Novant’anni fa le tempeste di polvere iniziarono a flagellare le pianure centrali americane, costringendo all’esodo migliaia di famiglie di agricoltori.
La lezione del Dust Bowl
di Mario Vianelli
(pubblicato su Montagne2360, luglio 2022)
“Venne l’alba, ma senza giorno. Nel cielo grigio apparve un sole rosso, un fioco cerchio rosso che spandeva un po’ di luce simile al crepuscolo; e con l’avanzare del giorno il crepuscolo ricadde verso il buio, e il vento ululò e mugolò sul mais abbattuto“.
Il successo del romanzo Furore – di John Steinbeck, pubblicato nel 1939 – portò all’attenzione il dramma di un mondo ridotto in polvere e l’odissea di intere popolazioni costrette a cercare un po’di fortuna migrando. Alle origini di questa fuga di massa si colloca la gravissima catastrofe ambientale e climatica conosciuta come Dust Bowl (“la conca della polvere”), che colpì le regioni centrali del Nord America negli anni Trenta del secolo scorso in concomitanza con la profonda crisi economica e sociale nota come Grande depressione. Il Dust Bowl fu generato da un intreccio di cause naturali e di interventi umani. Dall’inizio del secolo l’agricoltura era avanzata nelle Grandi pianure americane, asportando il mantello di erbe tenaci che avevano nutrito mandrie di bisonti e poi di bovini domestici, il cui valore era in calo. Anni insolitamente piovosi, aumento del prezzo dei cereali durante la Prima guerra mondiale, incentivi alla coltivazione e l’affermarsi della meccanizzazione portarono campi arati in profondità nel cuore del “mare d’erba della prateria”, distruggendo la stratigrafia del suolo e l’antico groviglio di radici che lo tratteneva. La crisi del 1929 provocò un esodo di disoccupati verso le praterie, dove speravano di sistemarsi sulle terre fornite dal governo, ma in quegli anni il pendolo climatico delle Grandi pianure invertì direzione, andando verso la siccità. Il vento raschiò il terreno cominciando a sollevare nuvole di polvere sempre più vaste e più frequenti: nel 1932 gli episodi di “black blizzards” furono 14, ma l’anno dopo arrivarono a 38. L’11 maggio 1934 gli abitanti di New York e Washington, oltre duemila chilometri a est del centro del Dust Bowl, si svegliarono sotto un cielo plumbeo e polveroso, preludio della “Black Sunday”, la domenica della più spaventosa tempesta ricordata sul continente.
Il 14 aprile 1935 nell’arco di poche ore “una nuvola nera come la morte” (nelle parole di Woody Guthrie, altro grande cantore di questa tragedia), attraversò tutti gli stati centrali, trasportando 300.000 tonnellate di polvere che ricoprirono vaste aree di Oklahoma, Kansas, New Mexico, Texas e Colorado. Caricati su camion sbilenchi masserizie e familiari, in molti si unirono all’esodo miserevole verso i frutteti della California, dove ripresero a vagare, malvisti, alla ricerca di lavori a giornata.
La gravità della situazione costrinse il governo federale a un’energica reazione. Nell’ambito dei programmi del New Deal voluto dal presidente Roosevelt furono istituiti il Soil Conservation Service e, nel 1937, la Farm Security Administration, agenzia dedicata all’assistenza e al reinsediamento dei contadini indigenti, che fra i suoi meriti ebbe quello di “arruolare” una squadra di fotografi del calibro di Dorothea Lange, Arthur Rothstein e Walker Evans, a cui dobbiamo una messe di foto indimenticabili.
Tecniche agricole più rispettose e lungimiranti e il ritorno delle piogge hanno posto fine al Dust Bowl, ma la sua memoria rimane a monito di quanto può nuovamente accadere. La diminuzione delle precipitazioni, coniugata con l’aumento delle temperature e con gli alti prezzi dei prodotti agricoli, stanno riportando le pianure centrali in uno stato di allarmante squilibrio. Negli ultimi giorni di aprile 2022 una tempesta di polvere ha percorso il Colorado meridionale, provocando chiusure di autostrade, aeroporti e scuole; e altre sono attese con l’arrivo dell’estate.
Fenomeno di cui non ero a conoscenza… Molto interessante!