo Caffè si alzano lungo la cresta di confine con la Svizzera. I toponimi, accettati dalla cartografia ufficiale, evocano l’epoca del contrabbando storico. A sud è la Val d’Ossola, a nord è il Vallese. Un confine vecchio di secoli, ma sempre difficile da comprendere per gente abituata alle stesse fatiche del vivere su alte montagne. Una complicità transfrontaliera dettata dalla fame e dalla fatica. È su questo confine che il contrabbando è diventato un mestiere, svolto per secoli da uomini e donne di frontiera, in un territorio come quello ossolano incuneato tra le alte montagne che portano in Svizzera. Una storia di valichi alti e di bocchette sconosciute, sentieri impercettibili e fatiche notturne, lunghe marce nella neve e sulle pietraie, insidie di sentieri non tracciati.

Contrabbandieri sui monti di Valle Anzasca sul confine con la valle di Saas in Vallese.

Ricorda un vecchio contrabbandiere: “I pè piatt non potevano farlo”. Dall’inizio dell’Ottocento, quando Napoleone istituì le dogane, agli anni ’70 del Novecento su questi monti passò di tutto: zucchero, caffè, rifugiati politici e perseguitati razziali, infine le sigarette. Poi tutto di colpo finì in un breve volgere di anni.

Giuliano Olzer (36 anni, calzolaio di Ceppo Morelli in Valle Anzasca) fu ucciso il 6 ottobre 1962 al Passo di Antigine dalla pallottola sparata da un giovane finanziere di 23 anni. Con altri “spalloni” trasportava 83 kg di sigarette. Giuliano Olzer era diventato papà da pochi giorni e quello sarebbe stato il suo ultimo “viaggio”.

Un documentario, in uscita a fine 2023, è in lavorazione e racconta un’epoca. Ne sono autori Nicola Buffoni, Alessio Cusano e Andrea Delvescovo. Si intitola provocatoriamente Il contrabbando non è peccato, è un lungometraggio che indaga il fenomeno sociale del contrabbando di fatica e di montagna, che ha interessato per oltre un secolo e mezzo le popolazioni alpine italiane e svizzere e che terminò solamente negli anni ’70 del Novecento, quando la “bricolla” non era più vantaggiosa. Non solo la memoria degli “spalloni” (perché portavano in spalla il “carico”), ma anche quella dei finanzieri, i “canarini” uguali nei rischi e nella fatica per guadagnare uno stipendio da poveri. Spesso ragazzi del Sud, mandati da Roma a presidiare una frontiera lontana e sconosciuta.

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