di Marco Bianchi
Le schede sono aggiornate fino al 2008
Tutte le fotografie (salvo esplicita menzione) sono di Marco Bianchi (https://www.marcobianchifotografo.it/gallery/)
“Sulla vetta dello Shisha Pangma l’aria era fredda, pura. Osservavo sbalordito uno spettacoloso groviglio di ghiacci e roccia che in ogni direzione urlava con prepotenza la sua bellezza. Poi rimasi incantato. I sensi, per un istante, vennero meno. Tre piramidi, perfette, regolari, straordinariamente alte e slanciate, emergevano dalla crosta terrestre come uragani cristallizzati. Erano l’Everest, il Lhotse e il Makalu. Niente li superava. Niente poteva essere altrettanto immenso. La forza dei continenti che, schiantandosi l’uno contro l’altro, li aveva generati, si era fusa in quelle muraglie immani. Di fianco a loro, quasi in disparte, come un timido bambino, stava il Cho Oyu. La sua bianca cima piatta e larga risplendeva sotto il sole. Il blu del cielo penetrava nelle linee delle montagne, le avvolgeva, ne distorceva le forme. Questo cielo sterminato, profondo, infinito. Tutto gli apparteneva, noi uomini e l’Himalaya. I seracchi, l’altopiano tibetano, le foreste nepalesi. Era formato dagli oceani, dai fiumi, dagli animali. Quel cielo era nulla e ogni cosa. Mi era lontanissimo e vicino. Così vicino da essere in me e così lontano da non poterlo neanche vedere. Perché non si fermava da nessuna parte. Non aveva confini né colori. Né forme né dimensioni. Il suo blu era anche nero. Il suo blu era anche bianco (da Montagne con la Vetta, Marco Bianchi)).
Scheda ANNAPURNA I
Nome della montagna e quota Annapurna I 8091 m
Nome/i locale della montagna Annapurna
Significato del nome locale La Dea dell’Abbondanza, La Dea delle Messi
Posizione geografica Himalaya del Nepal, tra Kali Gandaki e Marsyandi, 28° 36’ lat. nord, 83° 49’ long. est
Stato di appartenenza Nepal
Prima salita il 3 giugno 1950 Maurice Herzog e Louis Lachenal
Nazionalità della spedizione francese
Via percorsa per la prima salita parete nord
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
L’Annapurna è situata nel Nepal centrale ed è stato il primo Ottomila scalato dall’uomo. Il suo nome, che significa “dea dell’abbondanza”, deriva dal fatto che le acque dei suoi ghiacciai alimentano il Gange e portano la vita nelle assetate pianure nepalesi e indiane.
Alla spedizione francese guidata da Maurice Herzog che il 3 giugno 1950 ne conquistò la vetta percorrendo la pericolosissima parete nord, partecipò il meglio dell’alpinismo francese del tempo: Jean Couzy, Marcel Schatz, Louis Lachenal, Lionel Terray e Gaston Rébuffat. Fino ad allora l’Annapurna era praticamente inesplorata e tra le enormi difficoltà che la spedizione dovette affrontare e risolvere ci fu anche quella di trovare la montagna e una via di salita percorribile. L’ascensione fu epica ma anche drammatica. Il ritorno dalla vetta al campo base rischiò di trasformarsi in tragedia. Tutti i partecipanti, messi a dura prova dalla scalata, rientrarono sfiniti e con molti congelamenti. Soprattutto Herzog e Lachenal dovettero subire gravi amputazioni agli arti che influirono moltissimo sulla loro vita futura.
Nel 1970 un’altra formidabile squadra di scalatori, questa volta inglesi, si avvicina all’Annapurna. Il loro obiettivo è la gigantesca e rocciosa parete sud, una delle muraglie più difficili e temibili dell’Himalaya. La spedizione è guidata da Chris Bonington, destinato a diventare uno dei nomi più famosi dell’alpinismo mondiale. In vetta arrivano il 27 maggio Dougal Haston e Don Whillans, altre due leggende dell’alpinismo britannico. La parete viene superata grazie a uno stile pesante e all’installazione di 4500 metri di corde fisse. Si trattò comunque di un passo da gigante nella storia dell’himalaysmo sportivo in quanto in fatto di difficoltà tecniche superò di gran lunga tutto quanto realizzato fino ad allora. Nonostante fosse stato adottato ancora uno stile tradizionale che facilita l’ascensione rispetto allo stile alpino e la rende più sicura, il 30 maggio Ian Clough muore travolto da una valanga sul ghiacciaio, quasi alla base della parete sud.
Oltre alla vetta principale, l’Annapurna offre agli alpinisti anche una cima centrale di 8051 metri (salita per la prima volta da una spedizione tedesca nel 1980) e una cima orientale di 8013 metri (salita per la prima volta nel 1974 da una spedizione spagnola). Il 24 ottobre 1984 gli svizzeri Erhard Loretan e Norbert Joos compiono in soli tre giorni e in stile alpino la prima traversata delle tre vette percorrendo la cresta est e salendo prima la cima est, poi quella mediana e arrivando infine su quella principale.
L’anno successivo, il 24 aprile 1985, gli italiani Reinhold Messner e Hans Kammerlander superano con un’ardita via nuova l’inviolata parete ovest.
Il 3 febbraio 1987 i polacchi Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer compiono un’altra delle loro straordinarie scalate salendo per la prima volta in inverno l’Annapurna. Sei anni prima altri due polacchi, Maciej Berbeka e Bogusław Probulski, avevano realizzato la prima salita della parete sud alla cima mediana (pilastro est).
A parte alcune varianti alla via dei francesi sul versante nord, è il muro verticale di roccia e ghiaccio della parete sud che attira sempre più spesso le attenzioni degli alpinisti. Tra le salite effettuate bisogna segnalare quella realizzata il 29 ottobre 1981 dai giapponesi Hiroshi Aota e Yukihiro Yanagisawa al pilastro centrale della vetta principale, e quella del 10 ottobre 1984 dagli spagnoli Nil Bohigas e Enric Lucas al couloir est della vetta mediana.
Scheda EVEREST
Nome della montagna e quota Everest 8848 m
Nome/i locale della montagna Chomolungma (tibetano) e Sagarmatha (nepalese)
Significato del nome locale Dea Madre della Terra – Alto nel Cielo
Posizione geografica Himalaya del Nepal, Mahalangur Himal (Khumbu Himal), 27° 59’ lat. nord, 86° 55’ long.est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) tra Nepal e Tibet
Prima salita il 29 maggio 1953 Edmund Hillary e Tenzing Norgay
Nazionalità della spedizione britannico-nepalese
Via percorsa per la prima salita Khumbu-Colle Sud/cresta sud-est
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
La montagna più alta del mondo è il sogno di ogni alpinista e ha rappresentato per lungo tempo una delle ultime frontiere dell’ignoto del nostro pianeta. Su questo colosso di roccia e ghiaccio che sfiora i novemila metri di quota si sono avvicendati nel corso di oltre ottant’anni i migliori alpinisti della storia. Nonostante oggi rimanga poco della magia e del mistero di un tempo, l’Everest continua a infiammare i sogni degli scalatori di tutto il mondo.
L’Everest “nasce” ufficialmente nel 1852 quando il Grand Trigonometrical Survey of India scopre che il “Peak B”, o “Peak XV” come viene successivamente rinominato, nel cuore dell’Himalaya, è la più alta vetta del mondo. Già dall’inizio del 1800 gli inglesi sospettano che tra le cime dell’Himalaya possa nascondersi la più alta vetta del mondo e quando viene scoperta nasce nell’immaginario collettivo un nuovo simbolo e un nuovo polo dell’estremo. A George Everest, fondatore e sovraintendente generale dell’Ufficio trigonometrico e geodetico dell’India, che aveva lavorato dal 1830 al 1843 al rilevamento cartografico del subcontinente indiano, tocca l’onore di dare il nome occidentale al gigante del mondo che i tibetani chiamano Chomolungma, la Dea Madre della Terra.
Per molti anni l’Everest rimane solo un nome sulle carte geografiche anche perché sia il Nepal che il Tibet, i due Paesi su cui sorge la montagna, impediscono agli stranieri di varcare i loro confini. Nel 1903, durante un’operazione militare in Tibet, un piccolo distaccamento inglese agli ordini del colonnello Francis Younghusband si avvicina all’Everest tanto da riuscire a scorgere chiaramente il suo versante settentrionale e a fotografare la parete est.
