Annibale passò: ma dove passò?
di Pier Mario Migliore*
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 12 marzo 2024, in origine pubblicato in tre parti nel 2022 sulla rivista L’escursionista, rivista online dell’UET – Unione Escursionisti Torino, sottosezione del CAI Torino)
Foto di Pier Mario Migliore*
Conoscere, scoprire, capire il territorio che mi circonda è un interesse che affonda le radici nell’infanzia, quando cercavo di trasformare in presente i racconti del passato dei miei genitori.
Amo profondamente i luoghi in cui vivo e la scoperta di quanto racchiudono mi affascina e mi stimola nella continua ricerca di nuove informazioni che spesso partono da insignificanti indizi per arrivare a un “qualche cosa” che aggiunge tasselli alla precedente conoscenza.
Il più delle volte le tracce del passato non esistono più o sono talmente tenui che senza “l’allenamento al vedere” non si riescono a percepire.
Il voler obbligatoriamente interpretare il non perfettamente visibile può essere forviante della realtà e diventare fantasia: ritengo comunque molto più appagante costruire “castelli di carta” che si autodistruggono con il prosieguo della conoscenza, che appiattirsi su sguardi senza visione.
Quando la storia locale si interseca con la “storia ufficiale” dei testi scolastici, il mio interesse accresce ulteriormente, facendo assumere al luogo percorso un’importanza maggiore.
Una di queste correlazioni è sicuramente fornita da Annibale che nel 218 a.C., con l’attraversamento della catena alpina, raggiunse con il suo esercito il suolo italico.
Storicamente è assodato che i Cartaginesi, partiti dalla Spagna, valicarono le nostre Alpi Occidentali e arrivarono nelle terre dei Taurini, ma il punto esatto di scavalcamento non è ancora stato identificato.
Il pensare che questa impresa abbia avuto come scenario la corona alpina che sovrasta i tetti delle nostre case, e nel contempo sia ancora oggi priva di un riscontro storico sull’itinerario percorso, stuzzica prepotentemente la mia voglia di scoperta. Da anni seguo le notizie sull’argomento, leggo, percorro itinerari montani verosimilmente collegabili all’avvenimento e oggi, con questo articolo, mi propongo di aggiungere anche la mia tesi all’immenso mondo di ipotesi accumulate nel tempo.
Non essendo un cattedratico e neppure uno storico, posso permettermi una libertà interpretativa con rivisitazioni che sconfinano tra fantasia e leggenda, ma nel contempo ritengo che una “visione escursionistica” dell’argomento possa apportare nuovi spunti di riflessione per avvicinarci alla soluzione della “vexata quaestio”.
Iniziamo con la descrizione di tre “ritrovamenti” che potrebbero essere tracce lasciate dall’esercito cartaginese lungo il suo itinerario, per poi esporre il collegamento tra essi e formulare una nuova ipotesi del valico ad oggi non ancora trovato.
Prima della lettura del libro di Massimo Centini “Sulle orme di Annibale” pubblicato nel maggio del 1987, la mia propensione al collocamento del valico di Annibale era indirizzata verso l’area del Cenisio. La presenza di un lago (Savine), l’aspetto glaciale del luogo, la visuale verso la pianura, il passaggio non sulla via di grande transito, la difficoltà della discesa verso il fondo valle, erano tutti elementi che combaciavano con la descrizione dello scavalcamento fornita dal cronista greco Polibio (203-121 a.C.) e dal latino Tito Livio (59-17 a.C.). In questo libro vengono passati in rassegna tutti i principali valichi delle Alpi Occidentali partendo dal Tenda per arrivare al Gran San Bernardo. Nella parte finale viene descritto un percorso (Annibale 85) che Centini insieme ad un gruppo di persone accomunate dall’interesse di trovare il colle, compie tra l’area del Col Clapier 2475 m (Cenisio) e il Colle del Majt 2706 m (alta Val della Ripa).
Quest’ultimo colle costituisce l’ipotesi di scavalcamento più recente formulata dagli storici che si sono interessati all’argomento. Tra i promotori l’archeologo e studioso pinerolese di arte preistorica Cesare Giulio Borgna, che nel suo libro del 1983 Annibale attraverso le Alpi, e relativo supplemento avente come sottotitolo “accertata la validità dell’ipotesi del Colle del Majt”, ha ben descritto questa tesi.
La pubblicazione è oramai introvabile, ma per una serie di fortuite circostanze sono riuscito a procurarmela alcuni anni fa presso la “Grafica Cavourese” dove era stata stampata.
Nel libro di Borgna, ripresa anche da Centini, abbiamo la trascrizione della testimonianza di Maggiorino Marcellin, comandante partigiano della prima divisione alpina autonoma “Val Chisone”, in cui racconta che nella primavera estate del 1944, durante la realizzazione di trincee nella zona del Lago Losetta al Colle del Sestrière, venne rinvenuta una zanna di elefante consunta dal tempo e anelli semi rotondi probabilmente di rame e ottone.
Sempre nello stesso periodo vennero trovati altri reperti di fattezza antica anche sopra Balboutet e in regione Bessen Haut. I momenti non erano sicuramenti tra i più felici, era in corso da parte dei tedeschi e fascisti una vasta operazione (Nachtigall) che aveva per obiettivo lo smantellamento delle formazioni partigiane e la “riconquista” del territorio delle alte valli di Susa e Chisone. Il libero accesso dell’area di confine tra Italia e Francia era per i tedeschi di vitale importanza, visto che gli alleati stavano avanzando dalla Provenza e dal sud Italia.
In quel frangente l’interesse per la “chincaglieria forse antica” era di sicuro marginale. Prima di ripiegare dall’area del Sestrière il comandante si premurò di far collocare i reperti in due o tre casse, occultandole nella tomba della famiglia Mallen al cimitero di Champlas du Col.
Dalla testimonianza di Marcellin: “I tedeschi in rastrellamento, frugarono dappertutto, anche nei cimiteri, trovarono ed asportarono le casse. Una si ruppe e rimasero i pezzi per la strada di Champlas. Cercai di recuperare qualche cosa alla liberazione ma i paesani, che forse ancora oggi danno da mangiare alle galline nei vasi, non mi consegnarono mai nulla. Qualcuno, ricordando il fatto disse che forse qualcosa era stato venduto a dei ferrivecchi”.
Ancor oggi questo ritrovamento ha avuto poco risalto e spesso mi trovo a dialogare con persone che, anche se conoscono diversi aspetti della vicenda annibalica, nulla sanno di questo specifico argomento.
Solo dopo dieci anni dalla pubblicazione del libro di Borgna lessi sulla Stampa del 6 aprile 1993 (cronaca di Torino) un articolo dal titolo Annibale passò dal Sestrière – sul colle una zanna di elefante in cui si intervistava Marcellin e si riportava la notizia del ritrovamento.
