Il rifugio Pradidali torna all’antico

Un post dei gestori accolto con entusiasmo: “Si torna all’antico: quello che c’è, c’è. Chi cerca il lusso, non venga qui”.

Il rifugio Pradidali si ribella alla moda dei rifugi a 5 stelle
a cura della Redazione di ladige.it
(pubblicato su ladige.it il 7 marzo 2024)

Spesso, negli ultimi anni, la montagna si è piegata, a volte suo malgrado, a volte con compiacimento, ai dettami di un turismo lontano anni luce dai valori che hanno da sempre contraddistinto chi sceglie i sentieri e le vette.

Rifiuto della fatica, ricerca del lusso e dei piatti gourmet anche nei rifugi in quota, dove si vorrebbe pernottare in camere singole o suite ben arredate, richieste fuori dal mondo e incompatibili con la sostenibilità in un ambiente così delicato come quello alpino. Ma non tutti si adeguano senza reagire a un trend che talvolta sembra inarrestabile.

È il caso del rifugio Pradidali, perla incastonata nelle Pale di San Martino, i cui gestori hanno deciso di dire basta e di «tornare all’antico», all’insegna del «quel che c’è, c’è».

Il rifugio Pradidali

Duilio Boninsegna, guida alpina, gestisce il Pradidali con la sua famiglia. Sul sito del rifugio si legge che «accoglie gli ospiti di ogni nazionalità con simpatia e cordialità, cercando di soddisfare ogni loro esigenza».

Ma quando queste esigenze vanno al di là del buonsenso? Ecco quello che ha scritto in un post su facebook: «Ragazzi, ho deciso, quest’anno al Pradidali ci sarà un ritorno al classico… Non venite a chiedere ‘voglio questo, avete quello o quell’altro, ecc…’: quello che c’è, c’è! Ci saranno cose buone ma non sarà di certo un ristorante gourmet, di quelli ne trovate quanti volete in valle, ma sarà un vero rifugio d’altri tempi».

I gestori spiegano che «c’è bisogno anche in alta quota di un ritorno all’essenziale e alle cose davvero basiche e importanti della vita!».

E ancora: «Non ditemi ‘è caro’, anche l’elicottero e la teleferica per portare su la roba sono molto cari… e sono sicuro che capite… e se mi va vi offrirò anche una birra. Se ci sarà acqua in abbondanza vi farò volentieri fare una doccia (a pagamento perché lassù il gas per riscaldare l’acqua ci costa il doppio), ma se la dovremo razionare scordatevela, anche se siete in giro da giorni! Siate gentili con i miei ragazzi e avrete in cambio gentilezza e simpatia, pensate sempre che voi il giorno dopo tornate a valle e avete tutte le comodità, loro rimangono su fino a settembre per pagarsi gli studi e se non c’è l’acqua per voi non c’è neanche per loro, che a volte devono aspettare il loro giorno di riposo per scendere a valle a piedi (2 ore) per farsi la doccia a casa loro. Non chiedetemi la camera singola o doppia perché ‘il mio amico russa’, lo fanno tutti: le notti, anche se in parte insonni, in una camera condivisa con altri ma in uno dei luoghi più belli del mondo vicino alle stelle, sono quelle che vi porterete nel cuore e vi ricorderete per sempre. Non aspettatevi servizi a 5 stelle, quelli ormai li trovate dappertutto, ma vi porterete a casa il ricordo di un avventura, di un’esperienza unica e irripetibile che rimarrà sempre tra i ricordi più belli! Se vi accontentate di quello che il rifugio e noi vi possiamo offrire sarete i benvenuti in un luogo meraviglioso, se invece volete “altro” non venite al Pradidali!».

E, a giudicare dai commenti entusiastici che il post ha riscosso, saranno in tanti a salire al Pradidali che ritorna all’antico.

Duilio Boninsegna

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Dal Trentino fino al Bellunese sale la protesta dei gestori, in seguito all’esempio del rifugio Pradidali. Fiorentini: «Non chiedeteci acqua calda o piatti gourmet».

I rifugisti si ribellano
(basta con richieste da hotel a 5 stelle, qui vige la sobrietà)
di Francesco Dal Mas
(pubblicato su Corriere delle Alpi del 10 marzo 2024)

Giù le mani dai rifugi alpini. Non sono né alberghi né ristoranti. Quindi? «Esigiamo una ri-classificazione», risponde Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume, ai piedi del Pelmo, e presidente dell’Associazione Agrav (Associazione gestori rifugi alpini veneti). «Solo quelli alpini dovrebbero essere chiamati rifugi», sostiene Renato Frigo, presidente regionale del CAI. «E si sa che da questi non si possono pretendere le prestazioni offerte da un ristorante, anche solo da un agriturismo, o da un albergo».