Soltanto dopo la fine della prima guerra mondiale una vera spedizione alpinistica riuscirà però a tentarne la scalata. Accade nel 1921 quando una spedizione inglese guidata da Charles Kenneth Howard-Bury, e alla quale partecipa anche George Leigh Mallory, uno degli alpinisti che più di tutti ha legato il suo nome all’Everest e che sull’Everest morirà nel 1924 assieme ad Andrew Irvine, darà il via al grande mito di questa montagna unica.
Le spedizioni inglesi degli anni Venti e Trenta non riusciranno però nel loro intento. Bisognerà aspettare il 29 maggio 1953 prima che due uomini riescano a raggiungere il tetto del mondo. Quel giorno il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay entreranno per sempre nella leggenda.
Oggi quasi tutto sull’Everest è stato fatto. Rimane solo qualche diretta estrema che aspetta di essere salita ma le pareti e le creste principali hanno ormai un nome e una prima salita (nonché, in alcuni casi, anche numerose ripetizioni). La via del Colle Nord attraverso la cresta nord e la parte superiore della cresta nord-est (l’itinerario scoperto e tentato dagli inglesi negli anni Venti e Trenta) capitola il 25 maggio 1960 grazie a una spedizione cinese. La cresta ovest, che separa la parete nord da quella sud-ovest, viene salita il 22 maggio 1963 dagli americani Tom Hornbein e Willy Unsoeld. La mostruosa parete sud-ovest è vinta il 24 settembre 1975 da due alpinisti straordinari come gli inglesi Douglas Haston e Doug Scott. L’integrale della cresta ovest viene realizzata il 13 maggio 1979 dagli sloveni Andrej Štremfelj e Jernej Zaplotnik. La parete nord viene salita il 10 maggio 1980 dai giapponesi Tsuneo Shigehiro e Takashi Ozaki. L’immane appicco ghiacciato della parete est, conosciuta anche come parete Kangshung, è scalata l’8 ottobre 1983 dagli americani Carlos Buhler, Kim Momb e Lou Reichardt, e l’integrale della cresta nord-est viene realizzata l’11 maggio 1995 da una mastodontica (e quindi sorpassata) spedizione giapponese. Nel frattempo l’italiano Reinhold Messner e l’austriaco Peter Habeler l’8 maggio 1978, per la via di Hillary e Tenzing lungo la cresta sud-est, raggiungevano per la prima volta la vetta dell’Everest senza utilizzare le bombole d’ossigeno. Lo stesso Messner, il 20 agosto 1980, compirà un’altra incredibile impresa salendo l’Everest da nord in solitaria e sempre senza ossigeno. Un autentico capolavoro. Infine i polacchi Leszek Cichy e Krzysztof Wielicki il 17 febbraio 1980 conquistavano la cima per la prima volta in inverno.
Oggi le ultime frontiere dell’alpinismo estremo sull’Everest sono la traversata Everest-Lhotse e una via diretta sulla parete sud-ovest, anche se queste salite al limite delle possibilità umane avrebbero ancora senso se realizzate senza ossigeno e con spedizioni piccole e leggere. Le grandi spedizioni del passato, con bombole d’ossigeno, tonnellate di materiale e decine di portatori d’alta quota, sono da considerarsi dinosauri estinti che hanno avuto la loro giustificazione ai tempi dei pionieri ma che oggi sono semplicemente ridicole e dannose per l’alpinismo.
Una delle considerazioni più belle che siano state fatte sull’Everest si deve all’alpinista austriaco Kurt Diemberger: “Non si dovrebbe andare sull’Everest senza aver riflettuto, senza aver cercato di conoscerlo, di parlargli in silenzio, magari standogli di fronte. Perché non è soltanto la più alta montagna della Terra…”.
Scheda NANGA PARBAT
Nome della montagna e quota Nanga Parbat 8125 m
Nome/i locale della montagna Nanga Parbat
Significato del nome locale La Montagna Nuda
Posizione geografica Himalaya del Punjab, 35° 14’ lat. nord, 74° 35’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Pakistan
Prima salita il 03 luglio 1953 Hermann Buhl
Nazionalità della spedizione tedesco-austriaca
Via percorsa per la prima salita versante Rakhiot (parete nord)
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Ultimo Ottomila a occidente della catena himalayana, situato interamente in territorio pakistano, il Nanga Parbat ha una delle storie alpinistiche più importanti, e allo stesso tempo più tragiche, fra tutte le montagne del mondo (trentun uomini morirono sui suoi fianchi già durante i primi tentativi di scalata, fino alla conquista solitaria di Hermann Buhl).
Il Nanga Parbat venne scorto per la prima volta da un occidentale a metà del 1800 quando Adolf Schlagintweit nel suo viaggio verso l’Afghanistan ne osservò il versante meridionale (la parete Rupal) giudicandola impossibile. La storia alpinistica del Nanga Parbat inizia però nel 1895 quando Albert Frederick Mummery, il miglior alpinista della sua epoca e in grandissimo anticipo sui tempi, organizzò una spedizione al Nanga Parbat insieme ad altri compagni (Geoffrey Hastings, Norman Collie e con l’appoggio di Charles Granville Bruce). Dopo una prima esplorazione della parete Rupal, Mummery si sposta sul versante Diamir (parete ovest) e durante un tentativo di scalata scompare per sempre con due portatori a circa 6400 metri nel tentativo di raggiungere la valle Rakhiot (nord) attraverso il colle Diama.
Dopo la prima guerra mondiale il Nanga Parbat diventa la “montagna dei tedeschi” che, sull’onda delle teorie naziste del superuomo germanico, ne fanno il loro campo di battaglia e di conquista. Dal 1932 al 1939 cinque spedizioni tedesche danno letteralmente l’assalto, ma sempre senza successo, al Nanga Parbat lungo il versante Rakhiot. I principali protagonisti di questi tentativi sono tra i più preparati alpinisti d’alta quota dell’epoca, da Willi Merkl a Willi Welzenbach (che moriranno sulla montagna), da Erwin Schneider a Peter Aschenbrenner e Fritz Wiessner. Il Nanga Parbat, come tutti gli altri Ottomila, resterà però vergine fino agli anni Cinquanta quando l’austriaco Hermann Buhl, in una scalata solitaria dall’ultimo campo, senza ossigeno, durata 40 ore ed entrata nella leggenda, arriverà sulla vetta il 3 luglio del 1953 salendo lungo la via del versante Rakhiot esplorata e tentata dalle spedizioni degli anni Trenta.
Il 22 giugno 1962 viene realizzata la seconda salita del Nanga Parbat per una via nuova sul versante Diamir. E’ una scalata eccezionale portata a termine dai tre alpinisti tedeschi Toni Kinshofer, Siegfried Löw (che morirà durante la discesa) e Anderl Mannhardt. Oggi, nonostante le elevate difficoltà, questa via è divenuta la normale di salita alla montagna perché relativamente sicura.
Nel 1970 viene compiuta un’impresa strepitosa sul Nanga Parbat, quasi quanto la prima salita del 1953. Una spedizione tedesca guidata da Karl Maria Herrligkoffer (già capospedizione nel 1953 e nel 1962) riesce a salire per la prima volta la parete sud, il versante Rupal, considerata con i suoi 4.500 di dislivello la più alta del mondo. L’eccezionale impresa è portata a termine dai fratelli Reinhold e Günther Messner che riescono a raggiungere la vetta il 27 giugno. Una volta in cima decidono di scendere dal versante Diamir sperando di trovare minori difficoltà rispetto al muro di roccia verticale della parete Rupal. Arrivati alla base del Diamir, dopo aver così compiuto anche la prima traversata della montagna, una valanga uccide Günther. Il povero Reinhold cercherà in tutti i modi di trovare invano il fratello, poi, sfinito e gravemente congelato, dovrà rinunciare e scendere verso valle dove verrà salvato dagli abitanti locali. Ritroverà i resti della salma di Günther nel 2005 al termine del ghiacciaio Diamir durante l’ennesima spedizione di ricerca da lui effettuata.
Le polemiche e le accuse seguite soprattutto alle spedizioni del 1953 e del 1970 continuano ancora oggi e forse non si placheranno mai. Da allora altre grandiose vie sono state tracciate sul Nanga Parbat (per esempio la via Schell del 1976 sulla parete Rupal e, sempre sulla Rupal, la via Polacca al pilastro sud-est del 1985). Vale la pena però segnalarne ancora due in particolare. La prima viene operata nel 1978 quando Reinhold Messner torna sul Nanga Parbat per la terza volta dopo il 1970 e finalmente riesce in un’impresa stupefacente: la prima salita solitaria del Nanga Parbat (e di un Ottomila) lungo la parte destra della parete Diamir. La seconda è una grande prima realizzata il 6 settembre 2005 sulla parete Rupal lungo lo sperone centrale. A realizzarla con uno stile leggerissimo e puro gli statunitensi Steve House e Vince Anderson. I loro principi etici sono gli stessi che mossero Albert Frederick Mummery nel 1895 e Hermann Buhl nel 1953 e forse con questa scalata i due americani hanno chiuso il cerchio che i due grandi alpinisti del passato iniziarono a disegnare e che Reinhold Messner aveva contribuito a portare quasi a termine con le sue salite del 1970 e del 1978.
