di Saverio D’Eredità
(pubblicato su Rampegoni il 25 maggio 2021)
Stilare classifiche e liste è sempre un giochetto divertente seppur fine a sé stesso. Nel mondo alpinistico le raccolte più o meno note di “le 100 più belle…” (scalate, sciate, cime, traversate… l’elenco può essere lunghissimo) sono una costante e bisogna ammettere che ognuno di noi ha le sue liste segrete. Che poi, si sa, lasciano il tempo che trovano, ma dato che viviamo una passione che per metà è sogno e metà azione, quella parte di sogno va pure coltivata! Il bello delle liste è che se ne possono creare di tutti i tipi. Il brutto (ma anche il bello, su) è che non metteranno mai tutti d’accordo, e mi sembra normale. Ma c’è un tipo del tutto particolare di liste, quelle che potremmo definire “filologiche”, che sono certamente da intenditori, ma almeno abbastanza oggettive. Sono le liste che si costruiscono sulla storia, sui legami sottili tesi attraverso le epoche, i personaggi, gli stili. Richiedono conoscenze, una certa dose di gusto e anche capacità di osservazione. Se dovessi iniziare a parlare di una “Lista” di linee sciistiche di alto livello citando Emilio Comici forse qualcuno inizierebbe a non seguirmi. Non è infatti noto a tutti che proprio Comici, lo scalatore simbolo dell’epoca del sesto grado, fosse anche un altrettanto appassionato esploratore di salite su neve e ghiaccio. Le Alpi Orientali, si sa, non sono il terreno ideale per questo genere di salite, eppure una caratteristica propria delle Dolomiti e delle Giulie sono proprio i grandi canaloni nevosi. Cupi e incassati tra le pareti, spesso interrotti da salti “misteriosi” in quanto imprevedibili e soggetti all’andamento delle stagioni, i canali dell’est hanno caratteristiche peculiari rispetto a quelli dell’ovest. Soprattutto, sono linee “naturali” e per questo non possono che attrarre l’insaziabile occhio dei cacciatori di linee. Tanto di salita quanto di discesa.
E qui arriviamo a Comici, alpinista che ha sempre messo l’estetica sopra a tutto, il quale non rimase insensibile al fascino di queste profonde venature che incidono le crode, vedendoci la possibilità di disegnare anche li delle linee di salita. Il senso estetico, ma anche l’attrazione per l’esplorazione, sono la molla del Comici “ghiacciatore” ante-litteram, con i mezzi ancora scarsissimi dell’epoca (in cui, ricordiamolo, per lo più si saliva a suon di gradini), con protezioni aleatorie se non nulle e conoscenze approssimative delle condizioni. Negli anni ’30 la ricerca di salite nuove lungo i canali in Giulie e Dolomiti era cosa piuttosto inusuale. Sfruttati, laddove possibile, negli anni dei pionieri (in cui anche le condizioni ambientali erano diverse e i canali ben gonfi offrivano qualche volta soluzioni più pratiche ai percorsi in piena parete), rimangono piuttosto in disparte negli anni a venire. Un certo Willo Welzenbach sta rivoluzionando la tecnica con le prime salite di ghiaccio vero e proprio, ma nel complesso l’attrazione per questo genere di salite è limitato. Comici, però, ci vede qualcosa, quasi un completamento della ricerca che porta avanti su roccia e nel giro di pochi anni individua e sale un trittico di canaloni tanto misteriosi quanto eleganti: Berdo, Tre Scarperi e Sorapiss.
Iniziamo dal primo, quello di Forca Berdo, in Giulie. È il più lungo e senza dubbio il più impressionante, incassato tra le pareti della Cima Verde e del Modeon del Montasio, una fucilata di 800 metri. A metà, un salto roccioso rappresenta l’incognita. Già tentato timidamente negli anni ’20 viene salito da Comici con Deffar e Brunner nel giugno del 1928. Il “crux” è una colata di ghiaccio mista a roccia friabile: un bel quinto marcio! A leggere il resoconto di Comici si comprende come fossero rischiose quelle salite, con conoscenze limitate. Questo come altri canali vengono saliti per lo più ad inizio estate quando è vero che la neve è trasformata, ma bisogna giocare bene con il sole e le temperature. Motivo per il quale i tre sono velocissimi, ma solo per non finire impallinati dalle scariche! Due anni dopo salirà il canalone ovest dei Tre Scarperi, nelle Dolomiti di Sesto, con Fabjan e Slocovich: defilato e poco appariscente sembra quasi più un diedro coricato tra pareti marciotte e campanili precari. Una salita questa che verrà presto dimenticata, eppure per l’epoca salire con quattro ferri scoli ghiacciati di 55° non era proprio un giochetto.
