Turismo cafone – 2

Per Franco Nicolini il problema numero uno è il forte impatto dei social sul turismo: «In vetta serve più competenza, in troppi salgono senza la giusta mentalità e con un abbigliamento inadeguato».

C’è chi arriva in ciabatte, la montagna non è un hashtag
di Matteo Sannicolò
(pubblicato su corrieredeltrentino.corriere.it il 7 agosto 2025)

«La montagna non è un hashtag. È un luogo bellissimo da vivere, ma per farlo deve esserci una certa competenza». Parla così Franco Nicolini, nota guida alpina con oltre trent’anni di esperienza nell’elisoccorso provinciale, intervenuto per commentare il periodo nero che stanno attraversando le montagne trentine: sedici vittime solo negli ultimi due mesi, ossia da quando è iniziata la stagione estiva. In media, parliamo di due morti alla settimana.

Il dibattito
Numeri che aprono inevitabilmente il dibattito: è solamente un caso, sfortuna, o si nasconde altro alla base di questa preoccupante tendenza? Per Nicolini, il colpevole numero uno sarebbe il forte impatto dei social network sul turismo di montagna, specialmente in Trentino: «Ci sono sempre stati periodi, o anni particolari, in cui la sfortuna ci mette del suo, accumulando una serie di incidenti mortali», premette la guida alpina, ricordando in particolare il grande «boom turistico» registrato sulle montagne trentine tra gli anni Ottanta e Novanta. «Anche all’epoca ricordo un numero significativo di incidenti: è normale se il flusso di persone aumenta. L’unica differenza tra ieri e oggi – sostiene Nicolini – è proprio l’effetto che stanno avendo i social».

A sinistra Franco Nicolini impegnato in una scalata sulla Torre di Brenta, a destra un turista affronta una ferrata in ciabatte (Germania).

L’impatto dei social
E dell’argomento la guida alpina parla senza mezzi termini: «Purtroppo i social stanno dando informazioni non veritiere della montagna. Gli influencer mostrano un ambiente bello, facile e alla portata di tutti: vero che la montagna è bella da vivere, ma ci vuole anche una certa competenza». Che, secondo Nicolini, in questo momento sarebbe la «vera mancanza» per quanto riguarda le persone che frequentano le montagne trentine. Molte delle quali salirebbero in quota «senza la giusta mentalità, con un abbigliamento non adeguato e dell’attrezzatura alle volte superficiale per il contesto che si apprestano ad affrontare».

«Negli scorsi giorni – racconta ancora la guida alpina – uno straniero si è presentato con gli scarponi appesi allo zaino, e una serie di calzini ai piedi. Mi ha confessato di aver camminato con le ciabatte per un tratto di sentiero». Insomma, situazioni bizzarre che di certo non possono essere accolte positivamente dai professionisti del settore, che invece richiamano la massima attenzione. Specialmente alla luce del brutto periodo che stanno vivendo le vette provinciali, tra turismo fuori controllo e incidenti mortali. L’ultimo, in ordine cronologico, quello che ha coinvolto Andrea Caradonna, il turista di 57 anni residente a Ladispoli in provincia di Roma, che il 5 agosto 2025 ha perso tragicamente la vita scivolando dalla ferrata di Valimpach, sopra l’abitato di Caldonazzo: «Noi siamo contenti se sulle montagne trentine vengono tante persone – rimarca – Ma lo siamo ancora di più se queste persone hanno la consapevolezza di quello che stanno facendo».

Overtourism
Anche per questo motivo, Nicolini sostiene che i «veri influencer sono in realtà proprio le guide alpine», poiché accompagnano queste persone, «compresi gli stessi influencer», garantendo loro la massima sicurezza durante la loro escursione in alta quota. Su questo fronte, a lanciare l’allarme è anche la Fondazione Dolomiti Unesco, che ha da poco pubblicato un documento proponendo diverse soluzioni ai problemi attuali della montagna, tra cui l’overturism, la crisi climatica e la consapevolezza del visitatore. «Il modo in cui si comunica la montagna ha un impatto importante nell’indurre comportamenti potenzialmente pericolosi o scorretti – spiega la Fondazione – I social media hanno enfatizzato questa problematica, alimentando visioni incoerenti con i valori del patrimonio mondiale». Il momento attuale, secondo la Fondazione Dolomiti Unesco, sarebbe il frutto della «scarsa consapevolezza da parte dei turisti», oltre al risultato di «decenni di promozione turistica da cartolina», che avrebbe in parte finito col «trasmettere un’immagine da villaggio vacanze anche delle terre alte».