Scheda K2
Nome della montagna e quota K2 8611 m
Nome/i locale della montagna Chogori (cinese)
Significato del nome locale La Grande Montagna
Posizione geografica Karakorum, Baltoro Mustagh, 35° 53’ lat. nord, 76° 31’ long. Est
Stato di appartenenza (eventuali confini) tra Pakistan e Cina
Prima salita il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli
Nazionalità della spedizione italiana
Via percorsa per la prima salita Sperone degli Abruzzi
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il K2 è la seconda vetta della Terra ed è considerato dagli alpinisti di tutto il mondo, quasi all’unanimità, come la montagna più difficile e più bella. Situato nel cuore del Karakorum, al confine tra Pakistan e Cina, il K2 si trova in una regione così selvaggia e isolata da essere stata esplorata completamente solo in questi ultimi anni. A differenza di altre famose montagne, non può essere visto facilmente: posto al centro di un enorme e complesso sistema glaciale, è circondato da altre gigantesche vette che ne celano la mole immensa. Soltanto dopo molti giorni di cammino lungo il ghiacciaio Baltoro o le valli desertiche dei territori cinesi, gli alpinisti possono contemplarne le linee pure e armoniose, così perfette da essere state paragonate a quelle di un grande cristallo (per dare un’idea delle sue dimensioni si è stimato che il volume del Cervino è 1/41 del volume totale del K2).
Nel 1856 il colonnello Thomas G. Montgomerie del Survey of India, durante una delle più ambiziose opere di misurazioni mai realizzate, la cartografia di tutti i possedimenti britannici nella penisola indiana, individua una serie di vette altissime nel cuore del Karakorum e le battezza con la lettera K (per Karakorum) accompagnate da un numero progressivo (K1, K2, K3, ecc.). Alla montagna che i locali conoscono come Masherbrum viene attribuita la sigla K1, alla cima alle sue spalle quella di K2 che si imporrà come definitiva prendendo il sopravvento su nuovi nomi (per esempio quello di Henry Haversham Godwin-Austen, altro ufficiale del Survey) che verranno proposti come alternativa.
Le prime esplorazioni di questa autentica meraviglia della natura iniziano nello stesso 1856 con il tedesco Adolf Schlagintweit che penetra lungo il Ghiacciaio Baltoro salendo al Vecchio Passo Mustagh. Per la prima spedizione alpinistica si dovrà attendere il 1902 quando Oscar Eckenstein con scalatori inglesi e austriaci tenta la cresta nord-est e raggiunge la quota di 6600 metri.
Nel 1909 una spedizione italiana diretta da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, individua la via di salita più favorevole lungo lo sperone sud-est che da allora si chiama “Sperone degli Abruzzi”. La spedizione del Duca, però, si arresta a 6000 metri di quota. I tempi per una scalata del K2 erano decisamente prematuri e gli italiani rivolgono le loro attenzioni ad altre montagne dell’area del ghiacciaio Baltoro.
Nel 1939 una spedizione americana allo Sperone degli Abruzzi sfiora un’impresa clamorosa. Il capo spedizione Fritz Wiessner, tedesco naturalizzato americano, con lo sherpa Pasang Dawa Lama, raggiunge senza ossigeno l’incredibile quota di 8370 metri. I due si arrestano perché con il sopraggiungere della sera Pasang vuole rientrare per paura degli spiriti della notte. Durante la discesa muoiono Dudley Wolfe e tre sherpa, le prime vittime del K2.
L’anno fatidico è il 1954. Un’altra spedizione italiana, questa volta guidata da Ardito Desio, raggiunge per la prima volta la vetta seguendo proprio lo Sperone degli Abruzzi. Il 31 luglio Achille Compagnoni e Lino Lacedelli calpestano, primi esseri umani, la neve più alta del K2. L’eccezionale difficoltà di questa montagna viene confermata dalla seconda ascensione che riesce, sempre lungo lo Sperone degli Abruzzi, a una gigantesca spedizione giapponese (42 alpinisti e 1.500 portatori) solo nel 1977, 23 anni dopo la salita di Compagnoni e Lacedelli.
Negli ultimi trent’anni il continuo assalto dei migliori alpinisti del mondo dotati di materiali estremamente sofisticati e di una conoscenza dell’alta quota molto migliorata rispetto al passato, ha determinato la realizzazione di altre vie che percorrono molte delle pareti o delle creste della montagna. Ciononostante il K2 continua a presentare nuovi problemi da risolvere e nuove vie aspettano ancora un alpinista che le voglia sfidare. In una realtà moderna dove è sempre più difficile trovare zone inesplorate, il gigante del Karakorum si offre come una delle ultime frontiere dell’ignoto del nostro pianeta.
Altre salite principali
Il 7 agosto 1981 una spedizione giapponese diretta da Teruo Matzuura compie la prima salita della cresta ovest alla parete sud-ovest portando in vetta Eiho Otani e il pakistano Nazir Sabir (quinta salita assoluta).
Il 14 agosto 1982 un’altra spedizione giapponese diretta da Isao Shinkai compie la prima salita del versante cinese salendo lo spigolo nord, probabilmente la più elegante e bella via del mondo da un punto di vista estetico, tanto da guadagnarsi immediatamente il soprannome di “via delle vie sulla montagna delle montagne” (sesta ascensione assoluta, in vetta Naoe Sakashita, Hiroshi Yoshino e Yukihiro Yanagisawa. Quest’ultimo muore in discesa).
L’8 luglio 1986 il formidabile alpinista polacco Jerzy Kukuczka con il compagno Tadeusz Piotrowski compie un’impresa eccezionale salendo per la prima volta la parete sud. Durante la discesa Piotrowski precipita e muore. Sempre nel 1986 viene salita per la prima volta la cresta sud-sud ovest grazie a un’altra spedizione polacca diretta da Janusz Majer. Il 3 agosto, Przemyslaw Piasecki, Wojciech Wróz e lo slovacco Petr Božik, arrivano in vetta. Wróz muore durante la discesa.
Il 15 agosto 1991 altri due fuoriclasse dell’alpinismo, i francesi Pierre Béghin e Christophe Profit, compiono una grande scalata iniziando la salita lungo la cresta nord-ovest per poi attraversare la parete nord-ovest e arrivando sulla vetta per il tratto finale della via dei giapponesi del 1982 sullo spigolo nord.
Il 21 agosto 2007 i russi Andrei Mariev e Vadim Popovich riescono nell’incredibile impresa di salire la parete ovest in prima ascensione e per una via diretta. Anche questa spedizione è di tipo estremamente pesante.
Scheda CHO OYU
Nome della montagna e quota Cho Oyu 8201 m
Nome/i locale della montagna Cho Oyu
Significato del nome locale La Dea del Turchese
Posizione geografica Himalaya del Nepal, Mahalangur Himal, 28° 06’ lat. nord, 86° 40’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Nepal e Tibet
Prima salita il 19 ottobre 1954 Herbert Tichy, Sepp Jöchler e Pasang Dawa Lama
Nazionalità della spedizione austriaca
Via percorsa per la prima salita cresta ovest e parete ovest
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Cho Oyu, situato al confine tra Nepal e Tibet, si trova a circa 27 chilometri a nord-ovest dell’Everest. La sua esplorazione da parte degli occidentali, come accaduto anche per il Lhotse e il Makalu, inizia nel 1921 con la prima spedizione inglese all’Everest. Alle popolazioni locali, invece, il Cho Oyu era ben conosciuto fin dai secoli precedenti tanto che un alto valico di 5500 metri chiamato Nangpa-La, e situato subito a ovest della montagna, veniva comunemente usato come passaggio tra il Nepal e il Tibet e viceversa. Lo stesso popolo sherpa, nella sua migrazione dal Tibet al Nepal in cerca di territori più ospitali, utilizzò il Cho Oyu come punto di riferimento durante la marcia verso sud.
