Storia delle Aree protette – 1b

Come viviamo la nostra esperienza quando ci troviamo in un’area naturale? Stiamo attenti a non ‘banalizzare l’esperienza’? Partendo da un turismo ‘mordi e fuggi’ proviamo a riflettere su possibili visioni di un futuro sostenibile.

Parchi naturali, un’esperienza da non banalizzare
di Alice Gado
(pubblicato su piemonteparchi.it il 10 aprile 2025)

In Italia sono istituiti 24 parchi nazionali la cui superficie complessiva occupa 15mila chilometri quadrati di territorio, corrispondenti a circa il 5% della superficie complessiva di estensione dello Stato italiano, ovvero 301,336 kmq circa (Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica).

Ragionando in termini di superfici, la Regione Piemonte risulta particolarmente virtuosa con più del 18% del proprio territorio interessato dalla rete ecologica regionale e dalle aree naturali protette (Fonte: Regione Piemonte, sezione Ambiente e Territorio).

Foto: Pixabay

A fronte di un quadro generale piuttosto confortante, qual è il rapporto che il cittadino tipo ha con le aree naturali che visita?
Come vengono fruiti gli spazi verdi, i parchi naturali e le aree protette?

Lo abbiamo chiesto a Toni Farina, ex collaboratore di Piemonte Parchi, già consigliere del Parco nazionale Gran Paradiso e conoscitore del mondo dei parchi.

I parchi naturali, luoghi ancora del mistero
«Secondo la mia esperienza, per il grande pubblico, il sistema dei parchi e delle aree naturali protette è ancora in buona parte misterioso. In pochi conoscono, ad esempio, le ZSC del territorio, ovvero le Zone Speciali di Conservazione della biodiversità, una rete europea ritenuta fondamentale per la tutela della natura. Accade spesso che un cittadino viva al confine o addirittura dentro un’area tutelata come una ZSC oppure ai confini di un parco naturale e non ne sia a conoscenza», spiega Toni Farina.

Oggi, chi frequenta i luoghi naturali è soggetto al fenomeno della ‘banalizzazione dell’esperienza’: un’espressione usata da Carlo Alberto Pinelli, famoso regista, ambientalista e alpinista. «Condivido in pieno questa visione, esposta durante un convegno a cui ho avuto la fortuna di essere presente e dove Pinelli ha spiegato questo concetto. Un fenomeno a cui ho assistito inconsapevolmente per anni ma che non ho mai realmente visualizzato fino a che non è stato descritto con l’espressione ‘banalizzazione dell’esperienza’. Sostanzialmente il concetto è che oggi, per gran parte delle persone che abitualmente vivono in contesti cittadini, il visitare uno spazio naturale, che sia un parco cittadino, un parco naturale oppure una zona di montagna, è valutabile in un’ottica di consumismo ‘mordi e fuggi’ che segue dei cliché determinati». 

Banalizzate anche voi l’esperienza, in un’area protetta?
«Se vi riconoscete nella lista di seguito siete probabilmente stati “banalizzati” anche voi», spiega l’intervistato. Ma andiamo con ordine.

1) Il luogo da visitare viene scelto sulla base di mete pubblicizzate

2) Non serve fare una ricerca sul luogo. È sufficiente che sia panoramico, non importa sapere molto di più 3) Il luogo deve essere raggiungibile in auto entro al massimo 1 ora dalla propria abitazione

4) Dal parcheggio al luogo prescelto, è concepibile una camminata di 20 minuti, non di più, con scarsissimo dislivello

5) Il contesto deve ospitare almeno 1 locale in cui poter mangiare (meglio se propone piatti che appaghino l’occhio e la fotocamera del cellulare)

6) Si deve raggiungere la località guidati dal proprio cellulare (oggi se un luogo non è su GoogleMaps è come se non esistesse, pochi sanno orientarsi usando mappe e segnali stradali)

7) Si affronta la giornata con lo stesso abbigliamento che si indosserebbe in un giorno qualsiasi, in città

8) Nel caso di un parco o di una riserva naturali, ci si approccia al luogo senza domandarsi se possa esistere un regolamento di fruizione che preveda anche dei divieti

9) Durante la giornata non si prevede di percorrere sentieri sterrati ma, al più, di visitare il centro urbano più vicino, in cerca di un souvenir gastronomico locale (e naturalmente raggiunto in auto).

Parchi, laboratori di futuro
In pratica una critica al turismo mordi e fuggi. Ma esiste un approccio turistico più sostenibile oggi? «In passato i parchi naturali sono nati per porre dei limiti a un modello di sviluppo (un modello di futuro) distruttivo degli habitat naturali. “Qui c’è lo spazio. Qui l’aria pura. Qui il silenzio. Il regno delle aurore intatte e degli animali selvatici. Tutto quello che vi manca nelle città qui è preservato per la vostra gioia”, scriveva Samivel nel manifesto per il Parco nazionale Gran Paradiso.
Vero, ma la vita di gran parte delle persone si svolge nelle città. Il parco diventa un’oasi, un fortino da difendere. Un concetto che andrebbe superato in un tempo in cui lo “sviluppo sostenibile” è un mantra. I parchi, soprattutto i grandi parchi, dovrebbero essere dei “laboratori di futuro”, luoghi in cui si sperimenta la vera sostenibilità. Dare una possibilità al futuro umano (give future a chance), perché di questo si tratta
», spiega Farina.

L’imbroglio ecologico
L’intervistato aggiunge: «E qui mi allaccio al libro del giornalista Dario Paccino che a suo tempo fece molto discutere: l’imbroglio ecologico. Purtroppo a causa anche dei recenti avvenimenti geopolitici si sta andando in direzione contraria, come se si fosse preso atto che la sostenibilità non è sostenibile perché mette in discussione modelli di vita. Che in realtà riguardano una minoranza degli abitanti del Pianeta. I parchi naturali hanno svolto (e ancora svolgono) un compito essenziale per tutelare preziosi frammenti di territorio altrimenti destinati al degrado, ma oggi occorre andare oltre». Ecco che allora il limite caratterizzato dal confine (geografico e istituzionale) del parco diventa un potenziale limite alla loro azione. Un messaggio questo, che è anche una sfida per il futuro.

In conclusione, indipendentemente dalla motivazione che può spingere il singolo a spostarsi dalla città verso aree verdi, visitare spazi naturali non può che farci bene, non è così?
«Certo, sogno però un mondo in cui non sia il cittadino che “contamina” il luogo che visita ma il contrario. L’obiettivo dei parchi dovrebbe essere quello di espandere la loro missione verso l’esterno e non di chiudersi entro i propri confini», conclude l’intervistato.
Citando ancora Samivel: “Qui comincia il paese della libertà. La libertà di comportarsi bene“. Ecco, banalizzando (ma neppure troppo) quel “comportarsi bene” deve valere anche fuori dal parco.

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