La prima volta tra i Monti del Sole
(primo racconto dalla serie L’arte della solitudine)
di Armin Speranza
Ne ho sentito parlare quando ero ancora un bambino, mio padre e i suoi amici mi avevano raccontato di incredibili avventure tra queste montagne. Una volta, durante una traversata si persero nel buio e non riuscendo a trovare la via per il bivacco Valdo, l’unico nel gruppo montuoso, dovettero trascorrere la notte in un riparo di fortuna, in qualche anfratto sperduto. Io ascoltavo incredulo, pieno di ammirazione e interesse.
Le avventure mi hanno sempre affascinato: l’ignoto, le rupi, le vette, la solitudine, la bellezza e la spietatezza della natura selvaggia. La grande montagna nella mia immaginazione si radicava e diveniva un simbolo. Già sapevo che avrei seguito le loro orme un giorno. Sono certo che i miei occhi di bambino s’illuminavano nell’ascoltare i loro racconti e così venivano piantati i semi della passione in un giovane animo ingenuo.
Mi commuovo nello scrivere queste parole, sdraiato sulla branda del bivacco Valdo mentre fuori piove.
Dunque eccomi qui, solo con me stesso e con un piccolo bagaglio d’esperienza che mi consente di muovermi tra queste asperità senza lasciarci la pelle.
Ora so che non esageravano nei loro racconti, qui è davvero impervio, le tracce labili sembrano quelle dei camosci ma qua e là compare un segno rosso o azzurro o è un ometto di pietre a indicarmi la via.
I Monti del Sole, un sole solitario, severo, remoto ma pur sempre una fonte di luce.
Nel frattempo è calato il buio, oggi è passata una vera e propria tempesta da queste parti, raffiche di vento, grandine, tuoni e tanta, tanta pioggia. Era prevista e ne ero a conoscenza.
Partito a piedi da Sospirolo (BL) alle 10, sapevo che dovevo essere rapido: così in tre ore e mezza arrivo al bivacco, sembra un miraggio.
Ad accogliermi è un camoscio, ci scambiamo uno sguardo, la sorpresa dell’incontro tra essere umano e bestia selvaggia, il tempo sembra fermarsi ma all’improvviso lui lancia il suo grido stridulo e a grandi balzi sparisce nel boschetto attorno al bivacco.
Giusto il tempo di guardarmi attorno, sistemare le mie cose e si scatena il cielo con la violenza tipica dei temporali in quota. Verso le 18 breve tregua così mi dirigo a recuperare dell’acqua che sento scorrere copiosa poco distante dal Valdo.
Percorro poche decine di metri e in prossimità di un gran canalone detritico rimango meravigliato dallo scorrere di decine di cascate che tra le rupi e le pareti si fanno strada confluendo al centro del canalone. Riempio le mie borracce, la tanica del bivacco per chi verrà e resto ad ammirare il più semplice e antico spettacolo del mondo, il precipitare dell’acqua.
Le nubi si diradano in alto ma da fondovalle nuovi banchi salgono rapidissimi e vorticosi. Di lì a poco anche le cime svaniscono tra le nuvole e riprende a piovere, una pioggia leggera questa volta, non c’è più violenza. Così torno in bivacco e inizio a scrivere lasciandomi andare al flusso creativo che solo durante un’avventura solitaria sento scorrere forte come le cascate che mi attorniano. L’acqua riempie il silenzio di quest’angolo remoto, le parole che scrivo riempiono un vuoto che è in me.
Sono le 21, il cielo è ora terso e limpidissimo, soffia una brezza fredda, le pareti che svettano attorno al mio riparo riflettono la luce della luna che ancora non vedo, le prime stelle si svelano ed io vado a dormire.
Questo racconto lo dedico a Claudio, mio padre, morto quando avevo 12 anni. Non gli ho mai voluto bene, ma è stato il primo a guidarmi tra le montagne quando ero un bambino e ad insegnarmi lo spirito necessario per sentirmi a casa anche nei luoghi più selvaggi.
Come sempre torno a valle con gli occhi colmi di bellezza, il cuore pieno di gratitudine.
PS. Tra i Monti del Sole bisogna essere sempre cauti e vigili perché il Mazarol, con la complicità dei cervi e dei camosci è sempre dietro l’angolo, pronto a farti smarrire la via.
Bel racconto, emozionante….
L’infanzia è l’età migliore per coltivare l’illusione della bellezza e della contemplazione.
Sintetico e conciso. L’autore, nell’ultima foto davanti al bivacco, ha nascosto la sua gemella nei pantaloncini. Forse temeva che il Mazarol, o un cervo, o un camoscio gli divorasse il suo pranzetto.
… la sua gamella (non ‘gemella’)
Grazie di cuore per averlo pubblicato e grazie a tutti coloro che spenderanno del tempo a leggerlo.
Armin