Nell’autunno del 1951 la spedizione di ricognizione all’Everest di Eric Shipton penetra brevemente nella valle del ghiacciaio Ngojomba sul versante sud-orientale del Cho Oyu. L’anno successivo Shipton ritorna al Cho Oyu per una nuova spedizione di preparazione all’Everest e ha con sé alcuni dei migliori alpinisti inglesi e neozelandesi del momento tra i quali Thomas Duncan Tom Bourdillon, Charles Evans, George Lowe, Griffith Pugh ed Edmund Hillary. Questa volta gli alpinisti si spingono fin nella Bhote Kosi ai piedi della parete sud del Cho Oyu e Hillary e Lowe, dopo aver valicato la frontiera con il Tibet attraverso il Nangpa-La, raggiungono il versante occidentale del Cho Oyu. Installano due campi, ma giunti a 6850 metri decidono di rinunciare alla scalata.
Il Cho Oyu venne salito nel 1954 da una spedizione austriaca guidata da Herbert Tichy. Il 19 ottobre Tichy, Sepp Jöchler e Pasang Dawa Lama raggiungono senza ossigeno la vetta lungo il versante occidentale. Sarà l’unico Ottomila che verrà scalato in prima ascensione nella stagione post-monsonica.
Il 27 ottobre 1978 due alpinisti austriaci senza permesso di scalata, Alois Furtner e Eduard Koblmuller, avvicinandosi alla montagna come semplici turisti intenzionati a fare un trekking, riescono a salire per la prima volta la difficile parete sud-est. Si tratta di un’impresa notevole che però irrita moltissimo le autorità locali che decidono una sospensione di più anni dei permessi di scalata al Cho Oyu.
Nell’inverno del 1985, il 12 febbraio, i polacchi Maciej Berbeka e Maciej Pawlikowski compiono la prima salita invernale della montagna per una via nuova lungo il pilastro sud.
Sul Cho Oyu sono state fatte anche la prima salita invernale in stile alpino di un Ottomila (i cecoslovacchi Jaromir Stejskal e Dusan Beck) e la prima salita invernale in solitaria (lo spagnolo Fernando Garrido il 6 febbraio 1988).
Nel corso degli anni sono state aperte sulla montagna molte altre vie. La cresta sud-ovest è stata salita il 29 aprile 1986 dai polacchi Ryszard Gajewski e Maciej Pawlikoski. La parete nord il 2 novembre 1988 dallo sloveno Iztok Tomazin, la parete sud-ovest il 21 settembre 1990 dal polacco Wojciech Kurtyka e dagli svizzeri Erhard Loretan e Jean Troillet, e la cresta nord il 28 settembre 1996 dall’austriaco Sebastian Ruckensteiner e dallo spagnolo Óscar Cadiach.
Scheda MAKALU
Nome della montagna e quota Makalu 8463 m
Nome/i locale della montagna Makalu
Significato del nome locale Il Grande Nero
Posizione geografica Himalaya del Nepal, Mahalangur Himal, 27° 53’ lat. nord, 87° 05’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Nepal e Tibet
Prima salita il 15 maggio 1955 Lionel Terray e Jean Couzy
Nazionalità della spedizione francese
Via percorsa per la prima salita attraverso il Makalu-La (colle Nord), parete nord e cresta nord nord-est
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Makalu è la quinta vetta del mondo e si trova tra il massiccio dell’Everest (circa 18 chilometri a sud-est) e quello del Kangchenjunga. Oltre a essere l’unico Ottomila a poter rivaleggiare in bellezza con il K2, è anche quello sul quale rimangono forse le salite più interessanti ancora da fare, anche se con la scalata della difficilissima parete ovest avvenuta nel 1997 da parte di una spedizione russa (in vetta il 21 maggio Aleksei Bolotov, Igor Bugachevski, Yuri Ermachek, Dimitri Pavlenko e Nikolai Zhilin), soltanto la parete est continua a offrire quel senso di avventura e mistero che appartiene a una dimensione sempre più difficile da trovare sui grandi Ottomila.
Il Makalu, ben visibile da lontano e in particolar modo da Darjeeling, fu ritenuto per molto tempo (come accaduto anche al Kangchenjunga) la montagna più alta del mondo. Venne però esplorato con accuratezza solo nel 1921 quando gli inglesi, durante la prima ricognizione all’Everest, intrapresero vaste perlustrazioni nelle regioni a oriente dell’Everest stesso (in particolare nelle valli di Kama e Kharta) arrivando a lambire le pendici del Makalu.
Un contributo ancor più preciso alla conoscenza del Makalu venne fornito dall’alpinista e esploratore inglese Eric Shipton quando nel 1951 compì con altri scalatori (tra i quali Edmund Hillary) diverse puntate esplorative nella regione dell’Everest per trovare possibili vie di comunicazione tra i vari versanti della montagna.
La prima salita del Makalu avvenne il 15 maggio 1955 grazie a una spedizione francese guidata da Jean Franco. I francesi in quegli anni facevano affidamento su una serie di alpinisti formidabili che garantivano una straordinaria efficacia alle loro spedizioni. Così, come successo anche per l’Annapurna nel 1950, il Makalu non seppe resistere all’attacco di questi fuoriclasse che rispondevano al nome di Jean Couzy, Lionel Terray, Guido Magnone e André Vialatte. La spedizione si basò anche su una perfetta organizzazione e su accurate informazioni raccolte durante una ricognizione alla montagna progettata da Lucien Devies e diretta sempre da Franco l’anno precedente in concomitanza con una spedizione neozelandese capeggiata da Edmund Hillary.
La seconda ascensione della montagna non avvenne per la via classica ma durante una prima ascensione. Il 23 maggio del 1970, infatti, una spedizione giapponese percorse per la prima volta la cresta sud-est portando in vetta Yuichi Ozaki e Hajime Tanaka.
Una delle più eleganti e ambite linee della montagna, lo sperone ovest, venne salito il 23 maggio 1971 dai francesi Bernard Mallet e Yannick Seigneur durante una spedizione guidata da Robert Paragot: di certo uno dei più notevoli successi dell’alpinismo himalayano di quegli anni.
Il 6 ottobre 1975 gli sloveni Stane Belak-Šrauf e Marjan Manfreda superano per la prima volta i tre chilometri della parete sud, una delle più belle e difficili del Makalu. L’anno successivo, il 24 maggio 1976, lo slovacco Milan Kriššák e il ceco Karel Schubert vincono per la prima volta il pilastro sud: una grande impresa che però causerà in discesa la morte di Schubert.
Dall’inizio degli anni Ottanta molti altri successi sono stati ottenuti sul Makalu. Da segnalare, oltre alla già citata salita russa del 1997 alla parete ovest, una salita in solitaria il 15 ottobre 1981 del polacco Jerzy Kukuczka attraverso una via nuova per lo sperone sud-ovest, una prima salita della cresta sud-est con proseguimento per la parete est di una spedizione coreana (in vetta Young-Ho Heo e i nepalesi Ang Phurba e Pasang Norbu), un’altra prima in solitaria nel tratto superiore il 10 ottobre 1982 del polacco Andrzej Czok per la cresta nord-ovest e la parte finale della parete ovest, e una spedizione giapponese del 1995 che il 21 maggio porterà in vetta per la cresta est e la cresta nord-ovest Toshihiko Arai, Masayuki Matsubara, Osamu Tanabe e Atsushi Yamamoto.
Scheda KANGCHENJUNGA
Nome della montagna e quota Kangchenjunga 8598 m
Nome/i locale della montagna Kangchenjunga
Significato del nome locale I Cinque Forzieri della Grande Neve kang (neve) chen (grande) dzö (forziere) nga (cinque)
Posizione geografica Himalaya Centrale, 27° 42’ lat. nord, 88° 09’ long. est
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Nepal e Sikkim (India)
Prima salita il 25 maggio 1955 George Band, Joe Brown
Nazionalità della spedizione inglese
Via percorsa per la prima salita parete sud-ovest, ghiacciaio Yalung
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Kangchenjunga è la terza vetta del mondo dopo Everest e K2. Situato al confine tra Nepal e Sikkim, è l’Ottomila più orientale della catena himalayana ed è anche una delle prime montagne a essere raggiunta dal monsone all’inizio di giugno. Essendo ben visibile dal Sikkim, fu considerato per molto tempo come la vetta più alta del mondo.
La prima esplorazione viene realizzata dal botanico inglese sir Joseph Dalton Hooker che in due viaggi successivi nel 1848 e nel 1849 compie una ricognizione della montagna. La spedizione che darà un definitivo contributo alla conoscenza del Kangchenjunga è quella del 1899 organizzata e diretta dall’alpinista ed esploratore britannico Douglas W. Freshfield che porta a termine il periplo della montagna. Alla spedizione partecipa il fotografo italiano Vittorio Sella che con bellissime immagini documenta con grande accuratezza anche l’area circostante.
