Fulvio Valt, maestro di sci in Veneto: «Creare sciatori ha molte spese e oggi sono anche pochi i professionisti disponibili tutta la settimana, tanti giovani studiano e possono garantire la presenza sono nel weekend».
Diminuisconi i maestri di sci?
(Ecco perché sono spariti i maestri di sci: «Si guadagnano al massimo 2.000 euro al mese e il patentino costa molto»)
di Ugo Cennamo
(pubblicato su corrieredelveneto.corriere.it il 3 dicembre 2023)
C’era una volta il maestro di sci, valligiano dal fisico roccioso quanto le guglie delle Dolomiti e probabilmente pure lui rientrava nel pacchetto riconosciuto patrimonio Unesco. Oggi la musica è cambiata e ai veci che resistono impassibili all’intemperie e al passare del tempo si è un aggiunto un esercito di ragazzi e di ragazze di età compresa fra i venti e i trent’anni che rappresenta la new wave delle 42 scuole di sci attive in Veneto.
La crisi dei maestri di sci tra nuove e vecchie generazioni
La nuova guardia, ancora più di quella old fashion, per ottenere il patentino ha divorato dall’età di cinque ai diciotto anni migliaia e migliaia di paletti, sia per allenarsi sia per l’attività agonistica. Si tratta di un percorso obbligato, tant’è che la qualità dei maestri che operano da Asiago ad Arabba, passando per Cortina, Alleghe, Zoldo e via dicendo, è letteralmente «da far paura», come sottolinea Fulvio Valt, delegato del Collegio regionale maestri sci del Veneto, nonché direttore della scuola sci e snowboard di Falcade. Tutto bellissimo se non fosse per un problema che, anno dopo anno, sta assumendo proporzioni preoccupanti: mancano maestri di sci.
Buoni numeri: «Ma i maestri non si fermano tutto l’inverno»
Crisi delle vocazioni? Non propriamente, perché i numeri ci sarebbero anche a partire dai 1.200 maestri che operano nel Bellunese. Il problema è un altro e lo spiega lo stesso Valt: «La situazione cambia lievemente da zona a zona, ma sono sempre meno i maestri che si fermano tutto inverno». Quest’anno si calcola che la stagione finisca il primo di aprile, lunedì dell’Angelo. Quattro mesi tondi tondi. «Oggi ci sono tanti giovani maestri – spiega Valt – che studiano e non possono garantire la presenza per tutta la stagione, sono disponibili nel weekend, ma non durante la settimana e noi, tutta la filiera del turismo, deve poter contare sulla loro presenza dal lunedì al venerdì, non solo nel weekend».
Lo stipendio non più attrattivo: «Dai 1.500 ai 2.000 euro al mese»
In continuo calo sono poi i valligiani che si avviano verso la professione e questo fa sì che un maestro che viene dalla città debba sostenere anche le spese per l’alloggio. E qui subentra un altro problema: la professione non è più remunerativa come lo era un tempo. Oggi un maestro guadagna mediamente dai 1.500 ai 2 mila euro al mese, questo perché appartiene alla categoria dei liberi professionisti, quindi è tassato dal 30 al 40%, deve pagarsi l’attrezzatura, lo skipass e l’abbigliamento, oltre alle varie imposte previste e all’assicurazione. Da qui uno stipendio non attrattivo e un’attività che si configura come un secondo lavoro, niente di più.
Le grandi spese per formare gli sciatori
Ma perché i valligiani non ambiscono al patentino? «Oggi per diventare maestro – spiega Valt – è necessario praticare attività agonistica e per farlo nel corso di almeno una decina di anni di carriera si spendono cifre altissime cui si aggiunge il corso finale di novanta giorni che costa quindicimila euro». Una famiglia che voglia far crescere un piccolo sciatore si calcola spenda dagli ottanta ai centomila euro: lo sci è uno sport costoso se si pensa quanto costa soggiornare nelle località invernali, dotarsi dell’attrezzatura necessaria, iscriversi a uno sci club, skipass e le varie voci connesse ben note ai frequentatori della montagna.
