La cresta sud-est dell’Annapurna III

La cresta sud-est dell’Annapurna III
(finalmente scalata da un team ucraino)
di Federico Bernardi
(pubblicato per climbing.com il 17 novembre 2021)
Foto di Nikita Balabanov
Traduzione di Giulia Falangola

Gli alpinisti ucraini Nikita Balabanov, Mikhail Fomin e Viacheslav Polezhaiko hanno realizzato l’ambita prima ascensione della inviolata, complessa e imponente cresta sud-est dell’Annapurna III 7555 m arrivando in vetta il 6 novembre 2021.

La cresta fu tentata per la prima volta dagli scalatori britannici Steve Bell, Nick Colton e Tim Leach nel 1981. L’altezza massima da loro raggiunta, 6500 metri, è rimasta imbattuta per i successivi 40 anni, mentre i migliori alpinisti del mondo affrontavano la via, senza che nessuno si avvicinasse a meno di un chilometro dalla vetta. Nel 2016, gli austriaci David Lama, Hansjörg Auer e Alex Blumel hanno raggiunto più o meno la stessa altezza, ma una forte tempesta li ha costretti a rinunciare.

La cresta sud-est si sviluppa per 3.000 metri di altitudine e rappresenta una sfida incredibilmente impegnativa. È ostacolata da seracchi, è inesorabilmente ripida e presenta roccia friabile su tutti gli altri tiri di misto. In più, oltre la quota dei 7000 m, la ritirata diventa quasi impossibile; salire in vetta rimane l’unica opzione per salvarsi.

Nikita Balabanov, Mikhail Fomin e Viacheslav Polezhaiko sono alpinisti esperti e coraggiosi; nel 2014, sono stati candidati ai Piolets d’Or per la loro salita di Snow Queen (ED WI 4 M5; 1.500 metri) sul Langshisha Ri 6412 m; successivamente Balabanov e Fomin hanno vinto un Piolets d’Or per la loro prima ascensione di Daddy Magnum Force (ED M6 A3; 1.700 metri) sul Pilastro nord-ovest del Talung 7348 m nel 2016. Il trio ha tentato per la prima volta la cresta sud-est dell’Annapurna III nel 2019. Ho intervistato Balabanov per saperne di più su questa storica scalata.

L’Annapurna III con al centro dell’immagine l’elegante cresta sud-est

Bernardi: Puoi descrivere il tracciato della vostra salita? In che modo la linea differiva dal precedente tentativo del vostro team, nel 2019?
Balabanov: Abbiamo seguito la stessa linea del 2019. Inizia a destra della linea scelta in precedenza dal team di David Lama. La nostra linea è sicuramente più difficile dal punto di vista tecnico e presenta creste più delicate nella parte inferiore, ma è anche più sicura in termini di pericoli oggettivi. È difficile sintetizzare un percorso di tale portata; si parte da 4600 metri, per poi guadagnare 2.950 metri di altitudine.

La parte inferiore è più o meno moderata, con tratti di misto difficile e molta neve verticale e creste difficili senza protezione. Il punto cruciale tecnico si trova tra i 6000 e i 7100 metri. Si tratta di un misto di roccia verticale, misto duro, ghiaccio e creste innevate molto ripide. Quindi, la cresta sud-est si collega alla cresta sud e lì ci sono pendii di neve e creste più facili fino alla vetta.

La difficoltà complessiva la valutiamo fino a M6, 6a (5.10a), A3, 80° di ghiaccio e 90° di neve. Per quanto riguarda lo stile, come al solito, volevamo salire solo in puro stile alpino. Abbiamo scalato in un’unica spinta, senza corde fisse o accampamenti prestabiliti. Affrontare in questo modo una via così grande, ha rappresentato per noi una vera sfida piena di entropia e di ignoto. Non l’abbiamo ancora scritto da nessuna parte, ma abbiamo pensato di dare alla via il nome di Patience, è facile intuire il motivo! Inoltre, vogliamo che questa linea sia una sorta di tributo a David Lama e Hansjörg Auer, che purtroppo sono scomparsi, e la cui visione e il cui tentativo per l’Annapurna III nel 2016 rappresentano una fonte di ispirazione per molti alpinisti, noi compresi.