Il non aver potuto consegnare agli storici questi reperti lascia spalancata la porta del dubbio; reperti archeologici che nulla hanno a che fare con i punici, zanna che potrebbe appartenere ad un periodo più recente ed essere arrivata in questo luogo in un contesto sconosciuto o resti di un elefante preistorico: possiamo pensare a tutto e all’opposto di tutto, ma a mio avviso questo è un passo nella “giusta direzione”.
Estate 1977: secondo potenziale ritrovamento. Nel sud della Francia, alle spalle del monte Ventoux, nelle gole del Toulourenc (comune di Mollans-sur-Ouvèze), venne scoperta una grotta ubicata a livello del letto del fiume con dei disegni rupestri.
Le immagini che rappresentano uomini, animali in marcia e un elefante, si trovano ad una ventina di metri dall’entrata dell’antro e vennero visionate da esperti che le attribuirono al periodo storico dell’età del ferro (800 a. C – 50 d. C.) escludendo la loro appartenenza al Neolitico.
Da loro osservazioni comparative con i disegni dei Mammut presenti in altre località e ascrivibili a opere degli uomini preistorici, si rileva che il pachiderma raffigurato in questo ritrovamento è sicuramente un elefante ed in particolare per la dimensione dell’orecchio, riconducibile alla specie africana.
I disegni della grotta attualmente denominata “degli elefanti” sono stati cancellati dagli eventi naturali, privandoci della possibilità di ulteriori indagini scientifiche atte a collocare in modo inequivocabile la datazione storica.
Dall’immagine dell’elefante all’accostamento con Annibale il passo è stato breve: ma perché proprio qui abbiamo questa testimonianza del transito dell’esercito punico?
Soffermiamoci brevemente sul percorso francese del condottiero.
Sembra assodato che l’attraversamento del Rodano da parte di Annibale sia avvenuto a sud di Avignone nella zona di Tarascon; questo luogo e la distruzione della città dei Taurini sono le due citazioni geograficamente “certe” riportate negli scritti di Polibio e Tito Livio: partenza e arrivo dell’attraversamento delle Alpi.
La “storia ufficiale” riporta che con l’avvicinarsi dei cartaginesi al Rodano, i romani fecero affluire truppe nell’area di Marsiglia per sbarrare il passo all’invasore e nel contempo proteggere la città loro alleata.
L’ipotesi più plausibile della direttrice di marcia dei punici per raggiungere la pianura Padana, sembrava essere quella di un valico nelle Marittime.
O per adattamento alla situazione o per una strategia precedentemente concepita, la “volpe cartaginese” non fece quanto i generali romani si attendevano. Non ingaggiò battaglia e non continuò la marcia verso est ma dopo aver superato il Rodano andò a nord facendo credere di risalire il corso del fiume appena varcato.
L’inverno era alle porte (le Pleiadi erano prossime al tramonto) e non ci si poteva attardare; le Alpi dovevano essere superate prima che la neve rendesse impossibile l’impresa.
Anche per l’attraversamento del Rodano il generale cartaginese adottò una soluzione inusuale per la tattica militare dell’epoca. Guerrieri Galli delle tribù autoctone alleate a Roma si erano attestati sulla sponda opposta del fiume, per impedirne l’attraversamento. Un contingente cartaginese risalì la corrente e in un punto favorevole attraversò il fiume, mentre il grosso dell’esercito approntava zattere per poter traghettare sull’altra sponda tutto “l’armamentario”, compresi gli elefanti.
Quando i cartaginesi, che avevano attraversato il fiume, furono alle spalle dei Galli, iniziò la traversata fluviale dell’esercito, chiudendo in una morsa senza scampo coloro che intralciavano l’avanzata.
Ricordiamoci di questa tattica militare, ci servirà per meglio comprendere l’ipotesi inerente al valico che andrò ad esporre.
Ritorniamo ai disegni della grotta. Se, come ci dicono gli studiosi, queste immagini possono essere attribuite ad un abitante del luogo che “impressionato” dalla grandezza di quanto aveva visto decise di lasciarne traccia, dobbiamo cercare la correlazione tra il passaggio di Annibale e il luogo.
Come riportato precedentemente le legioni romane si erano posizionate sulla strada verso le Alpi, si doveva quindi trovare un alternativa per non dare battaglia.
Applicando anche a questa situazione i comportamenti tattici “non scontati” del cartaginese, possiamo ipotizzare che questa soluzione fosse preventivata.
Il muoversi su rotte fluviali e su collegamenti tra esse era un metodo ben conosciuto sin dall’antichità. Singoli o masse di persone in viaggio avevano come prima necessità il bisogno d’acqua; spostarsi a ridosso dei fiumi soddisfaceva questa esigenza e nel contempo era fonte di nutrimento per gli animali al seguito (dove c’è acqua c’è erba) e aumentava la sicurezza del cammino proteggendone un fianco.
Mollans-sur-Ouvèrze è all’inizio di un percorso che collega il bacino del Rodano alla valle della Durance accorciando il percorso che più a sud risale tutta la Durance. La “scorciatoia” ricalca sommariamente l’antico tracciato denominato “Chemin des Ligures”. Proprio in queste zone nel 1985, in un riparo sotto roccia, viene segnalato un ritrovamento di una ventina di monete d’argento risalenti al III secolo a.C. La scoperta conferma ulteriormente che questo percorso è utilizzato sin dall’epoca preromana.
Dal luogo del ritrovamento pittorico, passando per Buis-le-Baronnies, La Rochette-du-Buis e Mévouillon, si arriva nella valle della Durance a Laragne-Montéglin, località ubicata tra Sisteron e Embrun. Questo percorso attraversa l’area tra gli attuali dipartimenti della Drôme e delle Hautes-Alpes, nella spettacolare cornice geologica delle Baronnies.
In questo modo i Romani sembrerebbero disorientati e per “intercettare” nuovamente il nemico dobbiamo attendere la battaglia del Ticino, che obiettivamente è ad una certa distanza dal Rodano.
Come per i ritrovamenti del Sestrière, anche in questo caso la scoperta non certifica una matematica certezza del passaggio dell’esercito punico, ma se inseriamo i due ritrovamenti su di una carta geografica, avvaloriamo l’ipotesi che il valico di Annibale sia ubicato sul crinale che divide l’area idrografica della Durance dalla Dora valsusina. Tesi sostenuta da Borgna per i colli del Majt e del Sestrière.
