(il pioniere bolzanino dello sci alpinismo)
di Davide Pasquali
(pubblicato su altoadige.it il 3 giugno 2021)
Cascasse il mondo, il Luis ogni mercoledì, sabato e domenica aveva in programma la gita di scialpinismo. Vantava una media annuale stellare, specie in quegli anni, fra i Settanta e gli Ottanta: 100 uscite. Decideva lui dove si andava; accompagnava chiunque, italiano o tedesco che fosse non importava un fico secco; era sempre il primo a dannarsi l’anima stando davanti a batter traccia ed era l’ultimo a scendere, perdendosi così la neve fresca migliore, ma assicurandosi in tal modo che tutti quanti i compagni ritornassero a casa loro sani e salvi. È stato uno dei due pionieri locali dello sci alpinismo: il bolzanino del CAI era Luciano Filippi – cui oggi è intitolata la scuola di scialpinismo della sezione di Bolzano – mentre il sudtirolese dell’AVS ma pure istruttore nazionale CAI era lui, Alois Unterkircher detto Luis. Nei giorni scorsi, all’età di 91 anni, se n’è salito in cielo, stavolta senza sci.
Ne traccia un commosso ricordo Flavio Zanella, del CAI Bolzano. Che prima ancora di attaccare discorso già annuncia che a metà ottobre – «Luis era nato il 18 ottobre del 1929» – gli amici scialpinisti organizzeranno una serata culturale della sezione bolzanina del CAI interamente dedicata a lui, dove verranno proiettate le diapositive delle millanta gite fatte assieme, dentro e fuori da tutte ma proprio tutte le valli e su e giù da tutte le cime altoatesine. «Oltre che un amico, è stato un maestro, un gran personaggio. Le giovani generazioni devono conoscerlo».
Zanella, molto noto in città per la sua attività in montagna ma anche come conferenziere, ora come ora ha collezionato la bellezza di 60 bollini CAI, e quindi ha avuto la fortuna di sciare assieme a Unterkircher e conoscerlo a fondo. «Dopo essermi appassionato allo sci nordico, feci la terza Marcialonga nel 1973, quattro anni dopo iniziai con lo scialpinismo. Passai da lui come chiunque allora. Prestava materiale a tutti. A Bolzano a trainare il movimento c’erano lui e Luciano Filippi». Il grosso pregio di Unterkircher, «era che metteva assieme italiani e tedeschi, non gli importava chi tu fossi o che lingua parlassi, contava solo l’amore per lo sci alpinismo». Se avevi voglia, eri il benvenuto. «Era una persona genuina. Mi ricordo: stava salendo davanti, battendo traccia nella neve alta. Si fermava e ti indicava un punto. Non era niente, solo una buca nella neve dove sotto scorreva l’acqua. Era così, si meravigliava di queste piccole cose».
Originario di Fundres, sopra Vandoies, da ragazzino aveva fatto il pastore. «Andava sempre su in montagna, l’aveva respirata fin da piccolo». Poi si era trasferito a Bolzano, dove aveva iniziato a lavorare in un negozio di mobili e arredi in via Leonardo da Vinci. «Di mestiere era falegname, sistemava i mobili. Ma in tutti i ritagli di tempo andava in montagna». Vantava una media di gite scialpinistiche alquanto difficile da mantenere oggi, figurarsi a quei tempi. «Cento a stagione».
Moltissimi si appoggiavano a lui: l’ingegner Lettieri che era uno dei più affezionati sostenitori, l’ingegner Taormina, l’ingegner Franceschini poi diventato presidente della sezione CAI Bolzano. «Il Luis ai tempi non aveva la macchina, ma era sempre corteggiato da chi aveva voglia di andare in gita. Ricordo Fink, dell’omonimo ristorante in centro, o Kompatscher, dell’omonimo negozio sotto i Portici». Funzionava così: «Alle 7 tutti sotto casa sua, ad Aslago dove abitava, si partiva e si andava dove decideva lui. Punto. Era difficilissimo che sbagliasse gita: neve sempre bella, e poi ti infondeva un entusiasmo… Era estremamente positivo. Tanti quando muoiono diventano dei santi, lui era un grand’uomo da vivo. Era estremamente positivo e lo è rimasto tutta la vita. Per fortuna siamo riusciti a dirgli grazie in vita, ricordo ancora che festa per i suoi 80 anni, memorabile».
Unterkircher sciava ai tempi in cui le attrezzature erano pesantissime, l’industria non era ancora interessata allo scialpinismo, si usavano materiali di ripiego. «Si cominciavano a vedere le prime pelli con la colla, ma tanti usavano ancora quelle vecchie della naja. Gli sci, troppo lunghi, non erano manovrabili». E poi in quegli anni nevicava, nevicava, nevicava. E gli scialpinisti non erano lo stuolo di oggi, che appena nevica già ti trovi la traccia fatta. «C’erano delle volte che non si arrivava in cima perché eravamo stremati dal batter traccia». E davanti c’era quasi sempre lui. Istruttore nazionale CAI, compilatore di guide. «Tendeva a privilegiare la nostra provincia: sono convinto sia arrivato in cima a tutte le vette salibili dell’Alto Adige. Quando andava fuori provincia per lui era come andar in spedizione. Lo accompagnava suo figlio, maestro di sci».
Zanella, per illuminare bene il Luis, racconta tre cose: «Chi fa scialpinismo sa che ci sono i furbi: sempre dietro in salita, primi a buttarsi giù nella neve immacolata in discesa. Ecco, Unterkircher faceva il contrario». Fu inoltre il primo a usare gli sci corti, intuendone le potenzialità. «Essendo falegname, se li era segati lui, così giravano meglio». Finita la gita, non si andava in trattoria. Il Luis conosceva i masi, dove la padrona di casa offriva canederli e schlutzer fatti a mano, vino buono tirato su dalla cantina dal vecchio di casa, si faceva tardi. Mercoledì e sabato cogli amici, domenica gite CAI e corsi. «Ha sciato fino a 80 anni, poi un problema fisico gliel’aveva impedito. Altrimenti, sono convinto, avrebbe proseguito ancora».