All’inizio del ‘900 gli alpinisti stentano a comprendere le reali difficoltà del Kanch e della sua altissima quota e così il primo tentativo di scalata, condotto nel 1905 da un gruppo internazionale guidato dall’inglese Aleister Crowley sul versante sud-ovest, si conclude ad appena 6500 metri di quota. Durante l’ultima salita una caduta collettiva di sei alpinisti si risolve in tragedia con la morte di Alexis Pache e tre portatori.
Una seconda spedizione diretta dal tedesco Paul Bauer ebbe luogo nel 1929 allo sperone nord-est. Gli scalatori raggiunsero la quota di 7400 metri, un risultato eccezionale per i tempi ma ancora molto distante dalla vetta. Bauer riproverà lo sperone nord-est nel 1931 fermandosi a 7700 metri. Durante questo nuovo tentativo muoiono il tedesco Hermann Schaller e due sherpa.
Nel frattempo anche una spedizione internazionale diretta da Günther Oskar Dyhrenfurth prova nel 1930 il Kangchenjunga senza successo. Gli alpinisti si arrestano a 6400 metri sulla cresta nord-ovest e uno sherpa perde la vita sulla montagna.
La conquista della montagna, come per tutti gli altri Ottomila, avverrà soltanto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. La prima salita riesce infatti nel 1955 a una forte e agguerrita spedizione britannica guidata da Charles Evans che raggiunge la vetta lungo il versante sud-ovest. Tra gli alpinisti ci sono alcune figure di spicco che hanno già guadagnato l’attenzione del pubblico con scalate di tutto rilievo. Sono George Band, Joe Brown, Norman Hardie, Tom McKinnon e Tony Streather. Il 25 maggio Band e Brown arrivano in cima fermandosi alcuni metri sotto la massima elevazione come promesso a una autorità religiosa del luogo per non offendere gli dei della montagna. Nonostante questo segno di rispetto il 28 maggio al campo base muore di trombosi cerebrale lo sherpa Pemba Dorjie.
A causa delle sue difficoltà tecniche, del pericolo di valanghe e della mole immensa, il Kanch resta poco frequentato dagli alpinisti anche negli anni successivi la prima salita. L’isolamento e il lungo avvicinamento richiesto per arrivare alla montagna, circa tre settimane, contribuiscono a mantenere attorno a questa vetta un alone di mistero e di timore reverenziale.
Il gigantesco versante est, che si affaccia sul Sikkim in territorio indiano, era stato mostrato agli occidentali dalle splendide fotografie di Sella e viene salito lungo lo sperone nord-est (quello tentato da Bauer per due volte) nel 1977 da una spedizione indiana guidata dal colonnello Narinder Kumar. La spedizione conclude la salita sulla cima per la cresta nord. E’ la seconda ascensione assoluta della montagna (in vetta arrivano Prem Chand e Naik Nima Dorje).
Il 16 maggio 1979 i fuoriclasse Doug Scott, Peter Boardman e Joe Tasker scalano il Kangchenjunga da nord (parete nord-ovest) senza utilizzare le bombole d’ossigeno e procedendo in stile alpino dal colle nord in poi. E’ la terza salita assoluta e prima della parete. Parete nord-ovest che vedrà nel corso degli anni l’apertura di altre vie tra le quali quella di una spedizione giapponese nel 1980 (quarta salita, via nuova nella sezione centrale, in vetta Ryoichi Fukada, Haruichi Kawamura, Nao Sakashita, Shomi Suzuki e il nepalese Ang Phurba) e quella del “Re degli Ottomila” Reinhold Messner con Friedl Mutschlechner e Ang Dorje nel 1982 (decima salita, con variante e parzialmente in stile alpino).
La complessa struttura del Kangchenjunga lo rende una montagna molto interessante dal punto di vista alpinistico. Oltre alla cima principale, infatti, si trovano almeno altre quattro vette di tutto rispetto sia per la quota sia per quanto riguarda la difficoltà. La cima ovest 8433 m conosciuta come Yalung Kang, la cima centrale 8482 m, la cima sud 8476 m, quotata anche 8473 m e il Kangbachen 7902 m. Nel 1989 una spedizione russa concatenerà tutte e quattro le cime principali del Kanch compiendo una delle più grandi imprese himalayane (tra gli alpinisti della numerosa spedizione alcuni dei più forti di sempre come l’ucraino Sergei Bershov, il kazako Anatoli Bukreev e il russo Vladimir Balyberdin). E proprio gli alpinisti dell’est Europa, russi, polacchi (prima salita alla cima centrale, della cima sud e del Kangbachen) e sloveni, apriranno sulle vette del Kangchenjunga alcune delle vie più difficili dell’Himalaya e ne realizzeranno la prima salita invernale (i polacchi Jerzy Kukuczka e Krzysztof Wielicki nel 1986 per la via dei primi salitori).
Scheda MANASLU
Nome della montagna e quota Manaslu 8163 m
Nome/i locale della montagna Manaslu
Significato del nome locale Monte dello Spirito o Montagna Sacra
Posizione geografica Himalaya del Nepal, Gurkha Himal, 28° 33’ lat. nord, 84° 33’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Nepal
Prima salita il 09 maggio 1956 Toshio Imanishi e Gyaltsen Norbu
Nazionalità della spedizione giapponese
Via percorsa per la prima salita parete nord-est
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Manaslu è l’ottava vetta del mondo ed è considerato uno degli Ottomila più pericolosi. Le valanghe del suo versante nord-est hanno già mietuto moltissime vittime e nel 1972 una gigantesca slavina uccise in un colpo solo quindici scalatori (quattro coreani, un giapponese e dieci sherpa), determinando probabilmente la più grande tragedia himalayana di sempre. Il Manaslu è situato in territorio nepalese ed è la massima elevazione del Gurkha Himal della quale fanno parte anche l’Himalchuli 7893 m e il Peak 29 7835 che è collegato al Manaslu tramite la cresta meridionale e il colle Pungen.
Il Manaslu venne fotografato per la prima volta nel 1950 da Harold William Tilman e studiato successivamente nel 1952 dal geologo Toni Hagen. E’ conosciuto come la “montagna dei giapponesi” i quali, tra il 1950 e il 1955, realizzarono quattro spedizioni consecutive prima di riuscire a salirlo nel 1956 per la parete nord-est. La vittoriosa spedizione era guidata da Yuko Maki (primo scalatore della cresta Mittelegi all’Eiger e del Mount Albert in Canada) e portò in vetta Toshio Imanishi e lo sherpa Gyaltsen Norbu.
Il 17 maggio 1971 un’altra spedizione giapponese realizza la prima salita della parete nord-ovest per la cresta ovest con Kazuharu Kohara e Motoyoshi Tanaka.
Nel 1972 la spedizione tirolese guidata da Wolfgang Nairz compie la prima salita della parete sud (e la terza assoluta della montagna) grazie a Reinhold Messner che giunge in cima da solo il 25 aprile. Due compagni di spedizione di Messner, Franz Jäger e Andi Schlick, muoiono in una bufera. Messner, in realtà del tutto incolpevole nella tragica vicenda, al suo rientro in patria viene ingiustamente accusato di aver abbandonato i suoi compagni, tacciato addirittura di assassinio e condannato con disprezzo anche da chi non aveva mai salito una montagna.
Nel 1974 un’altra spedizione giapponese realizza la prima salita assoluta femminile di un Ottomila anche se una partecipante, Teiko Suzuki, muore. Nell’inverno ’83-’84 una spedizione polacca compie la prima salita invernale lungo la via dei Tirolesi e il 20 ottobre 1984 i polacchi Aleksander Lwow e Krzysztof Wielicki compiono la prima salita della cresta sud alla parete sud-est. Il 10 novembre 1986 altri due polacchi, Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer, salgono la parte sinistra della parete nord-est e il tratto finale della cresta est.
Oggi sul Manaslu l’alpinista può scegliere tra una mezza dozzina di vie con relative varianti ma il pericolo delle valanghe e le bufere improvvise rimangono sempre l’ostacolo più difficile da superare.
Scheda LHOTSE
Nome della montagna e quota Lhotse 8516 m
Nome/i locale della montagna Lhotse
Significato del nome locale Cima a Sud
Posizione Geografica Himalaya del Nepal, Mahalangur Himal, 27° 58’ lat. nord, 86° 56’ long. est
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Nepal e Tibet
Prima salita il 18 maggio 1956 Fritz Luchsinger ed Ernst Reiss
Nazionalità della spedizione svizzera
Via percorsa per la prima salita versante ovest (ghiacciaio del Khumbu)
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il carisma dell’Everest ha influito profondamente sulle montagne circostanti tanto da averne determinato i nomi. Perciò il Lhotse (Cima a Sud) si chiama così per la sua posizione geografica a meridione rispetto all’Everest. Anche per il Nuptse (cima a ovest), il Lhotse Shar (cima a est della cima a sud), e il Changtse (cima a nord), vale la stessa regola.
