Quella volta che sono caduto in un crepaccio

di Francesco Sportelli
(pubblicato su 100 FALC 1920-2020)

Ti rendi conto che è successo davvero quando sul treno del ritorno chiedi a un vecchietto davanti a te di darti una mano: da solo proprio non riesci ad aprirla quella bottiglia di acqua.

“Cosa hai combinato?” chiede, curioso.
“Son caduto in un crepaccio”.
“Ah, ma sei tu quello del giornale”.

La Cima Presanella è la cima più alta del Trentino: la Nord, vista in foto, assomiglia a un muraglione compatto e appoggiato. Imponente, certo. Solido, sicuramente. Rassicurante, senza dubbio. Niente di tutto ciò. Partiamo sabato, di buon’ora. L’idea è di trascorrere la notte al rifugio Denza e di scalare la Nord della Presanella: siamo un bel gruppo, faranno tutti la Normale sul ghiacciaio, io e Robi invece scegliamo di salire lungo una via su roccia perché il richiamo per un falesista è irresistibile.

La Nord della Presanella

Robi ha tanta esperienza di vie in ambiente, fortissimo in falesia, appassionato di parapendio, navigato insomma. Io ho cominciato a tirare racchette solo da qualche anno, ma sono già andato a volare sui miei friend qua e là; per il resto prima volta su ghiacciaio, prima piccozza e primi ramponi ai piedi. Un buon modo per fare le cose un passo alla volta.

Ci svegliamo alle quattro, colazione rapida e poi cominciamo a salire i 700 m che ci dividono dall’attacco della via. E’ ancora buio quando mettiamo i piedi sul ghiacciaio: ci leghiamo e cominciamo a segnare la traccia; l’aria mattutina è frizzante, si fatica non poco per arrivare all’attacco della via risalendo il ghiacciaio. Dalle profondità della terra il ghiaccio manda rumori come se in un attimo dovessero aprirsi voragini impreviste. Fiato ne ho, ma la pietraia mi spezza le gambe e arrivo alla base della placconata stravolto dalla fatica.

Attacca Robi, cattivo, scarponi ai piedi su una parete che non promette niente di buono; io ho ancora addosso il fiatone dalla salita sul ghiacciaio di due ore e mezza e gli lascio volentieri il posto. Individuiamo una linea e Robi passeggia, 60 metri senza indugio, io lo seguo, scarpette ai piedi perché di arrampicare con gli scarponi proprio non ne ho voglia. Arriviamo in sosta e capiamo che è tutto sbagliato.

Non siamo sulla via giusta, probabilmente abbiamo attaccato troppo a destra e allora cominciamo a salire in conserva; pedalando rapidamente scaliamo 200 metri su roccia pessima e polverosa.

Tutto tace, ma la montagna è viva sotto di noi e si fa sentire, scarica sassi che sfrecciano come proiettili: ne vedo arrivare uno ed ho giusto un attimo per abbassare lo sguardo prima di sentire il classico “poc” sul casco.

La montagna cambia, non si lascia vincere facilmente: si smonta, si stacca tutto e io, abituato a tirare urlando in falesia, conservo tutte le urla e la paura dentro di me; mi sposto cauto, testando ogni presa e passo, ma non basta: a metà via metto la mano su uno svaso e si stacca un masso grande come una scrivania.

Alle dieci siamo a metà via, già sopra i 3000 m, un po’ di fatica a respirare: arriviamo sotto una grossa fascia strapiombante che divide la parete idealmente a metà.

Proviamo e riproviamo, ci mettiamo un’ora per capire il punto più debole dove rimontare; si aprono fessure su tutta la via, non molto logica finora; cerchiamo di essere rapidi, ma non è facile.

In un oceano di granito polveroso ed eroso da ghiaccio e neve, troviamo solo tre soste spittate, rispetto alle dieci previste; ogni tanto uno spit ci conferma che stiamo salendo dalla parte giusta, forse.

Francesco e Roby in vetta

Per fortuna tutti i nostri dubbi sul prendere freddo in parete svaniscono: cielo terso e zero vento, scaliamo al sole fino al penultimo tiro. Il sole caldo mi rincuora un po’ e lava via un po’ di dubbi e incertezze sulla via.

Alle 13.30, quando siamo praticamente sotto la cima e sembrano mancare giusto due o tre tiri, la parete va in ombra: in una splendida giornata di sole, un gran freddo ci investe improvvisamente, facendoci sentire tutto il gelo che non abbiamo provato finora.