Dopo queste letture e successivi approfondimenti, la mia personale opinione in merito al colle annibalico si sposta decisamente a favore del Majt. Parere espresso anche in un mio articolo pubblicato sul notiziario CAInforma della sezione di Orbassano nel dicembre del 1996; scritto “stuzzicato” dalla mascotte dei campionati del mondo di sci alpino che si svolsero al Sestrière nel febbraio 1997. Un elefante sugli sci chiamato Annifant.
12 e 19 luglio 2017. Da due articoli apparsi su L’Eco del Chisone apprendo che da alcuni anni erano in atto delle ricerche interdisciplinari (biologiche-archeologiche) finalizzate alla ricerca del valico alpino di Annibale tra la val del Guil e la val Po. Le recensioni informavano che lo stato dei lavori veniva presentato a Crissolo (14 luglio 2017) dal coordinatore delle ricerche William Mahaney (università di Toronto), Chris Allen microbiologo dell’università di Belfast, Rady Dirszowsky esperto di geomorfologia dell’università di Toronto e Peeter Somelar ricercatore di geologia e mineralogia all’università di Tartu in Estonia. La stessa notizia viene anche ripresa il 19 luglio dal quotidiano La Stampa.
La cosa mi incuriosì enormemente e subito iniziai ad informarmi sull’argomento. Constatai che la notizia da anni era presente negli ambienti scientifici, ma solamente all’inizio di aprile 2016 fece la sua apparizione su Internet. Le comunicazioni comunque non erano molte e in qualche caso risultavano anche contraddittorie tra loro e per ora non sono ancora riuscito ad avere riscontri di “prima mano” sull’argomento. In sintesi: i ricercatori sulla base delle descrizioni tramandate dagli storici Polibio e Tito Livio pensano di aver individuato il punto di attraversamento delle Alpi nel Colle delle Traversette 2938 m.
Seguendo questa intuizione analizzano gli strati di terreno delle zone umide presenti sui due versanti del colle e in particolare l’area del Pian del Re. I prelievi fornirono resti di escrementi che con l’analisi genetica rilevano la presenza di Clostridia, batterio caratteristico delle feci equine. Questa materia organica rinvenuta in quantità rilevante, non poteva essere imputabile al normale passaggio di mandrie transumanti, ma doveva essere stata lasciata da una massa considerevole di cavalli. In questi luoghi non abbiamo memoria storica di transiti di eserciti con al seguito la cavalleria, ecco quindi che l’ipotesi diventa quella del passaggio dell’armata punica, ulteriormente avvalorata dalle analisi che datano i ritrovamenti approssimativamente al secondo secolo avanti Cristo.
Il colle interessato da questa ricerca non è nuovo nel panorama “dei papabili” e questo supporto scientifico introduce una pesante propensione alla sua candidatura.
Rispetto al tracciato Majt-Sestrière, l’itinerario delle Traversette è decisamente più difficoltoso, in particolare per la discesa sul versante italiano. Qui la presenza di “neve vecchia” e le varie insidie di percorso descritte dagli antichi storici sono sicuramente più realistiche, anche se mi chiedo come abbiano fatto a far scendere gli elefanti sul passaggio obbligato del crinale roccioso che dal colle porta sotto l’attuale Buco di Viso.
Le ricerche sul materiale organico proseguono “a tutto campo”; fondamentale sarebbe trovare riscontri che oltre ad avvalorare la presenza di un elevato numero di equini, confermassero anche la presenza degli elefanti.
In merito a questo ho trovato “tra le righe” delle varie cose lette, una frase imputata a Mahaney che testualmente diceva: “Anche sul versante francese, dall’altra parte delle Traversette, abbiamo trovato reperti che certificavano la presenza di cavalli. In una zona paludosa sono stati scoperti batteri provenienti da apparati digerenti di mammiferi. Si trattava di equini e, in due casi, addirittura di elefanti”. Non conoscendo altro di questa affermazione per ora la “parcheggio” con le altre informazioni.
Dopo questa scoperta le mie precedenti convinzioni su dove Annibale varcò le Alpi “vacillano”, ma nel contempo non capisco come possano esserci due potenziali prove posizionate su punti di valico completamente diversi. Per quanto concerne l’ubicazione dell’elefante di Mollans si concilia con tutte e due i siti del potenziale attraversamento.
Maggio 2018. E’ disponibile il libro di Roberto Giacobbo Il segreto di Annibale che, oltre al racconto di tutta l’epopea annibalica, dà ampio spazio alle ricerche di Mahaney. Per l’autore questo ritrovamento costituisce il passo forse definitivo nella scoperta del valico. Nelle pagine non trovo accenno agli altri due ritrovamenti (Sestrière e Mollans-sur-Ouvèrze) e questa mancanza di contraddittorio non mi aiuta nelle mie elucubrazioni verso l’identificazione del colle.
Come ogni “giallo” che si rispetti, la soluzione deve essere “sofferta”.
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Estate 2018. Sulla porta d’ingresso della libreria ubicata nel budello di Laigueglia una locandina che pubblicizza un romanzo, attira la mia attenzione: Liguri e Cartaginesi, l’alleanza che fece tremare Roma di Luigi Colli: la cosa mi incuriosisce e lo acquisto.
Negli spazi concessi dall’ozio balneare leggo la pubblicazione. Il racconto ha un profilo avventuroso, intercalato da riferimenti storici reali o comunque verosimili e tra essi la ricostruzione che l’autore riporta in merito allo scavalcamento delle Alpi.
L’evento viene collocato a fine estate del 218 a.C., con clima caldo e siccitoso.
Per questi motivi la disponibilità idrica in contemporanea per tutti gli animali risulta difficoltosa, creando la necessità di suddividere l’esercito su più direttrici di scavalcamento, separando i cavalli e gli elefanti dalla fanteria, con I’obiettivo di ricongiungersi al di là della catena alpina. Nel racconto si specifica che gli animali si sarebbero abbeverati nelle aree umide ai piedi del monte Ves.
La vetta citata è il Monviso; il suo nome deriva dalla radice linguistica indoeuropea “Ves”, che indica altura e successivamente trasformato dai romani in Mons Vesulus, ovvero montagna ben visibile.
Presumo che l’autore conoscesse le vicende relative ai ritrovamenti “biologici” delle Traversette e su questi abbia ricostruito la vicenda narrata nel suo libro; trovo interessante l’ipotesi di più colli utilizzati per l’attraversamento.
Con questo ulteriore spunto di riflessione, che mi aiuta a far riaffiorare pensieri dimenticati, “riattivo” il collegamento tra i tre ritrovamenti e proseguo nella personale ricostruzione dell’impresa, continuando a prestare attenzione a tutto quanto ha collegamenti con questo argomento.