Come è cambiato il mondo della montagna
C’è infine chi, ma si tratta di un numero di maestri ridottissimo, non aderisce a nessuna scuola sci e ha una propria consolidata clientela. Ma i tempi dei vip sulle piste, quando a Cortina erano di casa Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli, sono un ricordo lontano. Senza contare che un tempo gli sci erano lunghi due metri e la prima discesa era successiva a giorni di noiosissime scalette e il primo skilift era un trauma. Oggi un paio di lezioni se va bene e c’è chi si sente pronto per qualsiasi muro. E a lavorare è il soccorso alpino più ancora dei maestri.
Il commento
di Carlo Crovella
Pezzo a pezzo, il mondo dello sci di pista si sta sgretolando. Da un lato mi dispiace, perché sciare è la mia passione più intensa e, soprattutto, è la stata la mia prima passione travolgente, durante gli anni delle mie scuole medie: il primo amore non si scorda amai. Ma allora sciare (sia in pista che fuoripista usando gli impianti) era un’attività completamente diversa da quella che si è evoluta, o involuta, negli ultimi 25 anni.
Ora il modello dei mega-comprensori con piste lisciate e tutto incentrato sull’Après Ski (apericena, SPA, discoteca) sta diventando ogni giorno più improponibile e tanto varrebbe rendersene definitivamente conto. Invece si cercherà di tenerlo in vita, grazie ad una specie di accanimento terapeutico, con costi ambientali elevatissimi e uscite finanziarie a carico di tutti i cittadini italiani (le sovvenzioni pubbliche infatti pesano sul cittadino padano come su quello di Siracusa).
Nel frattempo non ci si cava più da vivere o, meglio, non è più foriero di profitti (sia individuali che societari) elevati come un tempo, per cui i diversi operatori si stanno allontanando, alla ricerca di altre opportunità. È inevitabile: skipass troppo cari, meno sciatori, meno clienti per i maestri.
Il passo successivo sarà: chi vuole imparare a sciare non trova facilmente il maestro, quindi non impara e non acquista lo skipass. Quindi ancora meno sciatori e ulteriore aumento degli skipass e… avanti con un altro giro di giostra. Il modello si sta accartocciando su se stesso.
Non so se diminuiscono. Di sicuro domenica i Carabinieri ne hanno beccato uno sulle piste di Madonna di Campiglio…ubriaco! 😀
C’è qualcosa che non quadra: il primissimo comandamento a giustificazione dei nuovi impianti che si continuano a sfornare è che si amplia per creare nuovi posti di lavoro, altrimenti i giovani se ne vanno. E quindi?
Magari la lamentela serve ad ottenere qualche incentivo “pubblico”. Comunque lo ski da discesa è uno sport costoso e il numero di praticanti potrebbe ulteriormente diminuire visto l’elevato costo della vita. Ne trarranno vantaggio i ricchi o gli arricchiti che avranno tutte le piste per loro. Ubi major minor cessat.
Pare che a Vail un giornaliero costi 299 dollari, nel sistema capitalista a stelle e strisce senza supporto pubblico queste sono probabilmente le tariffe che consentono al sistema di stare a galla.
Da noi grazie alle addizionali regionali che quasi tutti paghiamo le regioni finanziano le società private che riescono a mantenere tariffe più basse ma sicuramente non alla portata di tanti.
Meno sciatori e meno maestri, forse una volta guadagnavano di più perché forse c’era maggior elusione/evasione.
Forse molti giovani si sono stufati di fare pali su piste perfette, la stagione si è ristretta e non puoi campare lavorando 4 mesi all’anno.
Preferirei che le regioni destinassero maggiori finanziamenti alla sanità pubblica che agli impianti a fune.
Stiamo andando verso un sistema privato sanitario che non ci possiamo permettere.