Alle 15.20 siamo in cima: è finita, penso. La testa è stanchissima, ma sono al settimo cielo, fisicamente mi sento in gran forma. Scattiamo delle foto, la tensione molla un po’. La cima ti riempie ogni volta di emozioni difficili da spiegare. Davanti a noi si apre un panorama stupendo sotto la cima Presanella; l’arco di rocce frastagliate fra la Cima Vermiglio e la Presanella fa da splendida cornice al nevaio che scende sul versante opposto alla nostra via. Lo percorriamo tutto per raggiungere la Forcella Freshfield a 3375 m.

Decidiamo di scendere rapidamente perché è tardi e un paio d’ore abbondanti per tornare al rifugio dobbiamo metterle in conto. Da qui la discesa è sulla Normale, un ghiacciaio non troppo ripido: la traccia da seguire è evidente, battuta dagli alpinisti che sono saliti al mattino, la neve stracotta dal sole ci fa affondare spesso fino al ginocchio. Più a valle sul ghiacciaio s’intravedono due lunghi crepi; la traccia un po’ si perde e facciamo lunghi traversi per aggirare i crepacci che si aprono sul pendio di discesa.

Un tratto di ghiaccio vivo, tre o quattro metri al massimo. Dura una frazione di secondo il momento in cui perdo il piede. Adrenalina a palla. Scarico il peso sulla picca, ma non basta: scivolo sul ghiacciaio per diversi metri e finisco in un baratro. Sensi acutissimi. Sono incastrato fra due pareti di ghiaccio compatto.

Guardo in alto, 10 metri fino al bordo del crepaccio. A sinistra, il terrazzino di ghiaccio e neve sul quale mi sono fortunatamente fermato prosegue per 5 o 6 metri, poi il crepaccio si chiude. A destra, prosegue per decine e decine di metri e non se ne vede il fondo.

Cerco di stare fermissimo, la paura di finire nel vuoto m’inchioda. Poi urlo come non ho mai fatto; Robi mi urla di rimando, poi silenzio. I secondi diventano ore.

Non lo vedo più, lo sento poco, ma so che Robi sta preparando un paranco sulla neve. L’attesa sembra infinita, cerco di immaginare mentalmente i passaggi che deve fare per prepararlo, cercando di far passare il tempo. Deve essere sceso un bel po’ verso l’apertura del crepaccio: anche se la caduta è durata un attimo sono scivolato parecchio sul pendio del ghiacciaio.

La Presanella

Urlo ancora, è l’ansia di essere rimasto solo senza alcun motivo, nelle profondità del ghiacciaio; urli per restare vivo. Molte cose mi passano in mente, tutto ciò che ho lasciato indietro.

Mi lancia una corda, mi lego, ma uscire da quella trappola ghiacciata, schiacciato e incastrato fra due pareti di ghiaccio, è impossibile. Muoversi, e rischiare di finire per decine e decine di metri nel fondo del crepaccio.

Quando l’adrenalina scende, comincio a tremare come non mi è mai successo: sono completamente vestito, ma ho i pantaloni fradici e il quadricipite – schiacciato a contatto con la parete di ghiaccio – comincia a tremare in modo convulso. M’impongo di respirare, cerco di controllarlo e continuo ad attendere fiducioso.

I sensi diventano ancora più acuti: il gorgoglio dell’acqua sul lato destro del crepaccio è incessante, un’enorme caverna viva e gelida. E poi a un tratto, senza accorgermene, mi addormento. Passano secondi o minuti, non so.

Mi sveglio improvvisamente, conscio di essermi addormentato per il freddo. Comincio a parlarmi, piango un po’, so cos’ho sbagliato, so che ci posso lasciare la pelle. Fa sempre più freddo e il corpo si fonde contro un mare di ghiaccio gelido. Una cascata di ghiaccio e neve cominciano a scendere dall’alto, come se una gigantesca valanga stia arrivando. Sembra non avere fine, aghi di ghiaccio penetrano anche il guscio e il freddo di poco prima sembra niente a confronto. Sembra l’ironia della sorte, invece è solo l’elica dell’elicottero che sposta qualunque cosa davanti a sé.

Lo sai che è finita. E sai anche che volente o nolente ci tornerai. La montagna chiama.

More from Alessandro Gogna
La via
Per presentare il libro La via di Nejc Zaplotnik (VersanteSud, 2020) abbiamo...
Read More
Join the Conversation

2 Comments

  1. Volare sui friends, gambe stanche, conserva su roccia marcia, gran forma fisica in vetta (son buoni tutti) e infine la caduta nel crepaccio.
    Ti auguro tutto il meglio ma qualcosa da rivedere nel tuo modo di andare in montagna io la prenderei in considerazione.

  2. says: Roberto

    La Presanella la conosco bene,ma non ho assolutamente capito che via ha saluti sto qua..mah..

Leave a comment
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *