Michil Costa, albergatore ambientalista: “Sì al numero chiuso, ai passi vietati alle auto e ai posti letto contingentati”.
Montagna allo stremo
(ma non incolpate i turisti. Per salvarla servono limiti)
di Giampaolo Visetti
(pubblicato su La Repubblica del 25 luglio 2025)
L’intervista a Michil Costa
«I turisti in coda per salire su una funivia anche d’estate non vanno persi in giro, o criminalizzati. Non sono tamarri perché si fanno i selfie, o perché si limitano a mangiare in un rifugio. Voler vedere una montagna resta un sogno, non una colpa: ognuno fa ciò che può.
Al contrario le persone risucchiate nella calca sono vittime di chi li tradisce: un’industria turistica che per interesse rinuncia a governare i flussi di chi viaggia, a diffondere cultura, a indicare luoghi meravigliosi che per l’abbandono vanno in rovina.
Il problema in alta quota non sono le code, che si fanno anche per entrare in un museo. Sono piuttosto le conseguenze di un sovraffollamento alimentato dall’assenza della politica: se non ci fermiamo proprio questo è destinato a svuotare i territori in cui oggi si fa fatica a muoversi».
Michil Costa è il pioniere dell’accoglienza e dell’ambientalismo tra le Dolomiti. In queste ore, dalla sua Corvara, guarda impressionato le immagini delle colonne chilometriche di persone davanti alla funivia del Seceda, o delle auto che intasano i parcheggi sconfinati delle Tre Cime di Lavaredo, o del lago di Braies. «Nessuno scandalo – dice – e nessuna sorpresa: la gente va in vacanza dove la promozione turistica la porta. Il punto è che il limite della sostenibilità è stato superato e che nessuno si muove per stabilire le regole necessarie alla sopravvivenza di ospiti e residenti».
È corretto definire assediata una montagna dove alcune centinaia di turisti aspettano la funivia?
«Sì perché si fa riferimento ad una percezione culturale consolidata e condivisa. La folla in una metropoli si accetta perché è inevitabile. Sulle Dolomiti no perché deve essere prevenuta. Sulle spiagge, sbagliando, la si sopporta perché è nata assieme alla scoperta popolare del mare».
Le immagini puntate sulla folla, mentre attorno la montagna è vuota, dicono la verità?
«Certificano una verità: l’industria turistica concentra la massa in pochi luoghi e li distrugge. La demolizione però non resta circoscritta: per abbandono contagia anche i territori risparmiati».
Evitare gli hot-spot salva un ambiente sotto attacco?
«Troppo tardi, impossibile e insensato. La montagna si salva con regole nuove. Le Dolomiti, come altre zone di Alpi e Appennini, non hanno più bisogno di finte aree protette, ma di p>archi veri: gratuiti, ma accessibili solo su prenotazione e a numero chiuso. I passi dolomitici in estate vanno chiusi al traffico su strada. I posti letto devono essere limitati. Senza freni siamo morti».
Non è una forma di libertà anche stare nella natura senza conoscerla, o senza essere alpinisti?
«La garanzia delia libertà sono i limiti. La portata degli impianti di risalita, ad esempio, non va aumentata, ma diminuita. Sulle strade di montagna un semaforo evita le colonne di auto e moto. Turisti e luoghi hanno poi bisogno di una carta d’identità della sostenibilità: chi supera una certa soglia di emissioni deve essere costretto a rinunciare ad andare dove vuole, o ad accogliere chiunque».
Non si rischia di delineare un mondo chiuso, accessibile solo a chi può rispettare certi limiti?
«Non abbiamo alternative. Gli effetti della massa concentrata dal turismo industriale distruggono gli stessi luoghi venduti ai turisti. Ogni territorio ha una capacità massima di accoglienza: va definita e fatta rispettare. I limiti sono la condizione per mantenere il pianeta aperto: anche noi imprenditori, per non fallire, dobbiamo cambiare testa ed essere coraggiosi».
Come?
«Per essere chiari: stop alle piscine riscaldate all’aperto, alle Spa in alta quota, o ai finti rifugi trasformati in ristoranti stellati. In montagna a fare danni, prima dei turisti, siamo noi montanari. E i primi a non venire più sono i giovani».
Perché?
«La montagna turistica costa troppo, anche per chi vorrebbe viverci. Chi nasce in un luogo turistico deve abbandonarlo perché non può più permetterselo. Chi lo sogna, rinuncia perché non trova più la natura intatta, o l’avventura autentica, che cercava prima di vederlo».
Allora perché il boom di presenze sembra non avere fine?
«Attenzione: le immagini della folla alla funivia non mostrano tutto. Se il sentiero da percorrere a piedi supera il chilometro e sale, oltre c’è il vuoto. Se parti al mattino presto, cammini da solo. Se eviti i fine settimana di luglio e agosto, ampi spazi sono deserti. La montagna non muore perché c’è la gente, ma perché la si concentra: dove non è già finito, il boom ha gli anni contati».
La tragedia del quindicenne precipitato martedì in Valle d’Aosta, mentre saliva da solo verso una vetta poco sotto quota 3 mila, conferma che c’è anche un’emergenza sicurezza?
«È evidente. Appartengo a una generazione che prima di mettere gli sci faceva la pre*sciistica, prima di fare una pista imparava a sciare, prima di salire una parete chiedeva a una guida di insegnargli ad arrampicare, prima di partire per una cima andava dai montanari per capire cos’è l’alpinismo. Il porno-turismo d’alta quota salta tutti i passaggi indispensabili per sopravvivere».
Qual è la regola essenziale?
«L’umiltà: voler capire dove sei, perché ci sei. verso quale destinazione vuoi andare, come sarà. La natura non vuole uccidere, ma non perdona gli errori».
Non si tende a essere troppo severi verso i turisti, quando ad esserlo sono gli altri?
«Giudicare non rende innocente chi giudica. Chi cerca la bellezza, in una vita segnata dal lavoro e dai sacrifici, va rispettato. In montagna però la crescita economica ha superato quella culturale e l’ambiente è allo stremo. È il momento di pensare e di fermarsi».
Articolo da gognablog.
Qui, passa inosservato.
Peccato.
Michil Costa: l ‘ Alexander Langer degli albergatori. O no?
Il numero chiuso però non è una soluzione: il numero chiuso rinchiude i cittadini nelle prigioni del controllo autoritario. Ci saranno anche le scuole e gli ospedali a numero chiuso? Ci sarà anche la democrazia a numero chiuso?
Il dandy dice molte cose interessanti ed ha una sensibilità “turistica” non indifferente.
Una cosa con cui normalmente sono d’accordo è che la “mano invisibile” del mercato aggiusta tutti gli squilibri : in questo caso invece no.
Come dice Costa il “porno turismo” dove la piscina riscaldata , il campo di golf ed il campo di padel devono essere sempre più a ridosso delle vette , porta ad uno snaturamento dei luoghi che non viene limitato dalla “mano invisibile” del mercato.
Il problema sarà che difficilmente gli operatori del turismo accetteranno regole che chiudono parzialmente il rubinetto dei soldi , e la portata ridotta per funivie e posteggi difficilmente sarà accettata e normata.
La veste sarà che chi vuole il suo porco posteggio nei prati , o della possibilità di avere 400 pullman in contemporanea a Canazei si lamenterà che viene privato della suà “Libertà”.
Viene il dubbio che ha dar fastidio siano i troppi turisti che spendono poco. Probabilmente una clientela selezionata in base alla disponibilità di denaro con posti limitati a prezzi elevati sicuramente farebbe gola a chi opera nel settore.
Tutti poi ad invocare i limiti…per gli altri però.
Un vero limite? Salire in quota partendo dal fondovalle oppure eliminando gli impianti di risalita. Rifugi più spartani. Probabilmente salirebbe solo chi ha voglia di camminare e di far fatica.
Ecco la selezione.