La trentesima Conferenza sul clima si sta per aprire con ritardi (anche dell’Unione europea) e polemiche: un tratto di foresta amazzonica è stato disboscata per far arrivare i 45mila delegati attesi a Belém, in Brasile.
Dieci giorni alla Cop30
(al centro il tema della finanza per il clima. L’Ue ancora senza obiettivi)
di Sofia Pegoraro
(pubblicato su lastampa.it il 10 ottobre 2025, aggiornato)
La vera domanda non è se la transizione ecologica si farà. Il punto è come e chi ne beneficerà. Ormai c’è una consapevolezza: «Una transizione ritardata è costosa. Nel clima più rinviamo, più paghiamo». Tutto questo sarà centrale alla prossima Conferenza sul clima – la Cop30 – come spiega Valeria Zanini – Analista Diplomazia Climatica per ECCO, un think tank italiana che a novembre sarà in Brasile, a Belém, per l’appuntamento annuale più importante per far avanzare l’azione sul clima.

La Cop è l’annuale Conferenza delle Parti sul clima. La prima si è tenuta a Berlino nel 1995, dopo la creazione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Unfccc) a Rio de Janeiro nel 1992. Alla prima edizione erano presenti 2mila persone, alla prossima a Belém in Brasile – dal 10 novembre al 21 novembre – ne sono attese 45mila.
I presupposti
Bene, ma non benissimo le premesse della Cop30 non ancora iniziata a Belém in Brasile. A un mese esatto dall’inizio della Conferenza sul clima si sommano ritardi, polemiche e difficoltà, mentre i delegati non riescono a trovare un posto letto. Il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula ha riconosciuto le difficoltà strutturali della città amazzonica di Belém ma ha ribadito che l’obiettivo è trasformare l’evento in un appuntamento di concretezza e trasparenza: «Non sarà la Cop del lusso, ma la Cop della verità». Nel frattempo, da marzo è in costruzione una nuova autostrada di 13 chilometri che attraverserà la foresta pluviale amazzonica protetta, devastandone decine di migliaia di acri. C’è poi la questione della carenza di hotel: decine di Paesi devono ancora assicurarsi una sistemazione. Gli organizzatori della Cop30 stanno correndo per convertire motel, navi da crociera e chiese in alloggi per i circa 45mila delegati attesi.
A cosa sono servite, finora, le Cop?
«Le emissioni del mondo continuano a crescere, ma a un ritmo più contenuto». Questo è quello che Zanini direbbe «a chi sostiene che le Cop non servono a niente». Prima dell’accordo di Parigi del 2015, «si temeva un aumento delle temperature fino a 4-5 gradi entro fine secolo. Oggi, con gli impegni presi finora, le proiezioni si sono ridotte a 2,5-3 gradi». Può sembrare poco, ma «la differenza è enorme: sul sistema terra ogni decimo di grado fa la differenza in termini di rischi, danni e costi», aggiunge l’esperta. Il secondo grande risultato di trent’anni di conferenze sul clima è l’accelerazione delle rinnovabili. «Lo scorso anno il 15 per cento dell’elettricità mondiale è arrivato da eolico o solare. Negli anni siamo riusciti a creare un’economia che spinge per una transizione energetica. D’altronde, è sempre più conveniente farlo».
Cosa c’è in ballo?
Fondamentale sarà passare dalle promesse alla messa in pratica. Anche dopo la Cop29 di Baku nel 2024 un tema resta cruciale: «la finanza per il clima». Come spiega Zanini, «i Paesi in via di sviluppo rivendicano un aiuto finanziario nell’affrontare la crisi climatica dai Paesi a più alto reddito, maggiormente responsabili delle emissioni a livello storico». Nella pratica, gli obiettivi restano confusi: alla Cop15 del 2009 ai Paesi in via di sviluppo erano stati promessi 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 per sostenere l’azione climatica. Gli analisti stimano però che il risarcimento dovrebbe aggirarsi almeno intorno ai 2.400 miliardi. «Da negoziati bisognava ridisegnare questo obiettivo. Non ci siamo arrivati. Il punto non è solo la cifra, ma la qualità dei fondi: quanti contributi a fondo perduto, quanti prestiti agevolati, quali garanzie e che ruolo per la Banca Mondiale e le altre banche di sviluppo nel mobilitare capitale privato».
Chi partecipa?
A Belém sono attese le delegazioni dei governi di tutto il mondo, con Capi di stato e gruppi di negoziatori. La chiamata è prima di tutto per l’economia e la finanza come per l’ambiente. Possono partecipare delegazioni di parlamentari, anche da Strasburgo. Poi ci sono gli osservatori dai think tank, il terzo settore, le associazioni non governative, media, attivisti. In un certo senso però può partecipare chiunque: a margine del vertice internazionale, Belém ospiterà diversi eventi sul tema della Cop.
I ritardi di tutti e le promesse dell’Europa
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha promesso «nuovi target sul clima Ue pronti entro la Cop30». Bello, anche se dovevano essere pronti entro febbraio 2025. «Bene l’impegno, ma i ritardi dovuti a divisioni interne rischiano di erodere la credibilità internazionale dell’Ue e la sua capacità di orientare l’agenda», sottolinea Valeria Zanini. «Prima di arrivare alle Cop, tutti i Paesi, dovranno presentare i loro “Ndc”: i piani nazionali con cui i Paesi indicano gli obiettivi climatici e le misure per raggiungerli, da aggiornare ogni cinque anni». Per ora «ne mancano molti, anche quelli dei grandi emettitori». All’80esima Assemblea generale Onu, il Segretario generale Antonio Guterres ha presieduto il Summit sul clima, creando «uno spazio specifico per sollecitarli: ora la partita è capire chi arriverà con piani credibili prima della Cop30». L’Ue, «da sempre leader della diplomazia climatica, a New York si è presentata più debole e con una leadership scricchiolante», aggiunge Zanini.