Il problema dei bivacchi
Tra le questioni sollevate dalla Fondazione, anche quella relativa ai bivacchi, che avrebbero ormai perso la loro funzione di riparo d’emergenza e sarebbero utilizzati più che altro come un luogo di ritrovo per i gruppi di amici. Il tavolo di lavoro, dal quale è nato il documento finale prodotto dalla Fondazione dolomiti Unesco, è stato coordinato dal professor Umberto Martini, docente di economia e management dell’Università di Trento. Anche con la partecipazione attiva di alcune agenzie di promozione territoriale, tra cui Trentino marketing, Dmo Dolomiti Bellunesi, Idm Sudtirol e Promoturismo Fvg.

Il commento
di Carlo Crovella

Al termine di un’estate in cui la stampa nazionale ha “picchiato duro” sulle Dolomiti, raccontando per filo e per segno, con cadenza pressoché quotidiana, i più svariati episodi di overtourism, c’è da chiedersi se si tratti di un fenomeno oggettivo oppure di un semplice tornaconto mediatico.
Ovvero: episodi come quelli dell’estate 2025 (rifugisti assaliti, code chilometriche agli impianti, tornello a pagamento…) sono effettive novità mai registrate prima in Dolomiti, oppure c’erano anche in passato, ma la novità è che quest’anno la stampa ci ha inzuppato il pane per un tornaconto puramente editoriale?
Per comprendere meglio l’effettiva situazione turistica nelle Dolomiti, giunge a fagiolo questa intervista a una GA con esperienza trentennale: sicuramente ne sa più di tanti osservatori terzi, compreso il sottoscritto. Però la mia personale sensazione è che anche gli addetti ai lavori inizino a non poterne più dell’invasione dei “cannibali”.
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In Francia si arriva a 100 mila di multa. Uno degli ecosistemi più belli e delicato del mondo viene sfruttato nell’esclusivo interesse del turismo di lusso. Il Parco: «Così non possiamo difenderci e le spiagge sono a rischio».

L’invasione della Maddalena
(per yacht in zone vietate sanzioni non oltre i 51 euro ed evasione della tassa ambientale)
di Gian Antonio Stella
(pubblicato su corriere.it il 23 agosto 2024)

«Spiaggia sabbiosa, selvaggia e incontaminata». Sì, ciao. Trent’anni fa, forse. O in pieno inverno. Basta una foto postata tre giorni fa della cala Bassa Trinita per masticare amaro sulla citazione di TripAdvisor: un tappeto fitto fitto di decine di tende, sdrai e ombrelloni ammucchiati fino all’inverosimile in pochi metri di battigia. Un chiassoso alveare. Con l’aggravante della nota finale: «Acqua cristallina, ma contaminata da forte vento e posidonia». Ma come: è la posidonia che «contamina»?

L’arcipelago della Maddalena invaso da natanti incuranti del delicato ecosistema

Centomila euro di multa, ha rifilato un giudice francese, a giugno, agli armatori di un catamarano che aveva gettato l’ancora sulla prateria sottomarina davanti alle isole Riou e Plane nel Parc National des Calanques: 50 mila di sanzione, 49 mila di risarcimento alla riserva naturale più indennizzi vari ad associazioni ambientaliste. «Ce l’avevano chiesto i turisti a bordo», hanno balbettato gli imputati incastrati dal Gps e ora esclusi dall’elenco degli operatori autorizzati. Peggio ancora. «La posidonia, infatti, svolge un ruolo chiave nella stabilizzazione dei fondali, nella produzione di ossigeno e nella protezione della biodiversità marina», ha scritto solovela.net, «Ogni danno causato da ancoraggi inappropriati in queste aree può risultare devastante e irreversibile nel lungo periodo». Rileggiamo: irreversibile.

Quella  «tollerenza» all’italiana
Fossero stati beccati alla Maddalena? «Avrebbero pagato, temo, solo 51 euro», sospira Giulio Plastina, direttore del Parco Nazionale istituito 31 anni fa ma mai dotato degli strumenti necessari per operare sul serio: «Il divieto di gettare l’ancora sulla prateria di posidonia c’è, ma quando l’Italia fece sue le direttive comunitarie, non pensò al regime sanzionatorio...» Risultato: chi fa il furbo rischia otto volte meno della multa massima per sosta vietata di un’auto.

Paradiso terrestre devastato
Ma si può trattare così un paradiso terrestre? Le immagini di questi giorni, quelle centinaia di motoscafi, gommoni e panfili appiccicati l’uno l’altro nelle «piscine naturali» di Cala Coticcio, Cala Corsara o Cala Spalmatore (dove è stato avvistato lo yacht «La pausa» di Daniela Santanchè e Ignazio La Russa e dove giacciono preziosi resti archeologici) tolgono il fiato. E così quelle dei bagnanti scaricati a frotte ogni giorno dai barconi turistici sulle spiagge più a rischio come quella di Santa Maria, a dispetto dei limiti messi nel 2019 dal Piano Utilizzo Litorali del Comune. 

