di Vittorio Giovanni Rossi
(da Calme di luglio – 1973, sulla plastica)
(…) Ogni volta che c’è una spiaggia, e c’è una mareggiata, io ci vado; mi piace il suono metallico dei ciottoli che strisciano sui ciottoli; mi piace quell’odore intrepido di mareggiata; mi piace cercare; non so cosa cerco, tutta la bellezza del cercare è qui; cercare qualcosa, che non si sa.
Ma ora sulle spiagge dopo la mareggiata qualcosa è cambiato; c’è una cosa che prima non c’era; è una cosa che non è giovane, non vecchia; non viva, non morta; non animale, non vegetale, non minerale; non digiuna, non sazia; non ricca, non povera; non allegra, non malinconica; non fredda, non calda; non buona, non cattiva; non legnosa, non terrosa, non vitrea; senza memoria, senza rimpianti; senza odore, senza sapore; già conclusa definitivamente; senza ore, senza giorni, senza anni, senza secoli, perché la vita non è esserci, ma portarne il segno.
E’ quella cosa che è la plastica. Ora sulle spiagge dopo la mareggiata c’è la plastica. Essa è l’immondizia più lavata, più risciacquata, più pulita della terra; è così pulita, che fa ribrezzo; essa ha confuso e irritato il mare con la sua esemplare condotta e incorruttibilità; è l’esempio vivente della immortale immondizia. Sono bottiglie, bottigliette, fiasche, catinelle, tazze, scodelle, scatole, scatolette, ciotole, vasi, vasetti, vaselli, vasi da notte, tubi, coperchi, ampolle, cucchiai, forchette, bicchieri, fiale, barattoli, piatti, bambole. Sono tutte cose che l’uomo certamente ha adoperato; ma non c’è niente dell’uomo in esse; non è rimasto niente. E neanche del mare gli è rimasto niente. Sono uscite dalla massa d’acqua intatte, inviolate; non c’è su di esse un graffio, un segno di tutto quello che l’acqua gli ha fatto; e tutta quell’acqua! Non sembra che vengano da quel mare così cattivo e traditore, come tutti i mari, pieno di sale, pieno di raffiche, pieno di pugni che picchiano, rompono, demoliscono sbrecciano, frantumano, squarciano, stracciano, sfondano, stroncano e ha la schiuma alla bocca.
La natura è vivere, invecchiare, morire, cioè osservare le regole; la plastica è fuori dalla natura, fuori dalle regole; neanche il mare la può far morire. La terracotta, il ferro, la ceramica, il rame lavorato, il vetro, tutto ha un colore vitale: tutte le cose che possono morire, lo hanno. Su di lei anche i colori caldi, come il giallo, come il rosso, sono freddi come il ghiaccio; come un cadavere.
Essa, la plastica, è un cadavere incapace di morire, e se non c’è morte, non c’è vita. Il mare rompe le rocce, rompe il ferro e l’acciaio; rompe il coraggio dell’uomo, trasforma un masso di pietra in un ciottolo levigato e scorrevole e continua a lavorarlo, lustrarlo, farlo sempre più piccolo, infine è un grano di ghiaia, poi un grano di sabbia, poi un granello di fango; e il fango si diffonde nell’acqua non come una cosa che è stata pietra, ma come fumo, l’alito di una mucca nella stalla. E lei la turba, la agita, la commuove, la intorbida, la scompiglia, la sconcerta, la sconvolge, la sconquassa; lei è lei.
Il mare la respinge; non può fare altro. Tutte le cose che approdano sulla spiaggia quando c’è la mareggiata sono cariche di un racconto; di quello che sono state e hanno passato e ora sono diventate quelle che sono, e non è ancora finita, ora ci sono i loro rapporti, col sole e la pioggia, il caldo e il freddo, il giorno e la notte e l’uomo che passa.
E lei non ha niente da raccontare. Tutte le cose portate dalla mareggiata hanno i segni della loro avventura; lei è fresca e ingenua, sempre neonata; ma la vita è scoprire e provare, avere e non avere, perdere e vincere, piangere e ridere, inghiottire e sputare, zucchero ed erba ruta. Lo scroscio che fa una cosa di vetro che cade e va in pezzi, è come un grido animale, è sgomento e disperazione.
Lei è indifferente a tutto quello che le fanno e le succede; lei è lei. Dicono che ora hanno inventato una plastica che si disgrega; la può disgregare il sole; ci mette qualche mese, ma ci riesce, così dicono. Tutto quello che vive lo ha fatto il sole; è il sole che si è trasformato in piante, in animali di terra e d’acqua. Forse soltanto il sole può dare la morte a quella disgraziata che non riesce a morire; e così ristabilire l’equilibrio.