I nuovi obiettivi europei
La presidente von der Leyen sottolinea l’obiettivo: «Ci impegniamo a diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Siamo saldamente sulla buona strada per raggiungere il nostro obiettivo del 2030, ovvero ridurre le emissioni del 55 per cento». Il modo in cui verranno raggiunti questi obiettivi sembra destinato a cambiare: «La concorrenza globale è agguerrita e non sempre leale. Abbiamo bisogno di maggiore flessibilità e di più pragmatismo».

E’ inutile che meniamo il can per l’aia. Se vogliamo davvero modificare le cose, occorrono delle misure molto impopolari.
A carico di tutti: nazioni, industrie, singoli cittadini. Da parte dell’Occidente sprecone, certo, ma anche delle nuove economie (Cina, India, ecc) che sono oggi i fornitori dell’Occidente sprecone. Infatti se chiudiamo i mercati consumistici, che sono principalmente occidentali, i fornitori non sapranno più dove vendere i loro prodotti. Quindi nessuno vuole davvero l’inversione del trend e queste convention sono solo delle sagre dell’ipocrisia.
In seconda battuta c’è anche un problema di modalità di sostituzione del modello consumistico. Alcuni esempi: il piano europeo per l’auto green (sostituzione forzata dei motori termici con auto elettriche) era una bufala, con inevitabili ripercussioni sul piano occupazionale, difatti è caduto e tutti ora lo rinnegano. Coibentare gli edifici significa arrivare a distruggere l’esteriorità dei palazzi, con danni al patrimonio artistico non irrilevanti, specie per con testi come quello italiano. Tappezzare il territorio di pale eoliche significa rovinare le bellezze naturali.
Insomma, prima del dibattere “se” si vuole cambiare, con una conclusione “ovvia”, ma proprio per questo “ipocrita” (é ovvio che nessuno dirà di “no”), bisogna identificare delle soluzioni alternative, logiche, concrete e pragmatiche. Allora sì che il dibattito avrà un senso e ben vengano le ulteriori puntate delle Cop. Invece, allo stato attuale questi eventi sono più che altro delle occasioni per ritrovi mangerecci e festaioli dei partecipanti.