Verso fine estate, in allegato al quotidiano La Stampa, viene distribuita la quarta ristampa del libro di Centini: Sulle orme di Annibale. Dal mio primo acquisto di questa pubblicazione (1987) sono passati oltre trent’anni, il suo perdurare in libreria è sicuramente imputabile ad un interesse non secondario della vicenda. Lo stesso autore nella premessa di questa edizione testualmente afferma: “In tutta onestà devo confessare che non avrei mai immaginato che questo libro trovasse tanto eco”; e ancora: “Capisco che tanto fervore non nasce dal libro ma dal soggetto del libro che è riuscito e ancora riesce a infiammare la fantasia di tante persone”. Condivido pienamente le sue considerazioni, io stesso con questo articolo ne sono conferma.
Il lavoro viene proposto come “edizione aggiornata”: non posso perdermi l’occasione di lettura.
Per quanto concerne “il valico” nulla di nuovo. Anche se la stampa è successiva alla scoperta di Mahaney, questa non viene citata. Come novità si descrivono sedici anni di battaglie (dal Ticino a Zama), si introducono delle “curiosità” legate alla seconda guerra punica, si riporta la biografia dei protagonisti.
Sempre in questo frangente estivo, trovo ulteriori notizie sul percorso cartaginese delle Alpi nel libro Duemila anni di clima in Val di Susa di Luca Mercalli e Daniele Cat Berro, pubblicato nel giugno 2018. Questo argomento storico non è sicuramente primario per la pubblicazione, ma trova motivo di interesse nella descrizione degli storici antichi, inerente la presenza di neve lungo la traversata. Gli autori non entrano nel merito della disquisizione su “quale è il colle”, maggiori accenni vengono fatti alla tesi sullo scavalcamento del Clapier (Cenisio), perplessità vengono espresse sulle ipotesi di Mahaney e i ritrovamenti del Sestrière non vengono menzionati.
Per quanto riguarda il clima di quel periodo si fa cenno a ricostruzioni con metodi biogeochimici, che collocano quegli anni verso la fine di un periodo freddo precedente la fase climatica mite dell’epoca romana. Anche con questi presupposti, non si possono escludere temporanee stagioni più fredde in cui a fine estate possano essere presenti, in particolare nei coni di valanga, tratti di neve compatta rimasta dall’inverno precedente. Se a queste considerazioni aggiungiamo la caduta di neve durante la traversata (nulla di eccezionale visto che siamo verso fine ottobre), ecco trovata la rispondenza dei cronisti antichi in cui si parla di neve nuova su neve vecchia, che ha creato problemi al “poco montanaro” esercito punico.
La situazione nivale delle nostre montagne è profondamente cambiata negli ultimi anni; io stesso nei ricordi di trenta-quaranta anni fa ho ben presente pendici estive di nostri monti imbiancate, cosa che oggi neppur più troviamo nei versanti in ombra. Il traslocare l’aspetto climatico di oltre 2000 anni alla situazione odierna è sicuramente fuorviante e nel contempo non può essere discriminante per l’individuazione del ricercato colle.
Inizio dicembre 2018. Viene pubblicato lo speciale di “Torino Storia” inerente gli albori di Torino (Avanti Cristo – Tre milioni di anni dimenticati); tra gli articoli, “Il terremoto di Annibale che cancella Taurasia” scritto da Centini.
Nelle righe nulla di nuovo, si conferma che il colle rimane sconosciuto, si riporta il ritrovamento del Sestrière, si ribadisce la propensione dell’autore verso la tesi del Majt e non si fa accenno alle scoperte “biologiche” inerenti le Traversette. Una frase mi colpisce: “non sembra inverosimile neppure il passaggio su colli diversi non troppo lontani”. Non ricordo se questa considerazione è anche riportata nel suo libro, se anche fosse l’ho dimenticata. In una manciata di mesi è la seconda volta che leggo di questa eventualità e questa ipotesi comincia a trovare spazio tra le mie riflessioni.
Colli non troppo lontani tra loro: valutazione che deve essere fatta dal versante transalpino e non cisalpino.
Per capirci: Il Majt e i colli del Cenisio sono entrambi punti di scavalcamento che scendono nella valle della Dora Riparia; sono relativamente vicini tra loro, ma la distanza di accesso di queste località, percorrendo i tracciati fluviali dal versante francese, diventa molto lontana. La separazione in due colonne dell’esercito cartaginese per raggiungere questi due colli e riunirsi nella valle di Susa sarebbe dovuta avvenire poco dopo l’attraversamento del Rodano; troppa strada da percorrere in territorio potenzialmente ostile per un esercito “smembrato”. Ben diversa è la prospettiva rappresentata dall’attraversamento in contemporanea del Colle Majt e il Colle delle Traversette. La partenza della traversata, per tutte e due le direttrici di valico è da Abriès, nella valle del Guil, mentre lo sbocco in Pianura Padana avviene in due valli diverse: val Po per le Traversette e val Chisone per il Majt con il Sestrière.
Percepisco di essere “sulla buona strada” per formulare una teoria con tratti di originalità rispetto alle altre conosciute, ma nel contempo mi rendo conto che ancora manca “il perché” di questa soluzione.
16 e 31 gennaio 2020 (alle porte del lockdown). La delegazione FAI di Torino organizza presso la propria sede due incontri sul condottiero cartaginese (Annibale il cartaginese che sfidò Roma). Nella speranza di acquisire nuove informazioni sull’attraversamento alpino, partecipo. Gli incontri sono tenuti dal dott. Omegna; non è uno storico “professionista”, ma un appassionato e focalizza l’esposizione sull’aspetto “militare” di Annibale, analizzando la sua capacità tattica sui campi di battaglia.
Da questa partecipazione non ho ricevuto nuovi elementi “geografici” riguardanti l’attraversamento alpino, il relatore non aveva elementi sull’argomento, ma ascoltando con attenzione le spiegazioni su come questo condottiero preparava e attuava le manovre del suo esercito in battaglia ho acquisito elementi che a mio parere diventano determinanti per capire le modalità dello scavalcamento montano. Nell’ampliamento della quarta edizione di Centini, citata in precedenza, si trovano sommariamente descritte le battaglie: il sentire l’argomento a viva voce con specifici approfondimenti è comunque stato più incisivo ed esaustivo.
Su Annibale gli strateghi di tutte le epoche, non ultimi i generali della seconda guerra mondiale, hanno parole di elogio e paragonano il condottiero ad un esperto scacchista che muove i suoi “pezzi” con una imprevedibilità che disorienta l’avversario. Non manovrava le sue truppe secondo i classici schemi dettati dai manuali di guerra, ma adattava comportamenti in funzione del campo di battaglia che generalmente era lui stesso a scegliere. Tra le varie “mosse”, la manovra a tenaglia è sicuramente il suo capolavoro tattico.
