Lassù sui monti del Passo Falzarego

Lassù sui monti del Passo Falzarego
di Ugo Ranzi

Il Passo Falzarego è un po’ meno popolare rispetto ad altri passi dolomitici, forse perché il panorama è penalizzato dal Sass di Stria e dal Piccolo Lagazuoi che limitano la vista verso ovest.

E’ frequentato principalmente per spostarsi dall’Alto Adige a Cortina e per l’aerea funivia che con un solo balzo di 600 metri porta dal passo alle propaggini della cima del Piccolo Lagazuoi. La funivia è super frequentata in inverno ma anche parecchio in estate per il fantastico panorama dalla vetta o per la bella passeggiata in discesa verso la capanna Alpina.

E’ anche un luogo ideale per l’arrampicatore medio quello che, secondo me, si diverte sul terzo e quarto grado delle vie di più tiri e comincia a preoccuparsi dal quarto superiore in su. Su tutte le pareti che lo circondano ed anche su quelle in vista un po’ più lontane, le vie “facili” abbondano e ce ne sono di molto belle.

Piccolo Lagazuoi
Al Falzarego l’attrazione per la maggior parte dei passanti è guardare il puntino della funivia che sale verso la vetta del Piccolo Lagazuoi. Se invece guardassero più in basso vedrebbero dei puntini variopinti che si muovono sulle rocce della parete subito sopra il ghiaione. Sono gli scalatori che salgono le vie che negli anni ‘90 vi sono state tracciate. Fa effetto pensare che in questa, attualmente, zona di divertimento si sono svolti tanti luttuosi eventi della prima guerra mondiale. Mentre ora gli amici salgono in cordata, a quel tempo degli amici dovevano uccidere altri amici perché su fronti opposti.
Alcune di queste vie le ho salite, in particolare ricordo la classicissima via del Buco.

Piccolo Lagazuoi, parete est

Il Trapezio
Fa parte della parete sud del piccolo Lagazuoi che sovrasta il tratto della strada che collega il Passo di Valparola col Passo Falzarego. Valorizzata da Eugenio Cipriani, era una struttura molto frequentata negli anni ’80. Su questa parete sono state tracciate una decina di vie parallele, tutte consigliabili e di soddisfazione. Io l’ho scoperta sul libro Oltre la folla scritto proprio dal Cipriani. Le ho percorse quasi tutte, la mia preferita è la Marino Speciale, il terzo tiro è uno dei più belli dei miei ricordi, una placca nera di 50 metri, verticale, senza un chiodo ma cosparsa di clessidre che ti permettono un’arrampicata sicura ed entusiasmante.

Il trapezio

Oggi non è più di moda, non capisco il perché. Mi ha fatto impressione nell’estate 2021 vederla deserta mentre, dalle parte opposta, sotto lo stradone, sui circa 30 metri della palestra in basso si affaccendavano una decina di cordate. Negli anni ’80 su quella palestra c’eravamo solo io, mio figlio, ragazzino di 10 anni e mia moglie con un po’ di paura che il suo “bambino” seguisse la passione del padre e le raddoppiasse le preoccupazioni, raramente ci avevo visto arrampicare qualcun altro.

La palestra sotto lo stradone

Certo non è la parete sud della Marmolada ma il Trapezio con le sue vie di roccia fantastica e un approccio solo di pochi minuti più lungo di quello della palestra è senz’altro più appagante (secondo me) di un tiro in su e una moulinette in giù.

Sass di Stria
Dal passo guardando verso ovest si staglia contro il cielo un ardito spigolo, è lo spigolo sud ovest del Sass di Stria (Sasso della Strega). La sua salita su roccia ottima non tradisce le aspettative della sua vista. Al tutto si aggiunge l’originalità dell’ultimo tiro con l’attraversamento di una finestra di roccia.

A sinistra, lo spigolo sud-ovest del Sass di Stria

La via normale di salita è un sentiero che sale tra le trincee della prima guerra mondiale.
Il Sass di Stria è una delle poche cime “conquistate” anche da mia moglie Mila, (le altre sono Resegone, Piz da Cir, Averau, quasi cima Tosa) che, anche se preferiva il mare, si rassegnava a seguirmi nella mia passione per la montagna. Sulla Tosa non è arrivata in cima, in compenso sulla parete sud est che sovrasta la Val d’Ambiez esiste la via Mila, l’unica via nuova da me realizzata.

Sass di Stria

I malefìci della Stria.
Non tutto mi è andato bene su questa montagna, un paio di situazioni mi hanno fatto pensare a qualche influsso negativo e magari di essere vittima dei malefici della strega.

Primo maleficio: l’amico Diogene era venuto apposta da Lovere per arrampicare con me e anche se non ero assolutamente in forma andammo per fare lo spigolo. Già sbagliai l’attacco, malgrado fosse molto evidente, e cominciai a salire parallelamente alla via ma dieci metri più in la. Ovviamente non trovai chiodi e questo intaccò ulteriormente la mia determinazione. A metà del secondo tiro cominciò a girarmi la testa e a veder girare tutto. Ritirata obbligatoria e termine della giornata all’ambulatorio per turisti, diagnosi labirintite, riposo assoluto, fine della vacanza.

