di Emi Sanna
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 21 aprile 2023)
Chi ama la montagna lo sa. Sa che quando passeggia in un bosco, si inerpica su un sentiero, si arrampica su una roccia, affronta una cresta, sta entrando in un territorio che, per quanto conosciuto e nonostante l’esperienza accumulata, non è casa sua. E sa che deve entrarci in silenzio possibilmente, con un passo cadenzato e costante, mai troppo veloce, mai troppo lento, e tutti i cinque sensi allertati perché il pericolo zero da queste parti non esiste.
Servono gli occhi per guardare dove si mettono piedi e mani, per scrutare il cielo e le nuvole, per avvistare gli animali e per godere di tanta meraviglia. Servono le orecchie per ascoltare i rumori del bosco, i rami spezzati, il borbottio del tuono lontano, il rumore della pietra che cade, la musica del vento, lo scricchiolio dei ramponi sotto il ghiaccio. Serve l’olfatto per avvertire l’odore della pioggia o quello della neve in arrivo, il profumo dei fiori, la puzza degli escrementi sul terreno per capire a quale quadrupede appartengono e da quanto sono lì. Serve il tatto per saggiare la consistenza di un appiglio o di un appoggio, per abbracciare il caldo della roccia, per afferrare il ramo su cui issarsi, il cavo d’acciaio della ferrata, la corda con cui assicurarti. Serve il gusto, anche quello sì, per apprezzare l’acqua della sorgente, le gocce di pioggia che ti bagnano le labbra, lo spinacino selvatico che trovi durante il cammino o la bacca di ginepro appena raccolta.
Le chiacchiere sono a voce bassa, quando ci sono, ridotte alle comunicazioni essenziali. Non ci sono auricolari nelle orecchie a trasmettere musica. Non c’è fretta. La montagna è lentezza.
Chi ama la montagna lo sa. Sa che non si lascia mai il sentiero e non perché ci si può perdere, ma perché si andrebbe a invadere un terreno non antropizzato, vergine, da lasciare intatto. Sa che è meglio legare allo zaino un piccolo campanellino dal rumore quasi impercettibile, un “richiamo degli angeli”, per avvisare in modo discreto della nostra presenza. Sa che sono preferibili i colori della montagna il verde, il beige, il grigio, il nocciola, i mille toni del marrone, per dare il meno fastidio possibile. I colori forti sono riservati all’inverno, quando gli animali dormono e serve farsi vedere in caso nebbia, anche se personalmente amo confondermi con la neve e prediligo il bianco.
Così, con questo atteggiamento, ho percorso migliaia di sentieri, raggiunto centinaia di vette. Ho visto i cervi combattere per amore, i cerbiatti avvicinarsi curiosi, i caprioli osservarmi indifferenti, le marmotte in piedi sulle rocce ad avvertire i propri simili della mia presenza. Ho incontrato un lupo solitario che si è velocemente dileguato alla mia vista, e ho visto da lontano, ma molto chiaramente, nelle montagne del PNALM l’orsa Amarena con i suoi cuccioli tra cui il “mitico” Juan Carrito, l’orso fin troppo “confidente” noto per aver fatto razzia di biscotti in una pasticceria di Roccaraso e tristemente ucciso quest’inverno da un’automobile.
Chi ama la montagna lo sa. Sa che l’orso può essere aggressivo se teme per la sua prole, così come ogni femmina di ogni specie animale. Così come sa che non ha nulla da temere dal lupo e molto dai cani inselvatichiti che fanno branco. Così come sa che non bisogna avvicinarsi a un gregge di pecore difeso dai maremmani o dar fastidio a mucche e cavalli. Lo sa e sta attento, sempre nella consapevolezza che un incidente può sempre accadere, che slavine, scivoloni, fulmini, frane, improvviso maltempo, malori, incontri ravvicinati con animali, punture di insetti e altre decine di imprevisti possono capitare. E se capitano non è sempre necessario cercare a tutti costi un colpevole: il sindaco che non ha chiuso il sentiero, la protezione civile che non ha allertato abbastanza, il cavo che non era poi così sicuro, l’orsa che ha temuto per i suoi cuccioli. Non è necessario perché quasi sempre il “colpevole” è anche, purtroppo, la vittima. Si può azzerare il rischio, ma mai il pericolo. Perché se si entra in casa di altri lo si fa con circospezione. In punta di piedi.