Poiché è separato dall’Everest solo da un colle, il Colle Sud, la più alta sella del mondo posta a 7986 metri di quota, il Lhotse è stato a volte considerato come una semplice anticima dell’Everest e non come una montagna a sé stante mentre oggi, giustamente, è unanimemente riconosciuto con i suoi 8516 metri di quota come la quarta elevazione della Terra.
La sua storia alpinistica non poteva che essere legata inscindibilmente a quella del suo vicino fratello maggiore e quindi le prime descrizioni del Lhotse sono state riportate dalle spedizioni che si sono succedute sull’Everest sia negli anni Venti del secolo scorso sul versante nord, sia negli anni Cinquanta su quello meridionale. In particolare i pendii del versante occidentale del Lhotse furono utilizzati dagli alpinisti del dopoguerra per avvicinarsi alla Colle Sud e alla cresta sud-est dell’Everest durante i primi tentativi di scalata e durante la prima ascensione del 1953 compiuta da Hillary e Tenzing.
Soltanto dopo la conquista dell’Everest gli alpinisti rivolsero i loro pensieri al Lhotse e incominciarono a considerare l’ipotesi di scalarlo. Il primo serio tentativo alla cima avvenne nel 1955 per merito di una spedizione internazionale che portò lo svizzero Ernst Senn a raggiungere gli 8100 metri all’inizio del couloir nord-ovest sulla parete occidentale. Questo tentativo dovette essere interrotto oltre che per l’arrivo del maltempo anche per un guasto alle bombole d’ossigeno.
L’anno successivo, il 1956, vedrà il Lhotse capitolare per mano di una spedizione svizzera guidata da Albert Eggler che il 18 maggio portò in vetta per la parete ovest Fritz Luchsinger ed Ernst Reiss. Contemporaneamente alla prima ascensione del Lhotse, la medesima spedizione svizzera compirà anche la seconda ascensione assoluta dell’Everest, forse la scalata meno apprezzata della storia (alzi la mano chi si ricorda il nome degli alpinisti che arrivarono per secondi sull’Everest. Furono gli svizzeri Ernst Schmied e Jürg Marmet).
Oltre alla vetta principale, il Lhotse presenta altre due sommità conosciute come Cima Centrale o Mediana di 8400 metri circa e come Cima Orientale o Lhotse II o Lhotse Shar (quest’ultimo nome è oggi il più comunemente usato) di 8386 metri. Il Lhotse Shar venne scalato per la prima volta il 12 maggio 1970 per la cresta sud-est da una spedizione austriaca che portò in vetta Sepp Mayerl e Rolf Walter. La Cima Centrale è stata scalata invece solo nel 2001 da una spedizione russa: in vetta il 23 maggio Aleksei Bolotov, Piotr Kuznetsov, Sergei Timofeev e Yevgeni Vinogradski seguendo una linea che passa per la parete ovest, il Colle Sud, la parete est e la cresta nord.
Il Lhotse oltre al versante occidentale presenta altre due immense pareti, tra le più grandi e difficili del mondo. La parete nord-est sul versante tibetano sopra il ghiacciaio Kangshung, che fino ad oggi non è mai stata salita, e la parete sud, sulla quale si sono cimentati i più grandi alpinisti del mondo e che è stata di sicuro conquistata il 16 ottobre 1990 dal russo Vladimir Karatayev e dall’ucraino Sergei Bershov. La Sud del Lhotse è diventata uno dei simboli dell’alpinismo estremo fin dal 1975, anno in cui una spedizione italiana guidata da Riccardo Cassin ne tentò inutilmente la salita. Da allora soprattutto gli alpinisti polacchi hanno provato in tutti i modi a vincerla, in particolare con tre spedizioni nel 1985, nel 1987 e nel 1989 (anno in cui morì precipitando poco prima di raggiungere la vetta Jerzy Kukuczka, il secondo uomo al mondo a raggiungere la cima di tutti e 14 gli Ottomila dopo Reinhold Messner). Se ai polacchi è sfuggita la parete sud, non è però mancata la prima salita invernale realizzata in solitaria il 31 dicembre 1988 da Krzysztof Wielicki.
Rimane un’ultima annotazione da fare sulla parete sud del Lhotse. Il 24 aprile 1990 lo sloveno Tomo Česen compì un’impresa così incredibile da essere forse impossibile da accettare anche solo come idea. Česen, infatti, salì in solitaria la parete sud. Si tratterebbe della prima assoluta avendo preceduto di cinque mesi quella di Bershov e Karatayev. Sfortunatamente non riuscì a dimostrare completamente la sua salita che viene oggi ritenuta controversa e quindi non ufficialmente accettata. Si tratta della più grande impresa della storia dell’alpinismo?
Scheda GASHERBRUM II
Nome della montagna e quota Gasherbrum II 8035 m
Nome/i locale della montagna Gasherbrum
Significato del nome locale Muraglia Scintillante
Posizione geografica Karakorum, Baltoro Mustagh, 35° 46’ lat. nord, 76° 39’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Pakistan e Cina
Prima salita il 07 luglio 1956 Fritz Moravec, Hans Willenpart, Sepp Larch
Nazionalità della spedizione austriaca
Via percorsa per la prima salita cresta sud-ovest
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Gasherbrum II è considerato con lo Shisha Pangma il più facile degli Ottomila e sempre con lo Shisha Pangma, quotato a volte 8013 e altre 8046 metri, divide anche il primato di più piccolo degli Ottomila.
Osservato attentamente nel 1909 durante la spedizione del Duca degli Abruzzi al K2 e fotografato da Vittorio Sella, il Gasherbrum II è studiato con molta cura nel 1934 da Günter Oskar Dyhrenfurth durante la spedizione al Gasherbrum I.
Basandosi sulle considerazioni di Dyhrenfurth, nel 1956 una spedizione austriaca diretta da Fritz Moravec raggiunge la base della montagna al termine del ghiacciaio Duca degli Abruzzi (la diramazione orientale del ghiacciaio Baltoro) con lo scopo di salirne il versante meridionale lungo il pilastro sud-est. Nonostante una grande valanga che seppellirà gran parte delle tende e del materiale alpinistico e che costringerà gli alpinisti a spostarsi sul più ripido sperone sud-ovest, il 7 luglio Moravec, Sepp Larch e Johann Willenpart calcheranno per la prima volta la sommità del G II.
La seconda ascensione della montagna avviene il 18 giugno 1975 quando due forti e famosi alpinisti francesi, Marc Batard e Yannick Seigneur, arrivano sulla vetta dopo aver aperto una nuova via sulla cresta sud. Il primo agosto dello stesso anno i polacchi Leszek Cichy, Janusz Onyszkiewicz e Krzysztof Zdzitowiecki raggiungono la cima per una via nuova che dopo aver seguito la via degli Austriaci del ’56, traversa al colle tra il Gasherbrum II e il Gasherbrum III e prosegue sulla vetta per la parete nord-ovest e la cresta sud-ovest.
Nel 1983 i polacchi Jerzy Kukuczka e Wojciech Kurtyka salgono in vetta per una via nuova lungo la cresta sud-est e la cresta est.
Nel 1984 la storia del G II si intreccia con quella del vicino G I al quale è collegato da una sella posta a 6600 metri di quota (il Gasherbrum-La, “La” significa colle) quando Reinhold Messner e Hans Kammerlander compiono la prima traversata di due Ottomila salendo in sequenza il G II e il G I senza tornare al campo base.
Negli ultimi anni bisogna segnalare una fenomenale impresa, tra le più grandi mai compiute in Himalaya, portata a termine dagli italiani Daniele Bernasconi e Karl Unterkircher che salgono in prima assoluta il 20 luglio 2007 l’inesplorato versante cinese per la parete nord-est e la cresta nord. Si tratta di una scalata eccezionale non solo perché realizzata con uno stile leggerissimo ma anche perché, fino ad allora, nessun alpinista aveva mai neanche provato ad esplorare la parete. Purtroppo Unterkircher morirà nel luglio del 2008 a 6400 metri di quota sul versante Rakhiot del Nanga Parbat nel tentativo di aprire una nuova via diretta.
