All’inizio le più alte vette da scalare, tra le prime alpiniste, poi le montagne che restano negli occhi, anche se si abita sul mare, e diventano acquerelli.
La montagna di Riccarda de Eccher
Mostra di acquelli dal 20 ottobre al 18 novembre 2023
Le montagne di Riccarda de Eccher
(alpinista e pittrice)
di Laura Leonelli
Foto di William Jess Laird
(pubblicato su ad-italia.it il 15 dicembre 2022)
La chiama “la cosa”, quasi fosse troppo per avere altro nome. Un senso di concretezza e pudore insieme. La cosa di cui racconta Riccarda de Eccher non è la montagna in sé, lei che pure appartiene alla cordata delle grandi alpiniste degli anni ’70, lei che ha aperto vie, anche nel femminismo tra le vette, dalle Dolomiti all’Everest. La cosa è di più, è la passione per la montagna che non passa mai, è il ricordo di giornate di grazia quando salire lungo la fessura Buhl alla cima Canali sembrava salire su una scala a pioli.
La cosa è sognare l’alba sul Kilimangiaro, e sulle Alpi Giulie vedere la propria ombra circondata dall’arcobaleno e riflessa sulle nuvole che hai appena attraversato. E allora, quando il tuo corpo cambia ma resti la donna forte, intensa, coraggiosa di sempre, che fai di quella cosa? Continui a viverla perché la dipingi, e dipingendo le sue montagne Riccarda de Eccher ha continuato a scalarle, sentirle, accarezzarle. Anche là dove le montagne non esistono, a Long Island, in una meravigliosa dimora di Oyster Bay.
Attraverso le finestre del suo studio oggi Riccarda vede un bosco. Da bambina, nata a Bolzano, vedeva le Dolomiti. Quando la famiglia si trasferisce a Udine, in pianura, gli occhi di quella creatura agilissima continuano a cercare le vette innevate. Forse la chiamano, la sfidano, la rassicurano. A diciassette anni Riccarda s’iscrive a un corso di arrampicata, è portata, e prima di concludere le lezioni apre già una via con un passaggio di quinto grado. Per la mentalità montanara è una ragazza troppo “in alto” e allora meglio andare a Trieste, cosmopolita, austroungarica, città di mare che libera anche le donne che amano salire in vetta. Accanto a Riccarda c’è Tiziana Weiss, astro dell’alpinismo femminile. Tiziana muore a ventisei anni, scendendo dalle Pale di San Martino. Il giorno dopo il funerale, Riccarda torna ad arrampicare. O così, o non scali più. O vivi così quelle che John Ruskin chiamava “le più grandi cattedrali della terra”, le porti dentro, corda, nodi, fatica, bellezza, felicità, dolore, o le montagne, una volta scomparse dall’orizzonte, non ti appaiono più. Le hai perse.
Riccarda de Eccher ha scelto l’acquerello, il materiale e il gesto più delicato per rappresentare quello che per secoli è stato un paesaggio spaventoso. Nel Medioevo le montagne erano il luogo del peccato, della ferinità, materia greve e ostile. Poi Galileo scopre gli stessi rilievi sulla luna, e tutto cambia, gli illuministi cercano tra i fossili l’origine della vita, e il Romanticismo inventa il sublime, il perdersi tremando tra le cime più impervie. Nel chiarore delle pennellate di Riccarda de Eccher le montagne sono ancora di più, non solo perché immerse in una luce così vicina a quella di Giorgio Morandi, luce che astrae e infonde realtà insieme, ma perché queste montagne delicatissime eppure potenti sono un modo di stare al mondo. Di sapere. Di fare pace con ogni limite.
Di tutte le vette, questa straordinaria artista conosce l’ora migliore per rappresentarle, la profondità delle ombre che esalta i volumi, il bianco della neve, le sfumature delle rocce. Nel 1980 Riccarda va sull’Everest, che in tibetano si chiama Chomolungma, “madre dell’universo”, ma sono le Dolomiti che ha voluto dipingere. Anche queste montagne devono il loro nome a un uomo, Déodat de Dolomieu, naturalista francese del Settecento. Prima si chiamavano semplicemente Monti Pallidi. Ecco, le Dolomiti che dipinge Riccarda de Eccher sono quelle che non hanno ancora un nome. Sono le montagne immacolate di quando il mondo è venuto al mondo. Storia femminile, fin dall’inizio.