In Veneto sono 35 i rifugi alpini, quasi tutti del CAI. Un centinaio, invece, i rifugi riconosciuti come tali dalla Regione, ancora una decina d’anni fa, nonostante il Club alpino avesse invitato ad una distinzione. Qual è il problema? «I nostri amici clienti», informa Fiorentini, «pretendono tutti i comfort che trovano in città, i piatti più tipici, i servizi più innovativi. Non sanno, invece, che utilizziamo l’elicottero per i trasporti, anche delle stesse “scoazze“, quando non la teleferica, che però trasporta poca roba a giro. E un giro impiega anche 20 minuti se non mezz’ora».

Duilio Boninsegna, guida alpina, gestisce il rifugio Pradidali, appena al di là del confine dolomirico tra il Bellunese e il Trentino. Ha lanciato l’altro ieri un messaggio che ha fatto discutere ma che sta trovando d’accordo parecchi operatori veneti, dal collega rifugista Fiorentini al presidente CAI Frigo. Non solo, anche Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco.

[…]

«Condivido, parola per parola, quanto ha dichiarato Duilio», reagisce Mario Fiorentini, lamentando che soprattutto dopo il Covid gli escursionisti sono diventati troppo esigenti, pretendendo di trovare a duemila metri ciò di cui possono avvalersi in spiaggia o in città. «Ne hanno colpa fino a un certo punto, nel senso che dovrebbero immaginarsi che lassù, dove volano le aquile, non possono trovare tutte le comodità della pianura. Ma ci siamo sentiti di dire che i rifugi sono rifugi, cioè debbono tutti avere le medesime prestazioni. E allora la responsabilità è di quelle istituzioni che hanno inserito nella stessa categoria il rifugio che si incontra lungo la strada e il Torrani che si trova a tremila metri di altitudine.

Il Torrani – tanto per esemplificare – è annidato in cima al Civetta. L’escursionista che lo raggiunge parte da passo Staulanza, magari avendo modo di apprezzare il comfort dell’omonimo rifugio. Sale al Coldai e trova già il clima del rifugio alpino, con maggiori ristrettezze. Se raggiunge il Tissi, si avvantaggia dell’ospitalità di un rifugio alpino ancora più severo. Se poi affronta il versante sud del Civetta, e in cima raggiunge il Torrani, gode di un panorama unico ma deve accontentarsi dell’ospitalità sobria di un ‘nido d’aquila’.

In vetta al Torrani, o anche soltanto al Tissi, possiamo arrogarci il diritto di una doccia quotidiana come può offrire un rifugio raggiunto dall’acquedotto e privo di particolari spese di riscaldamento?», conclude Fiorentini.

Per il presidente del CAI Veneto Frigo, è necessaria una nuova ri-classificazione da parte della Regione. «L’abbiamo chiesta da tempo ma riteniamo che fino alla prossima giunta dovremmo aspettare. Ci rendiamo ben conto, infatti, che distinguere i rifugi sarà operazione complessa perché osteggiata».

L’intervista
di Francesco Dal Mas
(pubblicato su Corriere delle Alpi del 10 marzo 2024)

L’escursionista in rifugio ha o no diritto alla doccia? «La campagna per l’uso consapevole dell’acqua nei rifugi continuerà in modo ancora più incisivo perché, purtroppo, stiamo constatando che non tutti coloro che frequentano l’alta montagna se ne rendono conto. Ne abbiamo discusso anche nel recente cda della Fondazione Dolomiti Unesco». Ce ne dà conto la direttrice Mara Nemela.

Come dire che non c’è un diritto alla doccia?
«Assolutamente no. Ci sono rifugi che faticano con l’approvvigionamento dell’acqua. In alcuni casi viene portata con l’elicottero. Quindi va utilizzata con parsimonia. D’altra parte, il rifugio alpino deve avere la caratteristica della sobrietà, della misura».

Mara Nemela

Sobrietà anche a tavola?
«Certo. Ma se la scarsità d’acqua è un tema oggettivo, che in tanti casi è difficile da risolvere, per quanto riguarda la ristorazione posso assicurare che i rifugi garantiscono il massimo di qualità in ciò che possono confezionare. Nei corsi che come Fondazione abbiamo promosso, si è potuto verificare che tutti ci tengono alla cucina, perfezionata al massimo, ovviamente alle condizioni date. Certo, non si può pretendere a duemila oppure a tremila metri la performance del ristorante stellato di città».

C’è chi chiede al gestore una spremuta di arance fresche, chi uno spritz con ghiaccio e oliva. C’è chi vuole affrontare i sentieri con i sandali e chi telefona per sapere se a 2700 metri si arriva in auto. Quindi è una cultura diversa che va promossa?
«Esattamente. Ed è il nostro impegno come Fondazione. Una cultura che sia anche di adattamento ai cambiamenti climatici. Non sempre avremo disponibilità d’acqua come probabilmente ci sarà la prossima primavera, fors’anche l’estate, grazie alle recenti precipitazioni. La ricordiamo tutti la siccità di qualche estate fa».