Scheda BROAD PEAK
Nome della montagna e quota Broad Peak 8047 m
Nome/i locale della montagna Falchan Kangri
Significato del nome locale Cima Larga
Posizione geografica Karakorum, Baltoro Mustagh, 35° 48’ lat. nord, 76° 34’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Pakistan e Cina
Prima salita il 09 giugno 1957 Marcus Schmuck, Fritz Wintersteller, Kurt Diemberger e Hermann Buhl
Nazionalità della spedizione austriaca
Via percorsa per la prima salita parete ovest
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Broad Peak è uno dei quattro Ottomila del Karakorum e benché sia il dirimpettaio del K2 non sfigura affatto al cospetto della seconda vetta del mondo. Soprattutto se osservato dall’aereo, la massa gigantesca del Broad Peak compete senza problemi con quella del K2.
Nonostante questa sua imponenza, e nonostante sia una delle prime montagne che appaiono allo sguardo risalendo il ghiacciaio Baltoro, sembra che i locali non abbiano mai dato nessun nome al Broad Peak anche se alcune fonti riportano come nome indigeno quello di Falchan (o Falchen) Kangri (che dovrebbe significare sempre “cima larga”). Fu William Martin Conway, durante la sua esplorazione del 1892, a battezzarlo Broad Peak, “Cima Larga” (l’equivalente inglese dei tanti Breithorn alpini tedeschi). Il nome fu accettato dal Survey of India e divenne quello ufficiale.
Oltre alla vetta principale di 8047 metri (nel 1909 misurata in addirittura 8270 metri e oggi valutata anche 8051 metri) esistono altre due cime principali chiamate cima centrale (anche questa intorno agli ottomila metri, sembra 8011 o 8016 metri e conosciuta anche come Broad Peak Middle) e la cima nord di 7600 metri (quotata a volte anche 7538 metri o 7800 metri).
Poiché tutte le spedizioni fino ai primi anni Cinquanta erano esclusivamente interessate al K2, nessun alpinista rivolse le proprie attenzioni al Broad Peak fino al 1954, anno in cui una spedizione austro-tedesca guidata da Karl Maria Herrligkoffer ne tenta la scalata a inizio autunno per il pericoloso versante sud-ovest raggiungendo solo i 6900 metri di quota.
Nel 1957, al secondo tentativo, la vetta viene conquistata il 9 di giugno da una ridottissima squadra alpinistica composta dagli austriaci Hermann Buhl (responsabile della fase alpinistica), Markus Schmuck (capo spedizione fino al campo base), Fritz Wintersteller e Kurt Diemberger. La salita avviene lungo lo sperone ovest senza portatori d’alta quota e senza ossigeno. Sono gli stessi alpinisti che preparano la via e attrezzano da soli i tre campi in quota: un modo di procedere in Himalaya rivoluzionario ed estremamente moderno, in grande anticipo sui tempi. Dopo la salita del Broad Peak, Buhl tentò con Diemberger la scalata del vicino Chogolisa 7654 m ma in seguito alla rottura di una cornice di neve precipitò nel vuoto e morì. Scompariva così tragicamente una delle più grandi leggende dell’alpinismo di tutti i tempi.
Nel 1975 avviene la seconda salita alla cima principale da parte di una spedizione giapponese che segue la via degli Austriaci del 1954. Quasi contemporaneamente una squadra polacca diretta da Janusz Ferenski compie il 28 luglio la prima salita della cima centrale per il versante ovest e la cresta sud. Arrivano sulla vetta cinque scalatori ma durante la discesa tre di essi precipitano e muoiono.
Nel 1983 il forte alpinista italiano Renato Casarotto, che morirà tre anni dopo sul K2, compie in solitaria la prima salita della cima nord per la difficile cresta nord. L’anno successivo i polacchi Jerzy Kukuczka e Wojciech Kurtyka riescono nell’impresa di traversare le tre vette del Broad Peak e il 17 luglio toccano la cima principale dopo aver salito quella nord e quella centrale. Qualche giorno prima, il 14, il polacco Krzysztof Wielicki compie la prima salita in giornata (e da solo) di un Ottomila salendo e scendendo dal Broad Peak in 22 ore e 10 minuti.
Rimangono due segnalazioni importanti di vie nuove sul Broad Peak realizzate negli ultimi anni. La prima salita del versante est (Cina) della cima centrale effettuata il 4 agosto 1982 da parte degli spagnoli Óscar Cadiach, Enric Dalmau, Luìs Ràfols e dall’italiano Alberto Soncini, e una via nuova sulla parete nord-ovest e per la cresta nord alla cima principale compiuta il 17 luglio 2008 dai russi Victor Afanasiev e Valeri Babanov.
Scheda Gasherbrum I
Nome della montagna e quota Gasherbrum I 8068 m o Hidden Peak
Nome/i locale della montagna Gasherbrum
Significato del nome locale Muraglia Scintillante
Posizione geografica Karakorum, Baltoro Mustagh, 35° 43’ lat. nord, 76° 42’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tra Pakistan e Cina
Prima salita il 04 luglio 1958 Peter Schoening e Andy Kauffman
Nazionalità della spedizione americana
Via percorsa per la prima salita parete ovest, sperone IHE (o cresta Roch)
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il popolo baltì, che abita i territori nella regione del ghiacciaio Baltoro, chiama Gasherbrum (muraglia scintillante) un gruppo di sei montagne che si innalzano a sud-est del K2. William Martin Conway nominò la più alta di queste vette Hidden Peak (cima nascosta) sia perché gli apparve per ultima a cavallo dei ghiacciai Siachen e Baltoro, sia per distinguerla dal Gasherbrum II. Nel corso degli anni rimase però più utilizzato il nome locale e alle sei cime del gruppo venne attribuito un numero romano in base all’altezza.
Il Gasherbrum I viene fotografato nel 1909 da Vittorio Sella durante la spedizione del Duca degli Abruzzi al K2 e poi studiato geograficamente e geologicamente da Ardito Desio nel corso della spedizione del 1929 organizzata dal Duca di Spoleto ancora al K2.
Nel 1934 un gruppo internazionale diretto da Günter Oskar Dyhrenfurth compie il primo tentativo al Gasherbrum I. André Roche e Hans Ertl raggiungono la quota di 6300 metri sullo sperone sud-ovest.
Dopo un altro infruttuoso tentativo nel 1936 da parte di una spedizione francese diretta da Henry de Ségogne che raggiunse i 7000 metri di quota sulla cresta sud, nel 1958 una spedizione americana diretta da Nicolas Clinch attacca lo sperone sud-ovest provato nel 1934 dalla spedizione internazionale (e per questo denominato sperone IHE – International Himalayan Expedition). Il 4 luglio Andy Kauffman e Peter Schoening arrivano in vetta per lo sperone IHE e il tratto terminale della cresta sud-est.
Nel 1975 sul Gasherbrum I viene compiuta un’impresa destinata a cambiare il modo di concepire le scalate in Himalaya. Nel corso della seconda ascensione assoluta della montagna, infatti, Reinhold Messner e Peter Habeler compiono la prima salita della parete nord-ovest in perfetto stile alpino e senza ossigeno. Messner e Habeler erano gli unici componenti della spedizione che si avvalse di soli dodici portatori per il trasporto fino al campo base dei viveri e dell’equipaggiamento.
Durante la quarta salita compiuta l’8 luglio 1977 dagli sloveni Andrej Stremfelj e Jernej Zaplotnik, viene percorsa per la prima volta la cresta sud-ovest, mentre tre anni più tardi, il 15 luglio del 1980 i francesi Maurice Barrard (che morirà nel 1986 sul K2) e Georges Narbaud realizzano la prima ascensione della cresta sud.
All’inizio degli anni Ottanta due nuove varianti sono aperte sulla parete nord-ovest. La prima nel 1982 per merito dei tedeschi Michl Dacher, Siegfried Haupfauer e Günther Sturm, la seconda nel 1983 grazie agli svizzeri Erhard Loretan e Marcel Ruedi. Loretan e Ruedi scaleranno in due settimane e in stile alpino oltre al G I anche il G II e il Broad Peak. Nella medesima estate del 1983 altri due fuoriclasse dell’Himalaya arrivano al Gasherbrum I. Sono i polacchi Jerzy Kukuczka e Wojciech Kurtyka. Il 23 luglio i due superano in prima ascensione e in stile alpino la parete sud-ovest dopo che il 24 giugno avevano scalato per una via nuova (la cresta sud-est) anche il Gasherbrum II.
Restano da segnalare altre due imprese sulla montagna. Nel 1984 Reinhold Messner e Hans Kammerlander, senza tornare al campo base e senza predisporre depositi di viveri e attrezzature, compiono la prima traversata di due Ottomila salendo sul Gasherbrum II e poi scalando il Gasherbrum I dal Gasherbrum-La. Il 15 luglio 1990 i giapponesi Takahiro Katayama e Tomoyuki Yamane con i pakistani Ali Raza e Rajab Shah scalano integralmente la cresta sud-ovest.