Il riuscire ad arrivare con parte delle truppe alle spalle dell’avversario quando la battaglia si stava svolgendo in uno scontro frontale, gli ha consentito di riportare schiaccianti vittorie anche in situazioni di inferiorità numerica.
La stessa battaglia di Zama, dove si decretò la definitiva sconfitta del cartaginese, era stata condotta da Annibale senza errori, ma in questo caso il suo avversario, Scipione detto l’Africano, aveva dalla sua l’arma che per anni aveva favorito le vittorie dei punici: la cavalleria Numidica. Prima di proseguire con l’argomento dell’articolo, mi soffermerei brevemente su questa componente dell’esercito annibalico.
La Numidia è una denominazione territoriale dell’antichità, che identifica quella parte del Nordafrica compresa tra l’attuale Marocco e la Tunisia. I suoi abitanti (berberi) furono principalmente pastori nomadi e agricoltori sedentari ben integrati in quel “difficile” territorio, che comprende i monti dell’Atlante, le aree pre-desertiche e la fascia sahariana. Per queste popolazioni il cavallo era un fondamento della loro esistenza. Questi animali erano di dimensioni ridotte rispetto alle altre razze dell’epoca, ma erano estremamente rustici e frugali, temprati dall’ambiente in cui si erano formati. Fin da piccoli i membri di queste tribù venivano addestrati a cavalcare, trasformando in un “tutt’uno” il cavallo e il cavaliere. Non avevano sella e neppure briglie, ma controllavano la cavalcatura con una semplice corda intorno al collo e toccando l’animale tra le orecchie con un piccolo bastone.
Questa loro destrezza venne valorizzata inizialmente dall’esercito cartaginese e successivamente dai romani che a loro spese avevano imparato a conoscerli nelle guerre puniche.
La forza di questa cavalleria leggera (piccoli cavalli e armamento essenziale), stava nella loro mobilità, agilità, velocità. Annibale riuscì a rendere temibile questi combattenti, che di per sé non potevano costituire una particolare minaccia per un esercito strutturato. In tutte le battaglie sul suolo italico, determinante è sempre stato il ruolo di questa cavalleria. Posizionata sui lati della formazione di battaglia, con azioni veloci riusciva a scompaginare l’ordine della cavalleria avversaria, per poi attaccare alle spalle la fanteria nemica.
In altre occasioni questi cavalieri venivano adoperati per azioni di disturbo o per attirare in imboscate le truppe avversarie. Erano maestri nell’attaccare, dileguarsi e riapparire, erano ben integrati nella struttura dell’esercito con cui combattevano, ma nel contempo sapevano gestirsi spazi di autonomia.
Dopo questo approfondimento torniamo sui nostri passi: è arrivato il momento di esporre la mia teoria per l’individuazione del valico; esposizione che considera come effettive prove del passaggio annibalico la zanna del Sestrière, l’elefante di Mollans-sur-Ouvèrze e i rilevamenti biologici del Pian del Re.
Riposizioniamo il racconto all’attraversamento del Rodano, nei pressi dell’attuale Avignone.
Dagli storici sappiamo che Annibale “aveva fretta” e per “non perdere tempo” non ingaggiava battaglia: l’inverno si stava avvicinando e l’attraversamento alpino doveva avvenire prima dell’inverno.
A mio avviso non era prudente l’entrata in Italia lungo costa: poteva essere facilmente intercettata dai romani. Gli sbarchi di contingenti avrebbero ostacolato la marcia: le legioni arrivate a difesa di Marsiglia ne erano un esempio. La via “poco sopra il litorale” poteva essere quella di uno scavalcamento sulle Marittime ma anche in questo caso entrava nel raggio d’azione dei romani accorsi a difesa di Marsiglia che, anche sconfitti, avrebbero fatto subire perdite e ritardato il passaggio delle Alpi. Inoltre, analizzando la struttura geografica di questo territorio, possiamo constatare che per arrivare sul crinale del settore alpino meridionale non vi sono percorsi fluviali che consentano un avvicinamento agevole: bisognava passare “più a nord”.
In questo contesto “del doversi sbrigare” a superare la catena alpina, mi sembra non razionale risalire il Rodano sino alla confluenza con l’Isere e poi ancora arrivare alla confluenza con l’Arc per risalirlo e finalmente arrivare ai piedi del Cenisio. Sempre inerente la valle dell’Arc sono state formulate ipotesi di valico che immettono nelle valli di Lanzo tramite i colli dell’Autaret e dell’Arnas: conosco queste località e direi che far transitare una moltitudine di uomini, animali e masserizie su questi valichi, equivale a volersi “cercare le grane”. Peggio ancora le tesi che identifica come passaggi il Piccolo o il Gran San Bernardo; per accettare questa eventualità, si dovrebbero riscrivere completamente i tempi di percorrenza della spedizione cartaginese tra i Pirenei e le Alpi.
Per esclusione rimane da valutare il passaggio sulle Cozie. Sul versante transalpino la via fluviale che arriva ai piedi di questo spartiacque e lo segue in parallelo è costituito dal corso della Durance. Come riportato in precedenza, questo fiume può essere risalito interamente dalla sua confluenza con il Rodano, oppure tramite la “scorciatoia” che da Orange ci porta nella zona tra Sisteron ed Embrun. Visto il ritrovamento di Mollans-sur-Ouvèrze, diamo per provabile quest’ultimo itinerario.
Risalendo la Durance potremmo arrivare a Briançon e di qui al valico del Monginevro con la successiva discesa in val di Susa e l’arrivo in Taurasia. Itinerario “eccessivamente ovvio” e, anche se non presidiato da contingenti romani, potevano essere presenti dei loro informatori.
Per non incorrere in questa probabilità cosa fece Annibale?
Alla confluenza del Guil con la Durance, lascia la valle principale e risale questo vallone secondario arrivando nell’ampio pianoro dove oggi è ubicato l’abitato di Abriès; davanti a lui si prospettano più itinerari di scavalcamento verso il versante italico.
Lettore escursionista, ti invito ad aprire una delle tue cartine della zona, individua la testata di valle del Guil e segui la linea di spartiacque, troverai svariati colli (almeno nove) che consentono di arrivare sul versante piemontese.
Da sud a nord elenchiamo i principali, indicando per ognuno la valle di discesa: Colle delle Traversette (val Po), Colle della Croce (val Pellice), Col d’Abries o di San Martino (val Germanasca), Colle del Majt (val Argentera).
L’esercito cartaginese per compiere l’impresa ha dovuto obbligatoriamente avvalersi di guide conoscitrici del territorio, solo così è potuto arrivare in questo luogo non posizionato su transiti già ai tempi ben conosciuti, ma nel contempo adatto a impostare l’attraversamento alpino come voleva il condottiero.
