Un libro che si legge tutto d’un fiato, racconta la mirabolante impresa di Sandy Allan e Rick Allen, che riescono a risolvere il più grande problema alpinistico sul Nanga Parbat. Una cresta lunga più di 10 chilometri tutta al di sopra di quota 7000 m.
Diciotto giorni estenuanti, iniziati in 3 cordate, ma solo la cordata di Sandy e Rick tocca il punto più alto. Dati per dispersi, in assenza di provviste e di liquidi, riescono a salire e a rientrare portando il loro corpo al limite e forse anche oltre.
Scrittura appassionante e stimolante. Nonostante la situazione estrema, mentre si legge si vorrebbe essere là con loro ad avanzare nella neve o a coprirsi nel sacco a pelo all’interno di una truna.
Vincitore del Premio ITAS 2018 e vincitori del Piolet d’Or 2013.

Motivazione Migliore opera non narrativa premio ITAS 2018
In un librettino smilzo di 177 pagine è raccontata una delle imprese himalayane più folli dell’ultimo trentennio. È da meno anni, ma sono comunque tanti, che il Premio Itas non va a quello che i francesi chiamano “récit d’ascension”, la più autentica delle narrazioni di montagna. In questo caso la scelta era però doverosa. Sandy Allan ripercorre in “La cresta infinita”, che Alpine Studio ha tradotto lo scorso anno, l’ascensione prodigiosa sua e di Rick Allen della Mazeno Ridge del Nanga Parbat con la passione che solo un alpinista britannico può avere (ma lui è scozzese, sia ben chiaro). Una decina di chilometri di lame affilate di neve e ghiaccio e pinnacoli di roccia, un itinerario tentato inutilmente dieci volte prima di loro, tra gli ultimi grandi problemi himalayani. Allan e Allen riescono ad arrivare in cima al Nanga Parbat dopo diciotto giorni passati lassù, mentre i blog d’alpinismo di mezzo mondo li danno per perduti. I compagni già hanno abbandonato il campo base, pronti a rientrare a casa. Loro invece sono vivi, solo spaventosamente affamati. Allan racconta la grande avventura come fosse un viaggio appena un po’ disagevole sei-settemila metri più in basso, senza alzare i toni, sempre con un pizzico d’ironia. Un magnifico esempio per i resoconti di spedizione di tanti loro colleghi alpinisti, quando l’opinione di sé stessi comincia a crescere più alta della montagna.
La scrittura di Allan e’ tipicamente britannica, dunque estremamente godibile per chi ha un po’ a nausea retorica ed egocentrismo piu’ o meno mascherati. Il suo understatement e’ genuino, espressione di quella cultura che, non dimentichiamolo, ha inventato l’alpinismo.