Un sogno lungo 50 anni

Una imperdibile storia dell'arrampicata finalese

Storie dell’arrampicata finalese 1968-2018
Alessandro Grillo
Edizioni Versante Sud

Ricordo perfettamente quella volta che Alessandro Grillo mi parlò del Finalese e delle rocce meravigliose che ne caratterizzano le valli: era il novembre 1968, stavamo arrampicando sulla Rocca dei Banditi, una parete di roccia metamorfica nell’entroterra di Genova-Pegli che oggi non c’è più, disintegrata dalle cave selvagge. A quel tempo avevamo fame di roccia, gli scalatori genovesi non avevano un grande terreno a disposizione per provarsi e per allenarsi: il Roccione di Cravasco, la Pietragrande o il Monte Pennone non reggevano il confronto con la Bajarda (Pietralunga), di gran lunga il terreno più vario ma a sua volta del tutto insufficiente alla fame di giovani che sentivano di non aver nulla di vicino da esplorare. Altre rocce (il Castello della Pietra o la Biurca) erano di infido conglomerato e solo pochi avevano il coraggio di frequentarle. E in ogni caso mancava totalmente un terreno calcareo, dalle caratteristiche di verticalità dolomitica: tanto è vero che una delle mete più frequentate da noi era proprio la lontana Grignetta, ai tempi in cui c’era ancora tanta nebbia e l’attraversamento di Milano, senza tangenziali, era ancora inevitabile. Un viaggio!

Insomma, Grillo mi vagheggiava pareti fino a 250 metri, verticali e strapiombanti, di roccia stupenda e particolare. Da qualche mese nell’ambiente girava voce di questo “sogno”. E lui e Gianni Calcagno si erano spinti in ottobre a mettere il naso tra le esplorazioni che i fratelli Eugenio e Gianluigi Vaccari, assieme a Roberto Titomanlio, facevano ormai da qualche mese, dopo che lo stesso Titomanlio in primavera, assieme a Gianfranco Negro, aveva aperto la prima via in assoluto, la Titomanlio alla parete est di Rocca di Corno.

Ricordo che a quel tempo non c’era ancora l’Autostrada dei Fiori (che fu inaugurata il 6 novembre 1971), quindi le pareti, invisibili dall’Aurelia, erano rimaste ignote, non si sapeva neppure bene quante ce ne fossero… Il viaggio da Genova, con scassate 500, non favoriva un rapido approccio né un’esplorazione immediata.

Nel gennaio 1969 mi trasferii da Genova a Milano. La mia nuova base operativa non mi consentì dunque d’essere parte attiva in quei primi anni di meravigliosa scoperta delle rocce finalesi, dove Alessandro Grillo, assieme ai suoi amici, fece la parte del leone, meritando alla fine l’appellativo di vero “scopritore di Finale”. Sì, perché se i Vaccari, Titomanlio e qualche altro avevano aperto vie per divertirsi, con Grillo si assiste alla precisa volontà di portare quel territorio a piena conoscenza di tutti, presagendo quel cambio di mentalità che il Nuovo Mattino avrebbe sancito ben tre anni più tardi. Fino a compilare la prima guida di arrampicata, che uscì nel 1975. Alessandro si è stabilito con la moglie Franca a Finale già dai primi tempi, per lui possiamo davvero parlare di 50 anni di vita là.

Il 19 maggio 2018 l’esistenza di questo cinquantennio è stata sottolineata dalla gioiosa e a tratti commovente presentazione del libro Un sogno lungo 50 anni, storie dell’arrampicata finalese 1968-2018 (VersanteSud, 2018, euro 19,90), nella prestigiosa cornice dell’Auditorium S. Caterina di Finalborgo.

Erano presenti tantissimi arrampicatori, quelli che hanno fatto la storia, quelli che hanno chiodato le vie e poi richiodate, quelli che con la loro presenza hanno richiamato migliaia di appassionati di trekking e di mountain-bike: insomma tutto il mondo che ha contato e conta, che ha trasformato un entroterra tutto appoggiato sul mare e sulla speculazione edilizia degli anni Sessanta in un territorio che vanta una sua caratteristica e un suo stile turistico.

Grillo si sente tra i maggiori responsabili di questo cambiamento e, anche se nulla mai chiese in cambio, desidera giustamente che ciò gli venga riconosciuto. I suoi racconti sono spassosi ma anche intimi: sono tante le domande che Alessandro si è fatto nella sua vita, poche quelle cui è sicuro di aver risposto.

Questa sua scrittura, che davvero spazia tra le emozioni di una vita, ha fatto in modo che anche gli amici che non ci sono più abbiano nel libro, oltre che ovviamente nella storia, un loro posto tra ciò che più si è amato. La loro presenza, quella sera a Finalborgo, era avvertita come un caldo abbraccio di affetti e faceva dimenticare le assenze fisiche di quei pochi che non hanno potuto o voluto esserci.

Questo libro – racconta l’autore – è come un viaggio di un vecchio treno di provincia, di quelli a vapore, che si fermavano ad ogni stazione di tutti i paesini, tra sbuffi e stridii di freni. Qui racconto la mia personale esperienza, pioneristica e quasi esplorativa, coinvolgendo gli amici che mi hanno accompagnato e che per la massima parte non ci sono più, poiché fermamente convinto che sia una cosa molto importante e nobile mantenere in vita i ricordi.

Il 1968 è una data particolare e importante per Finale ligure e per i tanti piccoli paesi che lo compongono, perché siamo quasi riusciti a nascondere gli ombrelloni e le spiagge sotto una marea di roccia e di sentieri nei boschi. Da quel momento iniziò una entusiasmante storia, che non solo ha sviluppato la nostra sagacia di lucertola, ma ha fatto conoscere questi luoghi in tutto il mondo. E trainato da questo vecchio, ma potentissimo treno, si è immensamente sviluppato ciò che va sotto l’orribile nome di outdoor, con tutto quello che si porta dietro.

 

Alessandro Grillo è nato a Genova il 10 dicembre 1940, è laureato in Chimica pura e aveva quasi terminato il percorso per diventare medico, specializzato in Psicologia applicata.
Nella sua vita ha fatto molti lavori, dallo scaricatore di carbone e balle di cotone ai tempi dell’università sino a fare l’imprenditore sanitario, attività che ha smesso solo scorso anno lasciando l’attività alla più grande delle sue due figlie.
Ha arrampicato e scalato oltre che a Finale in moltissime parti del mondo: Alpi, Himalaya, Cordillera Blanca, Alpamaio, Huascaran. È stato al Fitz Roy e al Cerro Torre, senza riuscire però a scalarli, e recentemente in Antartide e Torri del Paine. Ha arrampicato in Algeria (Hoggar, Tesnu e Garet el Genun) e in Marocco.
Ha viaggiato per 20 anni, uno o due mesi l’anno, in Africa, per divertimento e per aiuti umanitari, Algeria, Libia, Niger, Ciad, Darfur, Mali, Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio.

Scrive per riviste e tiene conferenze e presentazioni. E arrampica ancora con entusiasmo.

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