Bernardi: Quanta attrezzatura avete portato? Avete finito il cibo o il gas durante la scalata?
Balabanov: Come al solito, non abbiamo preso troppo. Una tenda Black Diamond Firstlight per tutti e tre, tre corde sottili, 10 friend, sette viti da ghiaccio, un set di dadi e un po’ di chiodi in caso fosse stato necessario ritirarsi e per progredire. Abbiamo calcolato che avremmo avuto bisogno di cibo e gas per 12 giorni, per cui abbiamo preso il necessario. In realtà, le condizioni sono state particolarmente difficili quest’anno, soprattutto per quanto riguarda la neve – e il tempo peggiorava ogni giorno – quindi la scalata è durata 18 giorni in totale, tra salita e discesa. A metà del percorso abbiamo capito che avremmo dovuto ridurre le nostre razioni se avessimo voluto mangiare tutti i giorni. Nonostante tutto, il 17° giorno abbiamo finito il gas e il cibo.

Bernardi: Come è stato il tempo? Sappiamo che c’erano forti venti in quota.
Balabanov: Secondo le previsioni, il tempo doveva essere buono e sereno. Tuttavia, ci sono state alcune specificità locali; quasi ogni giorno, delle nuvole cariche di umidità colpivano l’Annapurna III dalla tarda mattinata fino alle 18.00. Abbiamo avuto vento forte e neve quasi ogni giorno, ma non avevamo altra scelta se non quella di continuare a salire. In alta montagna i venti sono stati particolarmente forti. Il 5 novembre abbiamo tentato di raggiungere la vetta, ma il vento era talmente forte che non ci ha permesso di raggiungere la vetta da 7100 metri, quindi abbiamo trascorso la notte in una buca di neve a 7400 metri e abbiamo proseguito verso la cima il giorno successivo.

Bernardi: Nikita, cosa mi puoi dire dell’aspetto psicologico della scalata? Ha pesato molto?
Balabanov: Certo, l’aspetto psicologico è stato davvero impegnativo, perché ogni giorno abbiamo affrontato nuovi ostacoli e non capivamo fino alla fine se saremmo stati in grado di scalare o meno. Quanto più si sale ogni giorno, tanto più è difficile scendere in caso di un incidente, questo lo abbiamo capito. Ma tutto sommato siamo riusciti a superare tutto insieme. La discesa invece è un’altra storia. All’inizio avevamo pianificato di scendere attraverso la via utilizzata per la salita. Ma ci siamo resi conto che sarebbe stato troppo pericoloso e complicato e abbiamo deciso di scendere dal lato di Manang, seguendo la via dei primi salitori della montagna. Ma prima di raggiungere queste dolci pendici innevate, è necessario attraversare tre chilometri e mezzo di cresta a 7300 metri, il che è impossibile con venti che soffiano a 100 km/h, così abbiamo iniziato la nostra discesa dal versante occidentale, senza aver potuto pianificare nulla in precedenza. Abbiamo doppiato e abbiamo scalato per due giorni senza alcun rilievo o foto di questo lato dell’Annapurna. Ma siamo riusciti a trovare una via praticabile grazie alla nostra esperienza e alla buona sorte.

Il gruppo è stato raccolto in elicottero a un’altitudine di 5000 metri, dopo aver deciso che il complesso percorso per tornare al proprio campo base era irragionevolmente rischioso, a causa del territorio sconosciuto e della loro posizione sul lato opposto della montagna. Da allora sono tornati in Ucraina e, nonostante abbiano perso 10 chili ciascuno e abbiano subito un lieve congelamento, sembrano essere di buon umore.

Cronologia dei tentativi alla cresta sud-est dell’Annapurna III
(pubblicato su Alpinist n.78)
di Federico Bernardi, con contributi aggiuntivi di Bob A. Schelfhout Aubertijn

Alla fine di settembre 1981, Steve Bell, Nick Colton e Tim Leach (Gran Bretagna) sono i primi a provare la cresta sud-est. Gravata da caduta massi e valanghe, l’enorme difficoltà della via risultò prepotentemente. “Era come guardare in faccia il diavolo”, ha detto Colton al giornalista Ed Douglas. Colton e Leach raggiunsero i 6500 metri, ma una delle piccozze di Leach si spaccò, l’altra gli cadde e, in seguito, l’alpinista si ammalò. Poco dopo il rientro, entrambi smisero definitivamente con l’alpinismo.

