Si è conclusa la 29esima edizione de “I Suoni delle Dolomiti”, il festival musicale di montagna tra i più famosi al mondo.
A cura della redazione di Outdoor Magazine
È terminato così, in uno dei modi migliori possibile: con un concerto di Roberto Vecchioni all’ombra del Catinaccio. Ideato da Paolo Manfrini per offrire un modo diverso di avvicinare le montagne oggi Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, questo festival si è distinto anno dopo anno sia per l’altissimo livello degli artisti presenti, ma pure per una progressiva attenzione a come inserire in modo armonico un evento oggettivamente caratterizzato dai grandi numeri in ambienti di grande delicatezza ecologica e paesaggistica. Nel tempo hanno assunto sempre più peso scelte strategiche come quella di allontanare il calendario dal periodo di maggiore frequentazione di queste montagne, una sorta di “fuori stagione” dove la musica diventa sovrana tra boschi e pareti.
Ai concerti dei Suoni si arriva a piedi, alle volte all’alba, si usano prevalentemente mezzi pubblici o car pooling, non si lasciano segni della presenza umana che non siano un po’ di erba calpestata, non si urla o si schiamazza, si spengono radio e cellulari, ma si applaudono artisti di fama mondiale che scoprono, spesso per la prima volta con entusiasmo, che anche in luoghi aperti si possono riscontrare acustiche di ottimo livello. Il “popolo” dei Suoni conosce e segue questi eventi con attesa e partecipazione, tanto che alcuni “senatori” hanno collezionato numerose t-shirt Montura che, anno dopo anno, vengono prodotte con grafiche distintive per ricordare l’appuntamento. Montura è da sempre altresì presente anche con la vestizione degli artisti, che in alcuni casi mai avevano suonato in quota nella loro carriera e mai avrebbero pensato che per esibirsi sul palcoscenico delle Dolomiti occorre prepararsi anche da questo punto di vista. I Suoni hanno svolto un ruolo di sostenibilità anche in questo senso, poiché da anni “educano” i loro frequentatori ad approcciare la montagna in modo corretto e rispettoso dell’ambiente, degli animali, delle altre persone, adottando anche la corretta vestizione.
Mario Brunello, il grande violoncellista che fin dall’inizio si occupa della direzione artistica, così ha definito il “suono” delle Dolomiti: “È un suono da inventare, un suono che si costruisce per te stesso e per chi ti sta ascoltando nel momento in cui accade. Non è un suono predefinito, si crea nell’incontro tra la musica, ambiente e pubblico. È un’esperienza unica e irripetibile.” Che cosa siano i Suoni delle Dolomiti, Brunello lo ricorda con un aneddoto. “Al mio primo concerto, sotto le Torri del Vajolet, è arrivata una signora, partita apposta da Bergamo per ascoltare il concerto. È arrivata in ritardo, quando la musica era già finita. Era disperata. Non mi sono reso conto subito che era non vedente. Lei aveva il sogno di ascoltare la musica in mezzo alle Dolomiti, non di vedere le montagne, di sentirle attraverso la musica. Proprio lei che voleva essere in quel silenzio, in quello spazio per ascoltare la musica, mi ha fatto capire che l’idea del Festival era vincente”.
Mario Brunello ed il team di Trentino Marketing che da quasi tre decenni programma e gestisce questo festival, tanto copiato ma ineguagliabile, sono già al lavoro con Montura per la trentesima edizione, nel 2025, con la volontà di creare ancora qualcosa di unico, nel rispetto dei Monti Pallidi.
Per esempio c’è stato un concerto anche ai laghetti di Bombasèl in Lagorai, un luogo devastato del turismo di massa che sale in funivia. Forse a Cavalese mancano le piazze o i teatri? Non credo: la musica non ha bisogno di salire in quota.
Sui monti si va per camminare e per scalare. E, eventualmente, per meditare.