Il punto strategicamente “delicato” della traversata, poteva essere l’uscita sulla pianura. Popolazioni ostili nell’ambito montano ancora potevano essere ostacolo al cammino ma difficilmente queste sarebbero state motivo del fallimento dell’impresa. Altra cosa era trovare lo schieramento in formazione di battaglia delle legioni romane alla sbocco della valle, quando i punici, per la conformazione del luogo, ancora si trovavano in modalità di marcia.
Pur non avendo certezza di una simile eventualità, a mio avviso Annibale si mosse in modo da poter contrastare questa potenziale situazione. Dove il “grosso” dell’esercito cartaginese sfociava sulla pianura, doveva esserci un suo contingente posizionato alle spalle dell’esercito nemico che gli avrebbe sbarrato il cammino.
Pur non avendo ancora svelato la mia teoria sullo scavalcamento alpino dell’esercito cartaginese, penso di aver fornito tutti gli elementi per arrivare alla soluzione che prospetto. Ulteriore indizio: con questa ipotesi la zanna del Sestrière e i rilievi biologici del Pian del Re, da impossibili elementi da accostare diventano potenziali prove dell’astuzia del cartaginese.
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In parallelo alla stesura dell’articolo ho continuato ad accumulare notizie sull’argomento, nessuna è risolutiva, ma sempre più constato che l’enigma del colle di attraversamento alpino dell’esercito cartaginese affascina e richiama fiumi d’inchiostro e dispute dialettiche.
La teoria che colloca il passaggio al Colle Savine-Coche (zona Col Clapier), oggi continua ad essere la più conosciuta e le stesse amministrazioni locali di Bramans (valle dell’Arc) e Giaglione (valle di Susa), hanno valorizzato questa ipotesi con manufatti e pannelli illustrativi che forniscono un valore aggiunto ai sentieri che percorrono questo valico.
Ulteriore fascino al luogo è fornito dalla attuale non visibilità di questo colle, in quanto, a seguito di un evento franoso del Rochers Penibles, il valico si è trasformato in una dorsale che degrada verso il Clapier, con una antistante depressione dove si trovano dei piccoli laghi alpini. Nella zona dell’antico colle è oggi ubicata una costruzione di sagoma esagonale denominata bivacco Clapier o bivouac Hannibal.
Per una fortuita coincidenza, in una serata sull’escursionismo da me tenuta nel maggio di quest’anno presso la sezione Cai di Venaria ho adocchiato nella loro libreria il libro Annibale in Piemonte: la traversata delle Alpi dall’Ebro al Po di Edoardo Garello, edito nel 1985. Leggendolo ho appreso che l’autore era stato anch’esso tra i partecipanti dell’iniziativa “Annibale 85”, descritta nel libro di Centini del 1987 e grazie a questa lettura ho potuto aggiungere nuovi elementi all’argomento.
Lo scrittore è fortemente propenso alla tesi del Savine-Coche e nel libro fornisce una serie di spiegazioni archeologiche, etimologiche, toponomastiche atte ad avvalorare la sua convinzione. Lui stesso comunque ammette di non aver trovato nulla di tangibile, anche se nella spedizione è stato usato un metal-detector nei punti più “rappresentativi” della teorica traversata.
Il Garello cita i ritrovamenti del Sestrière (zanna e altri oggetti), ma resta fermamente convinto della sua ipotesi e collega i reperti con la possibilità che l’esercito cartaginese possa aver seguito più direttrici di discesa verso la pianura italica dopo aver valicato le Alpi. Personalmente sono perplesso sull’ipotesi che dopo lo scavalcamento l’esercito punico, o parte di esso, abbia nuovamente intrapreso una marcia “in salita” verso l’alta valle per raggiungere il Costapiana e il Sestrière. Su questo aspetto ritorneremo in un altro passaggio del presente articolo.
In merito ai reperti del Sestrière, apprendo dalle pagine di questo libro che il primo ad avere le notizie da Maggiorino Marcellin sia stato lo studioso Paolo Tosel negli anni cinquanta e in seguito da lui esposte nel congresso di Archeologia tenutosi a Varallo Sesia nel settembre del 1960.
Un ulteriore arricchimento sull’argomento mi è stato fornito dalla lettura estiva di Annibale. Un viaggio scritto da Palo Rumiz nel 2008. Un libro in cui l’autore con un viaggio contemporaneo ripercorre le tappe della vita del condottiero. Dalla natia Cartagine alle imprese iberiche, dal viaggio verso l’Italia allo scavalcamento alpino, dalla campagna peninsulare alla sconfitta di Zama, dalla fuga in Armenia alla morte sulle sponde del Bosforo.
Un percorso che supera l’aspetto turistico per soffermarsi su quanto questa vicenda storica possa avere condizionato anche il presente. Le parole dell’autore entrano nel territorio e fanno affiorare storie parallele alla storia “scolastica”. Incontra amanti del luogo in cui vivono, capaci di valorizzare le loro conoscenze e di esprimere la propria opinione anche se in contrasto con l’ufficialità.
In queste pagine è descritto l’incontro di Rumiz con Raymond Rozet; lo stesso da me “scovato” nei meandri di Internet, grazie al quale ho scoperto l’esistenza della “via dei liguri” (Chemin des Ligures), che dal Rodano porta al tratto superiore del corso della Durance.
Un libro che fa affiorare le varie negligenze italiche, dando voce anche alle contemporanee contestazioni, non ultima la TAV valsusina.
Un testo che a mio parere può essere assunto ad “inno” dell’escursionismo e per suggellare questa mia affermazione, riporto le testuali parole dell’autore, espresse mentre si trovava sul traghetto che lo riportava verso casa dopo aver trovato il luogo dove è collocata la lapide a ricordo della fine di Annibale, sulla riva del mar di Marmara: “Vorrei dire a questi turisti accanto a me: buttate via guide e tour operator, costruitevi da soli i vostri sentieri invisibili”.
“Annibale. Un viaggio” inizia con la salita che lo scrittore compie dalla val di Susa al Clapier non per certezza di ripercorrere il percorso del condottiero, ma come espresso a inizio articolo, per seguire l’itinerario ancor oggi più “pubblicizzato”. In merito al valico dice: “Una montagna di libri per un dettaglio, su cui gli storici litigano da sempre senza venire a capo di nulla” e ancor meglio come prosegue: “Comincio a chiedermi cosa e chi sto cercando. Forse Annibale non è un uomo, è una malattia. E noi siamo solo gli ultimi di una processione di allocchi venuti in pellegrinaggio su queste pietraie alla ricerca del nulla”.