A partire dal 5 settembre 1983, Jon Tinker, Rob Uttley, Trevor Pilling e Nikola Kekus (Gran Bretagna) lottarono contro il monsone per arrivare su una cresta incorniciata a 6150 metri. A corto di tempo, Pilling e Uttley passarono alla cresta est. Una bufera di neve li intrappolò a 6300 metri per cinque giorni. Nel frattempo, Tinker e Kekus abbandonarono il tentativo a sud-est e rientrarono al campo base. Uttley si ammalò e non poteva muoversi. Pilling scese al Campo Base per chiedere aiuto, ma i soccorritori Tinker e Kekus dovettero tornare indietro tra valanghe e temporali. Uttley morì in parete.

Mal Duff (Gran Bretagna) condusse una spedizione sulla cresta sud-orientale composta da sette alpinisti nel settembre 1989, che dovette subito rinunciare e optare per la cresta est a causa delle valanghe, per poi ritirarsi definitivamente per il meteo orribile.

William Bancroft e Scott Backes (USA) installarono il loro Campo Base a 4730 m nel settembre 1991, ma rinunciarono ben presto in quanto non riuscirono a trovare abbastanza neve da sciogliere per bere e idratarsi.

Nel settembre 1996 ci provarono Alex Lowe e Conrad Anker (USA): si acclimatarono sull’Annapurna IV ma rimasero bloccati per cinque giorni a 7200 metri tra neve, freddo e scarsa visibilità. Le prolungate tempeste di neve li costrinsero a terminare la loro spedizione sulla cresta sud-orientale.

Alla fine di settembre 2001, Jacek Fluder, Janusz Gołab, Stanisław Piecuch e Michal Szymanski (Polonia) installarono corde fisse sulla cresta sud-est fino a 5500 metri. Un caldo anomalo in parete— con rivoli che scorrevano sotto il ghiaccio e la neve – li costrinse al ritiro.

Nella primavera del 2007, Daniel Burson, Rusty Willis (USA) e i loro portatori scoprirono che le valanghe avevano spazzato via i sentieri che conducevano al Campo Base; dieci giorni di neve e pioggia conclusero la spedizione.

Nick Bullock, Matt Helliker e Pete Benson (Gran Bretagna) noleggiarono un elicottero per arrivare al Campo Base nell’ottobre 2010, dopo aver realizzato che i rischi per i portatori erano troppo alti per avvicinarsi a piedi durante un precedente tentativo che avevano effettuato nella stessa primavera. Quando si resero conto che la cresta sud-est era un azzardo e impossibile in stile alpino, tentarono, senza successo, una salita lungo la cresta est.

Anche David Lama, Hansjörg Auer e Alex Blümel arrivarono in elicottero al Campo Base nella Primavera 2016. Il freddo e le tempeste hanno ostacolato il loro tentativo, che si fermò all’incirca nello stesso punto più alto raggiunto da Colton e Leach nel 1981, 6500 m.

Nikita Balabanov, Mikhail Fomin e Viacheslav Polezhiko (Ucraina) effettuarono il primo tentativo della via ad ottobre 2019. La neve instabile li fermò a 6300 metri. “[La cresta SudEst] è un percorso così complicato dal punto di vista tattico che qualsiasi squadra dovrebbe considerare il primo tentativo solo come una ricognizione“, disse Fomin a ExplorersWeb.

Ukranians Make Historic First Ascent on Annapurna III, Besting 40-Year Highpoint
The Southeast Ridge has repelled attempts from some of the world’s greatest alpinists. Three climbers have solved another “last great problem” in impeccable alpine style.

Ukrainian climbers Nikita Balabanov, Mikhail Fomin, and Viacheslav Polezhaiko have made the coveted first ascent of one of the Himalaya’s most prized unclimbed features: the complex—and utterly massive— Southeast Ridge of Annapurna III (7,555 meters).

The ridge was first attempted by the British climbers Steve Bell, Nick Colton, and Tim Leach in 1981. Their high point of 6,500 meters stood for the next 40 years as the world’s best alpinists threw themselves at the route, none getting closer than a vertical kilometer from the summit. In 2016, Austrians David Lama, Hansjörg Auer, and Alex Blumel reached about the same elevation, but a foul storm forced them to turn around.

The Southeast Ridge gains 3,000 meters of elevation and is an incredibly serious undertaking. It is threatened by seracs, unrelentingly steep, and has loose, crumbly rock on all of the mixed pitches. Past attempts have successfully bailed from their respective highpoints, but retreat becomes near impossible at the summit; going up is the “easiest” way off the mountain.