Sul versante pakistano del Gasherbrum I ormai almeno dodici vie (tra originali e varianti) sono a disposizione degli alpinisti che ne vogliono tentare la scalata. Il versante cinese della montagna invece, tra i più difficili e pericolosi del mondo, attende ancora una prima salita.
Scheda DHAULAGIRI
Nome della montagna e quota Dhaulagiri 8167 m
Nome/i locale della montagna Dhaulagiri
Significato del nome locale Monte Bianco (dhàvala=bianco, giri=monte)
Posizione geografica Himalaya del Nepal, Dhaulagiri Himal, 28° 42’ lat. nord, 83° 30’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Nepal
Prima salita il 13 maggio 1960 Kurt Diemberger, Peter Diener, Ernst Forrer, Albin Schelber, Nima Dorjee e Nawang Dorjee
Nazionalità della spedizione svizzera
Via percorsa per la prima salita cresta nord-est
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Il Dhaulagiri si erge completamente in territorio nepalese e si staglia come una colossale muraglia bianca sopra le verdi foreste tropicali. E’ posizionato a circa 34 chilometri di distanza dall’Annapurna situata proprio di fronte, sull’altro lato della valle Kali Gandaki. E’ ritenuto uno degli Ottomila più difficili e in particolare la parete sud e quella ovest costituiscono due tra le più alte pareti del mondo: scivoli immani di roccia e ghiaccio incessantemente battuti dalle valanghe che sono un’autentica sfida anche per gli alpinisti più temerari. La sua posizione geografica, molto vicino alle calde foreste tropicali nepalesi a sud, e ai freddi altipiani tibetani a nord, lo rende una montagna temibile per le improvvise e violente tempeste tanto da essere stato paragonato all’Everest in quanto a condizioni meteorologiche.
Le prime vere immagini del Dhaulagiri furono scattate dallo svizzero Arnold Heim che nel 1949 effettuò una ricognizione aerea del Dhaulagiri e dell’Annapurna. L’anno successivo, il 1950, la spedizione francese che salirà l’Annapurna compì anche accurate ricognizioni al Dhaulagiri ma, riconosciuto che non esistevano versanti accessibili, decise di rinunciare a tentarne la scalata.
Dal 1953 al 1960 altre sei spedizioni (tra le quali una vegetariana diretta nel 1955 da Martin Maier) tentarono senza successo il Dhaulagiri lungo la parete nord. La spedizione argentina del 1954 arrivò al punto di fare esplodere cariche di dinamite per scavare nella roccia le piazzole per le tende del campo VI. Nonostante queste tecniche più adatte a una guerra che a una spedizione alpinistica, non solo gli argentini dovettero rinunciare alla vetta ma persero anche il loro capo spedizione, il colonnello Francisco Ibañez, che morì all’ospedale di Kathmandu per i congelamenti riportati durante la scalata.
Il Dhaulagiri venne salito per la prima volta da una spedizione svizzera il 13 maggio 1960. Per riuscire a vincere la montagna il capo spedizione Max Eiselin si avvalse del supporto di un piccolo aeroplano specialmente modificato per l’occasione (un Pilatus Porter soprannominato Yeti) e adibito al trasporto di rifornimenti fino al Colle nord-est a 5700 metri di quota. Sulla vetta arrivarono l’austriaco Kurt Diemberger, il tedesco Peter Diener, gli svizzeri Ernst Forrer e Albin Schelbert e i nepalesi Nawang Dorje e Nima Dorje.
Il 10 maggio 1978 una spedizione giapponese sale la cresta sud-ovest e alcuni mesi più tardi, il 19 ottobre, un’altra spedizione giapponese riesce nell’impresa di salire anche la cresta sud-est conosciuta come “la via dei suicidi” perché nel 1969 erano morti in un tentativo sette alpinisti.
La parete ovest viene salita il 23 ottobre 1984 da una spedizione giapponese che termina la scalata per la cresta nord-ovest. Più integralmente il 10 maggio 1991 dagli alpinisti kazaki Anatoli Bukreev, Rinat Khaibullin, Yuri Moiseev, Vladimir Suviga e Andrei Tselishchev.
Come sempre la prima invernale è realizzata dai polacchi il 21 gennaio 1985 per mano di una spedizione diretta da Adam Bilczewski lungo la cresta nord-est che porterà in vetta Jerzy Kukuczka e Andrzej Czok.
Scheda SHISHA PANGMA
Nome della montagna e quota Shisha Pangma 8013 m e Goisainthan
Nome/i locale della montagna Shisha Pangma
Significato del nome locale Cresta sui Pascoli e Luogo dei Santi
Posizione geografica Himalaya Centrale, 28° 21’ lat. nord, 85° 47’ long. est.
Stato di appartenenza (eventuali confini) Tibet (Cina)
Prima salita il 02 maggio 1964 dieci alpinisti raggiungono la vetta (i cinesi Hsiu King capo spedizione, Ciang Kiun Yen, Wang Fu Ceu, Wu Tsong Yu, Cen San, Ceng Tien Lang e i tibetani Yonten, Sodnam Doje, Migmar Trashi e Doje).
Nazionalità della spedizione cino-tibetana
Via percorsa per la prima salita parete nord-ovest e cresta nord
Storia degli avvenimenti più importanti
(Primi tentativi, prima salita, prime ascensioni su altri versanti, altre imprese)
Lo Shisha Pangma è situato completamente in territorio tibetano (e quindi, oggi, da un punto di vista politico, cinese) e si trova a 120 chilometri a nord-ovest dell’Everest. Nonostante il suo versante settentrionale sia tecnicamente facile, lo Shisha Pangma si trova in una posizione particolarmente isolata sull’altopiano tibetano ed è molto esposto alle improvvise bufere che arrivano da nord. E’ il meno elevato degli Ottomila essendo stato quotato 8013 metri dal Survey of India e 8012 metri dai geomorfologi cinesi che parteciparono alla prima ascensione della montagna nel 1964. Poiché a volte compare su alcuni libri o carte geografiche la quota di 8046 metri (si trovano anche quote di 8027 metri), lo Shisha Pangma viene considerato da alcuni la tredicesima vetta del mondo in quanto di 11 metri superiore al Gasherbrum II 8035 m.
Lo Shisha Pangma rimase inaccessibile agli alpinisti occidentali perché il governo cinese non concesse mai i permessi di scalata e quindi la prima ascensione avvenne solamente il 2 maggio del 1964 da parte di una spedizione cinese che portò in vetta contemporaneamente dieci alpinisti (e anche un busto di Mao Tse Tung). Cadeva così l’ultimo Ottomila rimasto vergine anche se di questa salita non si hanno ancora resoconti dettagliati e affidabili ma, considerato lo stile in cui venne eseguita e l’ideologia che la ispirò, non se ne sente davvero la mancanza.
La montagna diviene accessibile agli stranieri soltanto nel 1980 e subito una spedizione tedesca diretta da Manfred Abelein riesce a ripercorrere la via dei Cinesi. La più bella salita allo Shisha Pangma avviene però il 28 maggio 1982 grazie a una piccolissima spedizione composta dagli inglesi Doug Scott, Roger Baxter-Jones e Alex MacIntyre, che scalano per la prima volta la parete sud-ovest per il grande canalone ghiacciato che scende sotto la vetta. Si tratta di una salita compiuta in perfetto stile alpino su un’enorme parete inviolata. L’anima del progetto è naturalmente Doug Scott che farà dello stile leggero la sua filosofia nel corso di una vita dedicata alle montagne.
Ad oggi molte vie sono state aperte sui versanti di questo isolato gigante di ghiaccio, tra le quali quelle di Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer sulla cresta ovest e, sulla più interessante parete sud-ovest, quelle di Andrej Štremfelj e Pavle Kozjek nel 1989, di Krzysztof Wielicki (in solitaria) nel 1993 e dei sud-coreani Yeon-Ryong Kang e Jung-Hun Park nel 2002. Nel 2005 Piotr Morawski e Simone Moro salgono la montagna in inverno.
Lo Shisha Pangma presenta anche due altre cime, una centrale (di 8008 metri) e una occidentale (di 7966 metri), che offrono altre opportunità agli alpinisti. Sono da segnalare una prima salita alla parete sud-ovest della cima centrale realizzata il 3 ottobre 1990 dagli svizzeri Erhard Loretan e Jean Troillet insieme al polacco Wojciech Kurtyka, e un’altra prima salita alla cima occidentale lungo il couloir di destra della parete nord del francese Jean-Christophe Lafaille.