Paolo Rumiz nel suo viaggio entra in Italia dal Colle della Maddalena e in quell’ occasione fa la seguente considerazione: “E se il Nostro fosse passato per più passi contemporaneamente? Lo stesso Barbarossa che aveva meno uomini per venire in Italia dovette dividere il suo esercito in quattro passi semplicemente perché ai suoi cavalli non mancasse il foraggio”.
L’ipotesi dei “più” colli di attraversamento direi che è oramai assunta come una quasi ovvietà. Questo concetto ho avuto occasione di esprimerlo a Filippo Crini, presidente del gruppo storico “Legio VIII Augusta” di Milano, presente alla manifestazione “Il segreto di Annibale” tenutasi il 10 e 11 dello scorso settembre a Crissolo e anche in questo caso le considerazioni sull’argomento sono state concordi.
La rievocazione storica citata trae la sua ragion d’essere nelle scoperte delle tracce biologiche di Pian del Re da parte di Mahaney e viene pubblicizzata come “dell’evo antico più alta d’Europa”.
Con piacere constato che quanto di seguito andrò ad esporre ha il seme gettato da altri, ma la sua unicità si esplica nell’ interpretazione dei tre ritrovamenti che, per quanto oggi sappiamo, potrebbero essere collegati al passaggio di Annibale.
Dopo tutto questo divagare sulle personali “scoperte” letterarie inerenti la traversata cartaginese delle Alpi, ritorniamo sulla mia tesi e ripartiamo da Abriès.
Annibale con tutto il suo esercito arriva alla testata del vallone del Guil. Anche se la stagione volge verso l’inverno, i pianori del luogo sono ricchi di acqua e offrono una sicura base alimentare per la moltitudine dei suoi animali: elefanti, cavalli, bestie da soma; forse anche mandrie e greggi razziate o avute in dono lungo il percorso e gestite come dispensa per l’esercito. Di questa disponibilità foraggera ne ho avuto riscontro lo scorso ottobre quando ho percorso questi luoghi. L’erba era secca, ma ancora ben presente e gruppi di vacche Limusine pascolavano sopra Ristolas (verso il Colle delle Traversette), mentre delle vacche Charolleise erano presenti sui pascoli tra La Montette e il Col del Majt.
Se il nostro condottiero è realmente quell’abile stratega descritto dagli storici, nella sua mente doveva aver ben presente la morfologia del territorio appresa da guide inviate dalle popolazioni padane che attendevano il suo arrivo.
A mio avviso tutto l’esercito valica sul Majt, ad eccezione della cavalleria che si mette in marcia verso il Colle delle Traversette. Dal Colle di Thuras possono essere passati piccoli contingenti per andare ad esplorare la zona di Bousson e Sauze di Cesana per accertarsi che non esistessero problemi per la colonna principale in discesa dal Majt in val Argentera. La stessa procedura potrebbe essere stata compiuta da esploratori che, scendendo in val Germanasca dal Colle di Abries, avrebbero verificato la situazione nella confluenza di questa valle con la val Chisone, nella zona dell’attuale Perosa Argentina. Dalla val Argentera l’esercito punico sarebbe risalito al Sestrière, per poi scendere verso la pianura dalla val Chisone.
Stesso comportamento si potrebbe ipotizzare per la seconda colonna di scavalcamento. Anche in questo caso gruppi di esploratori avrebbero potuto passare per il Colle della Croce, scendere in val Pellice, arrivare al piano e verificare l’eventuale presenza di situazioni ostili. Nel contempo la cavalleria dopo il passaggio sulle Traversette, la discesa in val Po, il superamento della Colletta di Barge, avrebbe potuto attestarsi alle spalle di un eventuale esercito romano posizionato all’uscita della Val Chisone per sorprendere la colonna cartaginese guidata da Annibale.
Pur mantenendo valida questa soluzione strategica, personalmente avrei fatto valicare la cavalleria al Colle della Croce: errore del condottiero o questa soluzione avrebbe portato i cavalieri cartaginesi troppo in prossimità dello sbocco della val Chisone con il rischio di essere individuati?
Ovviamente quanto descritto e solamente frutto delle mie congetture costruite su tutto quanto appreso e descritto in questo articolo, suffragato dalla personale conoscenza del territorio.
Sotto l’aspetto della difficoltà, il Majt e il Sestrière sono punti di attraversamento facili anche per una gran quantità di uomini, masserizie ed elefanti. Questo scavalcamento alpino non risponde assolutamente all’epopea descritta dagli storici antichi. Su questo itinerario la neve residua è improbabile, i passaggi “esposti” sono praticamente inesistenti, il contorno di cime minacciose è pura fantasia e da questi colli la pianura non si vede.
L’ambiente montano “severo” ben si collegherebbe allo scavalcamento delle Traversette: Polibio e Tito Livio ho hanno “esagerato” o potrebbero aver preso spunti dalle testimonianze della cavalleria!!!
Per quanto conosco, i ritrovamenti biologici di Mahaney constatano la presenza di una gran quantità di equini ma, almeno per ora, non trovano riscontri che avvalorano anche la presenza di elefanti. Il valico delle Traversette sul versante italico ha passaggi difficoltosi che con “prudenza” sono superabili da cavalli, ma quasi impossibili per gli elefanti.
Sempre “secondo la mia interpretazione”, oltre alla difficoltà di percorso non sarebbe stato opportuno affiancare gli elefanti alla cavalleria. I pachidermi da soli non formano un’entità militarmente autosufficiente; per espletare la loro forza abbisognano di reparti di fanteria e devono muoversi con un corollario di addetti che agevolino il loro cammino. Tutto questo sarebbe stato d’intralcio alla velocità di avanzamento dei contingenti a cavallo, che con un tragitto più lungo dovevano arrivare “all’appuntamento” prima che la colonna principale “sbucasse“ nella piana pinerolese.
Tutte e due le colonne dell’esercito cartaginese per scendere verso il piano, facilmente passano sulla sinistra idrografica della valle tenendosi a “mezza costa”. Passare lungo il corso fluviale poteva creare diversi problemi; sia il Chisone che il Po, nella loro valle natia hanno passaggi in gole anche profonde, che creano ostacoli naturali difficilmente superabili da un grande contingente. Visto come si è sviluppata l’antropizzazione delle valli nei secoli successivi, è facile ipotizzare che fin da quell’epoca i popoli alpini avessero ubicato i loro siti abitativi e le conseguenti tracce di viabilità sul lato solatio della valle, tenendosi lontano dall’impervio percorso del torrente. Ostana (Val Po) e Usseaux (val Chisone) possono essere citati come classici esempi di agglomerati dalle origini antiche, sorti su questo “asse” sospeso sopra il fondovalle.