Quello del Sorapiss è un altro canale misterioso, incuneato in questa montagna articolata e complessa che dispiega le sue vele quando la si vede da Misurina. Il canalone però lo si nota solo da certe prospettive. Sebbene sia il più corto dei tre presenta varie incognite, difeso com’è da un “ginocchio” roccioso e da salti e strozzature che forse all’epoca di Comici (che lo sale nel ’29 con Brunner) doveva essere ben diverso. Chi prova oggi a salirlo non di rado se ne torna con le pive nel sacco, a causa delle mutazioni costanti di questi itinerari sempre più soggetti allo stravolgimento climatico.
Quando le tecniche si affinano ed incontrano uomini visionari possono accadere cosa inaspettate. E nello sci questo incontro può aver effetti eccezionali. Quando uno come Heini Holzer letteralmente si “inventa” sciatore estremo sono gli anni 70, a mala pena si concepiscono alcune traversate con le pelli e poche cime si reputano adatte ai lunghi sci dell’epoca. Holzer fa scorrere le lamine là dove qualcuno sale a colpi di picche e ramponi, suscitando anche un po’di invidia tra chi non capisce che il piccolo Heini è un pioniere ed un innovatore. Nel 1974, nel pieno della sua ricerca di “100 discese estreme” (ed ecco che tornano le classifiche!) spunta anche il canale Comici dei Tre Scarperi. Il movimento del ripido prende piede anche ad Est. Ed è curioso che grandi sciatori vengano dal mare. Del resto, si parla di esploratori con l’ignoto nel sangue. Negli stessi anni di Holzer e senza troppo clamore sono due triestini (Cernaz e Piemontese nel 1980) a scendere il “Comici” del Sorapiss. Ed arriviamo, infine, al capolavoro della Berdo, scesa nel 1986 dall’immenso Mauro Rumez con l’inseparabile Carlo Gardossi.
Ecco una “trilogia di Comici” molto particolare che non sfugge agli amanti dell’arte interpretata con gli sci ai piedi. Che sanno vedere, proprio come il grande triestino, l’estetica della natura espressa in quei “couloir” tenebrosi eppure magnetici. In questi giorni il “solito” Mosetti ha messo il suo punto alla trilogia, scendendo il Comici dei Tre Scarperi a completamento degli altri due, scesi (anche più volte) nel 2013 e 2015. Rispetto alla difficoltà sciistica Mose non ha dubbi sul fatto che dei tre, il Berdo sia forse il più difficile: strettissimo, ripido, costante e anche il più esposto a causa dell’insuperabile salto che implica una doppia. Una discesa di altissimo livello, ripresa da pochissimi sciatori in questi anni e le cui condizioni sono davvero difficili da imbroccare, valutabile 5.3/E4 per 800 metri con punti a 55°. Quello del Sorapiss è invece un canale che si presta maggiormente alle ripetizioni (è infatti il più corto e meno ripido, in ogni caso mediamente sui 50° e valutabile 5.2, E3), ma sempre piuttosto “incognito” proprio a causa dei salti che possono rendere più o meno continua e al tempo stesso sempre piuttosto avventurosa la discesa. Diverso il discorso dei Tre Scarperi, defilato rispetto alle Dolomiti “da copertina” e molto “sui generis” proprio per quella forma aperta. La notevole inclinazione e l’incognita dell’uscita in forcella (difesa da un muro di ghiaccio) lo rendono particolarmente severo ed “ingaggioso” (600 mt, 5.2, E3).
Quello del Mose è un punto di arrivo, ma anche un omaggio. Ad un amico, ad una “rockstar” come lo definisce il Mose, ma di quelle che ha parlato poco e vissuto molto intensamente. Che lo sci era un fatto suo, da vivere come un sogno. Federico Deluisa, il “Delu” che abbiamo ricordato su queste pagine proprio un mese fa , era stato il primo a completare i tre canali, due dei quali col Mose già nel 2015. E la discesa di Enrico va letta anche così, come il ricordo di un amico e della sua capacità di vedere e sognare cose nuove, vivendole per sé.
La “trilogia di Comici”, fatta di neve e ghiaccio, unisce le epoche e gli stili sotto il marchio dell’esplorazione e della ricerca. Che spesso viene vissuta come un percorso interiore. Perché è vero che facciamo le liste, discutiamo di gradi, difficoltà, bellezza, però il bello dell’alpinismo, con gli sci o con le picche, con i chiodi o senza corda, è sempre e comunque la sua creatività, il suo essere una storia che ciascuno racconta diversamente. O semplicemente vive, senza raccontarla. Che sente sua, nel momento in cui ci si volta indietro e si rivedono le tracce nella neve come pennellate, una firma che sappiamo essere effimera e proprio per questo preziosa. Momenti in cui il vuoto diventa pieno. E abbiamo la certezza di essere vissuti.