Nikita Balabanov, Mikhail Fomin and Viacheslav Polezhaiko are experienced and bold alpinists— in 2014, they were shortlisted for the Piolets d’Or for their ascent of Snow Queen (ED WI 4 M5; 1,500 meters) on Langshisha Ri (6,412 meters); then Nikita and Mikhail won a Piolets d’Or for their first ascent of Daddy Magnum Force (ED M6 A3; 1,700 meters) on the Northwest Pillar of Talung (7,348 meters) in 2016. The trio first attempted Annapurna III’s Southeast Ridge in 2019.

Climbing spoke with Balabanov to learn more about his historic climb. This interview has been edited for clarity and length. -Ed.

Bernardi: Can you describe the character of your route? How did the line differ from your team’s 2019 attempt?
Balabanov: Yes, we followed the same line as in 2019. It starts to the right of the line David Lama’s team had previously chosen. Our line is definitely more difficult technically, and has more delicate ridge climbing in the lower part, but it’s also safer in terms of objective dangers. It’s difficult to give a summary of such a big route; it starts at 4,600 meters, so it gains 2,950 meters of elevation.

The lower part is more or less moderate with sections of difficult mixed and lots of vertical snow and difficult ridges without protection. The technical crux comes between 6,000 and 7,100 meters. It’s a mixture of vertical rock, hard mixed, ice, and super steep snow ridges. Then, the Southeast Ridge connects to the south ridge and there are easier snow slopes and ridges up to the summit.

The overall difficulty was up to M6, 6a (5.10a), A3, 80° ice, and 90° snow. Regarding the style, as usual, we wanted to climb in only pure alpine style. We climbed in a single push, with no fixed lines or pre-established camps. And for such a big route, for us, it was a real challenge full of entropy and the unknown. We haven’t written this anywhere yet, but we thought of naming the route Patience, of course you understand why. Also, we want this line to be a kind of a tribute for David Lama and Hansjörg Auer, who unfortunately passed away, and whose vision and attempt for Annapurna III in 2016 become an inspiration for many climbers, ourselves included.

Bernardi: How much gear did you take with you? Did you run out of food or gas?
Balabanov: As usual, we did not take too much. One Black Diamond Firstlight tent for three of us, three skinny ropes, 10 cams, seven ice screws, one set of nuts, and a bunch of pitons in case we needed to retreat and for progression. We calculated we would need food and gas for 12 days, so we took it. In fact, the conditions were especially difficult this year, especially the snow—and weather turns bad every day—so all the climbing lasted 18 days up and down. Somewhere in the middle of the route we understood we needed to cut our rations if we wanted to eat something every day. Regardless, on day 17 we were out of gas and food. 

Bernardi: How was the weather? We knew there were strong winds up there.
Balabanov: According to the forecast, the weather was good and clear. But there are some local peculiarities; almost every day, some wet clouds would hit Annapurna III from late morning until 6 pm. We had strong wind and snow almost every day, but didn’t have any option except to continue climbing. On the upper mountain the winds were especially strong. On November 5 we had an attempted summit day, but the wind was so strong that we couldn’t reach the summit from 7,100 meters, so we spent the night in a snow hole at 7,400 meters, and continued to the top the next day.

Bernardi: Tell me about the psychological aspect of the climb.
Balabanov: Yeah, the psychological aspect was really intensive, as every day we faced some new obstacles and didn’t understand until the end if we would be able to climb it or not. The higher you climb every day, the more difficult it is to get down in case of an accident, and we understood this. But all in all we manage to overcome everything together. The descent is another story. At first we planned to go down by way of ascent. But we realized it would be too dangerous and complicated and decided to go down the Manang side, by way of the first ascensionists. But to get to these gentle snow slopes you must traverse three-and-a-half kilometers of ridge at 7,300 meters, which was impossible under 100-kilometer winds, so we started our descent on the west side, which we hadn’t planned before. We rappeled and downclimbed for two days without any topos or even photos of this side of Annapurna. But we managed to find a good way thanks to our experience and luck.

*

The trio was airlifted by helicopter from an altitude of 5,000 meters after deciding that the circuitous route back to their basecamp was unreasonably risky due to the unknown terrain and their location on the opposite side of the mountain. They have since returned to Ukraine, and, despite losing 20 pound each and suffering minor frostbite, they are reportedly in high spirits.

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