Curiosità: Usseaux (come anche Ostana), è annoverato tra i “borghi più belli d’Italia” e sui muri delle sue case sono oggi presenti diversi “murales” che raffigurano scene di vita passata, flora e fauna alpina e uno decisamente “di altra natura”: la discesa annibalica. Questo disegno è tra i primi che hanno ingentilito le vie del paese. Lo vidi la prima volta durante la tappa di pernottamento sul percorso del “Camminaitalia ‘95”, tra Barsiglia e Susa. Ne rimasi felicemente sorpreso: una tangibile prova che anche altri optavano per la discesa dei punici in val Chisone.
Prendo spunto da questo accostamento, che poco ha di fondamento storico, per agganciare alla mia tesi sulla traversata cartaginese ulteriori elementi, che in questo caso affondano nella leggenda.
Mentre la cavalleria procede verso la sua meta, il grosso dell’esercito scende in val Chisone. Le asperità e il freddo gradualmente si affievoliscono, ma la struttura della valle ancora occlude alla vista la pianura. Dopo Perosa Argentina la valle si allarga e ora si può procedere più agevolmente. E’ pensabile che la lunga colonna si sia “sfilacciata”, bisogna quindi compattare le file prima di uscire dalla valle. Gli esploratori continuano la loro opera ricognitiva, ma presumibilmente non hanno ancora agganciato il contatto con la cavalleria. La piana tra Pinasca e Villar Perosa offre un valido punto di sosta per aspettare tutti. Proprio in questo tratto di valle, dal suo versante solatio, scende il rio del Grandubbione.
Oggi questo corso d’acqua lo si può attraversare su di un ponte di origine medioevale, denominato “ponte di Annibale”. Intrufolandoci nei meandri della leggenda, possiamo pensare che per agevolare il passaggio delle truppe, Annibale abbia fatto costruire un ponte presumibilmente posticcio, ma comunque momentaneamente utile per il passaggio degli elefanti e delle masserizie. Dopo questo utilizzo il ponte era forse ancora operativo e possiamo ipotizzare che gli abitanti del luogo abbiano continuato ad utilizzalo, apportando al bisogno delle migliorie, fino a trasformarlo in una struttura più stabile arrivata ai giorni nostri. In parallelo al mantenimento e all’utilizzo del ponte, può essere rimasto anche il ricordo del suo ideatore.
Il condottiero aspetta che arrivi la retroguardia e nel contempo attende notizie del posizionamento della cavalleria. La “truppa”, dopo settimane passate tra i monti, è ansiosa di uscire da questa situazione e forse comincia a dare segni di scoramento e agitazione. Prima che la situazione degeneri, Annibale raduna attorno a sé i vari capi del suo multietnico esercito e con loro risale il vallone del Grandubbione fino al Colle del Besso e al vicino rialzo del Monte Cristetto.
Finalmente la pianura è visibile e le montagne che tanto hanno dato preoccupazione sono posizionate a contorno di questa paesaggio. Da questa acropoli il condottiero arringa i suoi “capi popolo”, che stupiti ammirano la vastità del panorama. Ancor oggi, nonostante la cappa di inquinamento e la vasta urbanizzazione presente, queste alture offrono spettacolarità paesaggistica: figuriamoci a quel tempo…
Tra i vari scorci, la conca di Giaveno con sullo sfondo i laghi di Avigliana, il sistema morenico che scende verso Rivoli, il Musinè con lo sbocco della valle di Susa: con queste bellezze “negli occhi” non possiamo stupirci dell’esclamazione del condottiero: “Sono arrivato”. A questa frase una leggenda attribuisce l’origine del nome di Giaveno e un iscrizione latina posta sul lato di levante del campanile della città, testualmente riporta (o riportava) “iam veni specula poenus”.
Il ponte e la frase: due leggende che ben si conciliano con la mia tesi di scavalcamento.
Lo stesso Garello (citato nella prima parte dell’articolo), convinto sostenitore del Savine-Coche, citando i ritrovamenti del Sestrière e il ponte di Annibale di Dubbione, ipotizza che la “manovra a tenaglia” dei punici sia avvenuta con il ricongiungimento della colonna scesa in val di Susa, con quella che dalla val Chisone avrebbe risalito il vallone del Grandubbione, per arrivare nell’area aviglianese.
Ai tempi di questo scritto (1985) non erano ancora noti i ritrovamenti di Mahaney (seconda decade del 2000), con la conseguenza che questa intuizione, similare alla mia, mancava di elementi scaturiti successivamente.
Le Pleiadi sono al tramonto quando l’armata punica sfocia sulla pianura e tutte le accortezze strategiche di Annibale (o della mia fantasia), a nulla sono servite: i romani erano ben lontani e il primo scontro padano non avviene sul Chisone, ma avverrà sul Ticino.
Di qui inizia la campagna italica della seconda guerra punica e proprio i Taurini sono i primi a pagarne il prezzo con la completa distruzione della propria città. Emblematica è la frase usata da Tito Livio per descrivere l’esercito cartaginese che si allontana dall’antica Torino: “et Hannibal movit ex Taurinis”.
Per completezza informativa devo ancora citare quanto apparso sul bisettimanale dell’ovest torinese Luna Nuova il 24 settembre 2019 e ripreso nella pubblicazione del 9 settembre di quest’anno.
Negli articoli si cita la scoperta di Mahaney ma, non essendoci ulteriori approfondimenti sull’argomento, si afferma che rimane in essere l’ipotesi valsusina del Savine-Coche in questo caso sostenuta dagli archeologi laziali Fabio Papi e Stefano Giorgi. Oltre a quanto già citato su questo colle nei miei articoli, a supporto di questa tesi gli studiosi citano il ritrovamento di una moneta punica a Prà Piano, versante giaglionese della val Clarea e il rinvenimento di una testina di Baal (divinità punica) negli scavi dell’antica Ad Fines ad Avigliana. Anche in questo caso tutto questo non è risolutivo sulla certezza del colle; aggiungiamo comunque notizie alle notizie.
Vallate, colli, sentieri, pietraie, libri, articoli, conferenze, rievocazioni, sono entrati disordinatamente nella mia mente e in questa trilogia ho cercato di dare un’interpretazione a questa valanga di informazioni acquisite.
Sicuramente non ho risolto ”l’enigma del colle”, ma ugualmente mi sento appagato dall’opportunità che l’argomento mi ha fornito per approfondire ulteriormente la conoscenza del territorio in cui abito.
Annibale passò: ma dove passò?
*Pier Mario Migliore
Accompagnatore Nazionale di Escursionismo (ANE) del Club Alpino Italiano.