Altro maleficio: era stata da poco inaugurata una nuova ferrata sul versante sud, per curiosità andai per ripeterla. Andò così: mattina presto per evitare lamentele coniugali, quasi buio, Passo di Valparola, ferrata indicata su un foglietto sventolante attaccato a un paletto con freccia verso il basso, fatta la discesa al primo bivio nessuna indicazione, si deve andare a sud quindi giro a sinistra, comincia la salita, faccio fatica, capita sempre nei primi 10 minuti, dopo 20 minuti faccio ancora fatica, si vede che non sono ben allenato, indicazioni praticamente assenti speriamo di essere sulla strada giusta, dopo mezz’ora dovrebbe esserci l’attacco ma non vedo traccia, sono andato piano e quindi ci vorrà più di mezz’ora, intanto ansimo per la fatica, sono un po’ preoccupato. Finalmente un’indicazione seria, sono all’attacco. Se ho fatto così fatica a camminare e ci ho messo così tanto tempo è meglio non peggiorare la situazione e magari dover chiamare il soccorso alpino per il solito anziano velleitario. Brutta cosa diventar vecchi. Torno indietro, è quasi tutta discesa, solo un ultimo strappo di salita per tornare al parcheggio. Crisi di scoramento seduto in macchina, ormai sono un ex alpinista. Con una reazione di orgoglio decido di andare in cima dal sentiero normale e arrivo in vetta senza troppa fatica.

Non era un problema di età, un cardiogramma da sforzo qualche tempo dopo rivelò la vera origine: una coronaria ostruita al 95%. Con l’installazione di tre Stent mi hanno restituito un po’ di gioventù e vanificato il maleficio della Stria.

Torri Falzarego e dintorni
Le torri sono due, la più frequentata è la Piccola. La Grande però ha un suo fascino proprio perché ci si è quasi sempre da soli, io ne ho un ricordo particolare perché l’ho salita ultrasessantenne con Carlo, uno dei miei compagni di scuola più cari. Abbiamo entrambi la passione per la montagna ma non avevamo mai avuto l’occasione di arrampicare insieme.

Nella nostra classe, la quinta F del liceo Leonardo da Vinci di Milano si era creato un legame particolare tra tutti noi, un legame durato nel tempo. Dopo una perdita di contatto iniziale dovuta alle diverse scelte universitarie, al lavoro, al matrimonio, ai figli, da una ventina d’anni abbiamo iniziato ad incontrarci periodicamente per qualche ricorrenza. Nel 2022, in 15, abbiamo festeggiato il sessantesimo dell’esame maturità.

Quinta F nel 1962
Quinta F nel 2022

Incontratici per caso con Carlo a Cortina abbiamo pensato di fare una salita insieme e siamo andati a fare la Lussato. E’ una bella via ed è rimasta tra i miei ricordi particolari, l’averla fatta con Carlo l’ha resa speciale.

Sulla Torre Piccola invece ci sono stato tante volte. Guardandola dai pressi del Passo Falzarego si ammira stagliarsi contro il cielo il suo spigolo sud che mi ha sempre suscitato un’attrazione irresistibile. La prima volta ho salito la via delle Guide nel centro della parete sud est. A fianco la via Comici, dopo un inizio sulla stessa parete, percorre proprio il fantastico spigolo sud con roccia ideale e ben protetta, vorresti non finisse mai. Molto bella anche la Diretta Ghedina che sale a destra della via delle Guide e al quarto tiro regala una placca bellissima.

Torre Piccola, il fantastico spigolo

Vicino alle Torri ci sono un paio di cime che, penalizzate da quella vicinanza, pochi salgono e conoscono. Io le ho scoperte su una delle ottime guide create da Mauro Bernardi, sono la Piramide Col de Bos e la Punta Alpini. Su entrambe ho salito le vie degli spigoli sud che sono molto belle. Sono state attrezzate con chiodi cementati probabilmente nel corso degli addestramenti degli alpini.

Da sinistra, (1) Piramide Col de Bos e (2) Punta Alpini

Le Cinque Torri
Nella mia situazione attuale le Cinque Torri sono diventate l’ultima spiaggia delle mie velleità arrampicatorie. Problemi famigliari ed età contribuiscono ad una limitazione delle attività di arrampicata e quindi le Torri con la facilità di avvicinamento e la brevità della maggior parte delle vie permettono quelle brevi “toccata e fuga” che mi danno ancora qualche illusione di vitalità non del tutto scomparsa e mi fanno brillare ancora gli occhi come succedeva un tempo dopo imprese più importanti. Beh, ce l’ho fatta ancora!

Ma perché cinque? Grande, Ovest, Lusy, Barancio, Romana, Inglese, Latina, Alta, Bassa, Trephor, il conto non torna: erano 10 prima del crollo della Trephor e adesso sono ancora nove e speriamo che rimangano in piedi tutte e nove. Mi pare di ricordare che il Cinque derivi dal fatto che dalla strada per Cortina se ne vede solo quel numero.