Il problema dell’acqua è appunto il più avvertito, secondo quanto hanno riferito i rifugisti nei convegni di formazione organizzati dalla Fondazione.
«L’utilizzo responsabile della risorsa idrica, viste le difficoltà di approvvigionamento in quota, è il concetto più difficile da far comprendere a quanti si aspettano che un rifugio eroghi servizi simili a quelli di un albergo o di un ristorante. E, così, ci si trova a dover spiegare che in montagna può capitare di rinunciare alla doccia dopo una giornata passata a faticare su sentieri e ferrate. Conoscere la variabilità cui è soggetto il riempimento delle vasche in assenza di acquedotto, i costi di gestione e manutenzione, i “miracoli” quotidiani cui è costretto il gestore per garantire la ristorazione e i pernottamenti, appare sempre più indispensabile per formare gli escursionisti, consentendo loro, peraltro, di calarsi pienamente nel contesto montano e quindi di godere maggiormente dell’unicità dell’esperienza che li vede protagonisti».

Abbiamo appena superato il mese di febbraio più caldo di sempre…
«Ecco, la campagna della Fondazione non riguarderà solo le norme di comportamento, ma anche le cause profonde della necessità di risparmiare la risorsa idrica. L’aumento delle temperature nell’ultimo secolo, tutt’ora in corso, ha importanti ripercussioni sulla criosfera, cioè l’insieme delle zone innevate e ghiacciate della Terra, spesso l’unico serbatoio naturale di acqua in alta quota. I ghiacciai arretrano a una velocità tale da poter prevedere la loro totale scomparsa, sotto i 3500 metri, entro il 2050. Molti rifugi dolomitici di quota medio-alta si trovano inoltre in aree carsiche, per loro natura povere di risorse idriche superficiali, in quanto l’acqua piovana e di fusione nivale è rapidamente assorbita all’interno dell’ammasso roccioso calcareo-dolomitico. Conoscere anche questi aspetti del Patrimonio è un modo per viverlo e rispettarlo al meglio».

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11 Comments

  1. says: bruno telleschi

    Diventa sempre più difficile difendere le buone abitudini e i valori della tradizione alpina. Con l’estate sono in agguato torme fameliche di turisti e di ciclisti istigati dalla propaganda mediatica a commettere ogni sorta di profanazione: dalle cene mondane alle esibizioni sportive.

  2. says: Carlo Crovella

    La rivoluzione può davvero esser portato avanti dai rifugisti. Se cambia l’offerta, nel senso che i rifugi tornano all’antico, di conseguenza la gente si scremerà: chi cerca il comfrt andrà in altri posti. Se TUTTI i rifugi tornassero all’antico, questo sarebbe, almeno sul piano qualitativo, un bel modo di scremare l’approccio umano alle montagne.

  3. says: Livio

    Era ora ,andare per i rifugi delle terre alte ,non passa di certo per la quantità dell’ offerta che può darti il gestore,ma per la Qualità, quindi bene per le cose essenziali buone ,e soprattutto fatte con Amore per chi arriva lì a godere dei bei panorami e dell’ immancabile convivialità con il Gestore,bravo Duilio….

  4. says: Susanna

    Condivido pienamente le idee dei gestori dei rifugi. Chi vive la montagna non chiede aperitivi o altro di lusso, queste persone e meglio che rimangano a valle o che vadano ai posti balneari. Il problema dell’ acqua va rispettato, non chiedendo il servizio docce. Amo la montagna, camminare fra la natura che ci regala spettacoli, amo un piatto semplice per quello che può offrire il gestore.

  5. says: Carlo Giraudo

    Il problema delle docce nasce adesso xche in alta quota scarseggia sempre di piu l’acqua cosa che non succedeva qualche anno fa le cattive abitudini le hanno date i gestori dei rifugi per dare sempre piu servizi e attrarre sempre piu persone 40 anni fa nei rifugi se c’era l’acqua la doccia si faceva fredda punto. tornare indietro ok se vai a fare escursioki o trekking in montagna non hai bisogno di fare tutti i giorni labdoccia

  6. Il rifugio è un veliero nel mare dell impervio Quindi anch’io quando entro nel rifugio dopo aver per educazione salutato i presenti è dovere prendere in mano la mia parte di corda per dirigere al meglio la vela il resto è noia In quanto ai cosiddetti piatti di lusso polenta e latte se c’è è il mio caviale altrimenti digiuno 🤣🤣🤣buona montagna a tutti CALABRIA MAURIZIO

  7. says: grazia

    E’ una gioia leggere che qualcuno ha deciso di andare contro la corrente delle masse, facendo qualche passo indietro per tornando a fare piccoli gesti.

  8. says: Placido Mastronzo

    Segnalo il refuso nel titolo, sia qui che su GognaBlog: è scritto “Padridali” invece di Pradidali.

  9. says: Marialuisa

    Era ora che qualcuno cominciasse a cambiare la rotta!!! Grazie!!!!
    Non se ne può più delle orde di turisti in ciabatte sul Rosetta e nemmeno della musica da discoteca di San Martino. In un paesaggio come quello dal Rolle alle Feltrine il silenzio dovrebbe bastare.
    Vi ringrazio per la scelta fatta e mi auguro che induca molti altri a fare la vostra giusta scelta.

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