Lo stupro alla spiaggia rosa e gli ingorghi di Caprera
Limiti violati così brutalmente sulla Spiaggia del Cavaliere di Budelli da spingere nel 2022 al totale divieto di calpestio «essendosi ridotta di circa la metà per l’asportazione di considerevoli quantità di sabbia». Uno stupro che già aveva costretto il parco a chiudere l’accesso alla celebre «Spiaggia Rosa».
«Sono avvelenata», tuona Rosanna Giudice, l’ex sindaco de La Maddalena nominata da poco presidente del parco dopo una spossante vacatio: «Questo turismo implosivo, fastidioso e ingestibile a terra e a mare non può essere più consentito. Non così. Lo dico per i cittadini dell’arcipelago e per tutti gli italiani. Troppo, troppo! Io rappresento il Ministero dell’Ambiente: che devo fare? Quando si è malati bisogna tagliare. Per salvare il resto, bisogna tagliare. Ecco il punto». Vale per l’isola centrale, vale per quelle minori («Sono appena andata a Santa Maria: un formicaio. Non c’è più la spiaggia che conoscevo. Abbiate pazienza: si vede la terra, la roccia con le radici dei ginepri che emergono dalla sabbia. Da brividi: quello che perdiamo come sabbia non lo recuperiamo più. Ho detto: portatemi via sennò affogo qualcuno»), vale per Caprera: «Sette o ottocento auto al giorno. Senza vie di fuga in caso d’incendio. Come si fa? Non voglio far la parte del giustiziere della notte e dare un colpo di mannaia, ma una svolta è indispensabile».

Una flottiglia da 30mila imbarcazioni
Ma come, se l’immenso parco nazionale (5.100 ettari di isole e isolotti più 15.046 di superficie marina con 180 km di coste dalle Bocche di Bonifacio all’isola di Mortorio a protezione integrale, con sessantatré specie di animali protette dal Gabbiano Corso alla Moretta tabaccata o al Falco di palude) non ha mai potuto contare, anche dopo la delusione e lo scandalo per il mancato G8, su quanto è assolutamente indispensabile perché una riserva naturale funzioni? Se i suoi dipendenti, un manipolo di volenterosi, possono solo accompagnare i visitatori e segnalare alla Capitaneria di Porto o ai Forestali (peraltro troppo impegnati sul fronte manutenzione e incendi per uscire di pattuglia in mare) le violazioni più insultanti delle regole ma non possono neppure multare i più sfacciati nemici dell’ambiente? Se la riserva deve fare i conti con una flottiglia di «30 mila imbarcazioni, natanti e navi da diporto che ogni anno frequentano l’area marina» quasi impossibili oggi da controllare?

Gli interessi del turismo nautico e quelli del territorio
Pochi dati: con un trentasettesimo degli abitanti italiani, la Sardegna ha un nono dei posti barca nazionali. E di questi il 47% è in Gallura, che pure rappresenta solo un quinto (scarso) della regione e un sesto delle coste. Una concentrazione fortunata indice di benessere, dirà qualcuno. Ma è davvero così? «Abbiamo in cassa 20 milioni di euro, pronti per essere spesi, ma siamo paralizzati dall’assenza di ogni autonomia gestionale, dalla impossibilità di assumere, dall’obbligo di ricorrere a convenzioni che ci costano il 40% di più, dalla mancanza di un Cda che deve essere insediato e non si insedia – si sfoga Giulio Plastina – È incredibile ma non possiamo fare nulla. Mentre insistono interessi del turismo nautico che sono pazzeschi. Ogni anno arrivano decine di barche, di catamarani, di imprese che investono milioni e milioni di euro e io inizio a farmi una domanda: ma da dove arrivano tutte queste società? E noi qui, con la fionda contro i titani… Moscerini, ecco cosa siamo. E ci vogliono così. Il sistema ci vuole così. Non dobbiamo dare fastidio, non dobbiamo metterci di traverso…».

L’evasione dell’obolo alla conservazione dell’arcipelago
Un dettaglio dice tutto: l’evasione da parte dei proprietari di barche dell’obbligo di pagare, anche on-line, l’accesso nelle acque dello stupendo arcipelago (un gommone di 5 metri paga intorno ai 10 euro al giorno, uno yacht di 30 sui 400) viene stimata dalle stesse autorità del parco tra il 30 e il 35%. Eppure con metà di quei soldi e con regole diverse potrebbero essere assunti decine di ragazzi in grado di far rispettare davvero le norme. E dare al Parco, a chi lavora col turismo (e sono tanti) nel modo più corretto e più ancora ai turisti stessi un futuro vero. Rispettoso dei diritti, dei sogni, degli interessi di tutti. A partire, ovvio, dall’ambiente.

Il commento
di Carlo Crovella

L’overtourism e gli annessi cannibali infestano anche il mare e non solo le Dolomiti. a dimostrazione che il problema è generale, anche se, ultimamente, si sta concentrando sulle montagne.

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