Che posto fantastico! Su da una poi giù e dopo pochi minuti su da un’altra e avanti così fino a quando la stanchezza prende il sopravvento.

Da destra, Torre Quarta (Bassa), Alta, Torre Latina

Sulle 5 Torri ho arrampicato con Massimo, Maurizio, Claudio, da solo.
Ho salito la Torre Lusy per la via Lusy, ne ho percorso anche qualche tiro da solo, l’avrei salita anche tutta ma o mi tiravo dietro una corda in più perché la discesa in doppia richiede 2 corde o ritornavo per la stessa via con un po’ di scomode doppie.

La bella via sulla parete nord della Torre del Barancio ha procurato a me e Maurizio i complimenti di un istruttore degli alpini dopo che ci aveva visti arrampicare in un giorno di forma smagliante.

Sulla Torre Grande ho salito la via Miriam, la via più classica delle Torri e perfetta interpretazione della famosa frase “cercare il facile nel difficile”; dopo i due tiri iniziali belli ma un po’ unti per i troppi passaggi, un’audace traversata a sinistra, astutamente scoperta dal grande Angelo Dibona, permette di evitare delle difficoltà elevate e di raggiungere elegantemente la vetta.
Sulla Torre Ovest ho salito la bella via delle Guide.

Torre Grande e Torre Lusy

Un discorso a parte merita la Torre Quarta che in passato avevo sempre trascurato forse perché di aspetto meno ardito di quelle che la circondano. Da qualche anno è diventata la mia salita fissa perché è la più comoda da salire da solo autoassicurato. Quelli che incrocio mi guardano perplessi, molti mi chiedono quanti anni ho e poi mi fanno i complimenti. All’inizio mi davano fastidio ma ormai ci sono abituato e quasi li gradisco.

Torre Quarta (Bassa), 1° tiro

Mi manca la Torre Inglese, per salirla da solo non c’è l’anello alla base o qualche clessidra, spero quest’anno di trovare il modo di piantare un chiodo o di creare un ancoraggio per dei cordini.

Torre Inglese

Certo, sovrastate dagli 800 metri della parete est della Tofana di Rozes, soffrono un po’ un complesso d’inferiorità. Il clima psicologico è completamente diverso, ti puoi spingere ad osare anche qualcosa vicino ai tuoi limiti senza timore, anzi con divertimento. Non c’è la ricerca della via e la necessità di raggiungere la vetta, puoi abbandonarti alla ricerca dell’armonia del gesto stando però attento a non sottovalutare le rischiosità che l’arrampicare comunque comporta.

A proposito di Tofana di Rozes ho salito il Primo Spigolo, una delle poche salite con una guida. Era Marcello Cominetti che col suo pulmino Wolksvagen ci aveva portati fin quasi all’attacco. Soprattutto per merito suo ma anche un po’ della mia buona forma abbiamo realizzato un ottimo tempo per salire questa bellissima via dal tracciato disegnato dalla natura.

Tofana di Rozes, parete sud

Elogio del “Non Difficile”
Di che grado è? Questa la prima domanda che viene fatta, anche da me, quando si parla di una via. Chissà perché, con tutto quello che può caratterizzare una via (roccia, lunghezza, impegno, bellezza, esposizione, ecc.) si va sempre a parare sul grado.

Perché andare a cercare la difficoltà? Da ragazzo e anche dopo ero sempre alla ricerca di salite per me di un certo impegno, un modo per mettermi alla prova. Certo il “difficile” è stimolante e adrenalinico e se lo superi ti lascia soddisfatto ma anche potersi muovere armonicamente con tranquillità sul “facile” è molto gratificante.

Oggi, anche per ragioni ovvie, apprezzo molto di più l’armonia del gesto arrampicatorio, cosa che mi riesce più agevole su difficoltà al di sotto dei miei limiti i quali pian piano variano in senso inversamente proporzionale all’età.

Ebbene sì, mi piacciono le salite plaisir, non sono più alla ricerca di come mettermi alla prova, mi piace arrampicare senza patemi, senza incertezze, provando solo il piacere di trovare buoni appigli, di veder crescere il vuoto sotto di me, di illudermi di dominare la gravità.

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3 Comments

  1. says: Alex

    Che bel racconto! Per le vie che descrive e per i luoghi ….potrei essere io la protagonista!
    Salite tutte, ma proprio tutte.
    Alcune le rifaccio sempre volentieri perché mi sono rimaste nel cuore.

  2. says: Carlo Poggio

    Carissimo, esserci con te sulla Lussato è stato appagante, ma soprattutto perché era il primo incontro su roccia dopo 40 anni e più dalla Maturità, preparate insieme di notte a casa di Piero e Paolo. Caso vuole che il mio primo approccio con la montagna d’estate fu propri dopo aver passato la maturità, convinto da mia madre a stare una settimana al fresco, per riposarmi dopo gli esami. Fu subito amore a prima vista, dopo che l’amore per la montagna per una decina d’anni era stato solo invernale, sugli sci. Un abbraccio. Carlo

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