Di Antonio Cianciullo
(pubblicato su Hufflingtonpost.it il 10 giugno 2021)
Le Nazioni Unite lanciano la proposta delle nature based solutions: impariamo dalla natura per fare in fretta e bene
C’è una cura in grado di far scendere la febbre del Pianeta. Bisogna copiare. Copiare i meccanismi di adattamento che la vita ha sviluppato in un’evoluzione durata quasi 4 miliardi di anni. Cioè mettere in campo le nature based solutions. E’ questa la proposta avanzata dai 50 scienziati scelti dalle Nazioni Unite per preparare il primo rapporto congiunto tra Ipcc e Ipbes, i due organismi Onu che si occupano rispettivamente di clima e di biodiversità.
Questo studio contiene il messaggio che le Nazioni Unite lanciano per preparare la Cop di Glasgow, l’appuntamento di novembre che deciderà quanti gas serra è ancora accettabile emettere. Cioè quanti morti siamo disposti a tollerare prima di organizzare la nostra vita e le nostre attività lavorative senza aggravare ulteriormente la concentrazione di CO2 in atmosfera. La pandemia da Covid ha dimostrato che siamo molto reattivi quando ci sentiamo minacciati direttamente. Per la crisi climatica, che ha un potenziale di devastazione molto superiore, per ora le reazioni sono state timide e lente. Sarà questo l’anno della svolta? E come?

La ricetta dei 50 scienziati top a livello globale per tenere assieme difesa del clima, protezione della biodiversità e aumento del benessere dell’umanità si basa su tre pilastri. Il primo è avere una percentuale di aree protette a livello globale tra il 30 e il 50%. Il secondo è il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate. Il terzo è il rilancio delle nature based solutions.
“È un pacchetto molto articolato di soluzioni”, spiega Lorenzo Ciccarese, ricercatore Ispra e referente italiano di Ipbes. “Si va dalle aree protette all’agricoltura biologica, dal ripristino delle dune alla riduzione dell’uso di pesticidi e fertilizzanti, dalla protezione delle torbiere e delle zone umide ai corridoi ecologici per creare connessioni tra le aree verdi. Secondo il report, se si sviluppano oggi tutte le possibili opzioni a difesa del clima e della biodiversità è possibile evitare l’ingresso in atmosfera di 10-12 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. E’ una possibilità concreta per evitare che la temperatura salga in modo incontrollato fino a produrre danni devastanti e migrazioni di entità difficile da immaginare”.
Senza misure radicali è difficile immaginare di raggiungere gli obiettivi indicati dall’accordo di Parigi sul clima del 2015. Oggi, si precisa nel rapporto, solo il 15% delle terre emerse e il 7,5% degli oceani è protetto. Mentre “il 77% delle superfici emerse (esclusa l’Antartide) e l′87% degli oceani sono stati modificati dalle attività umane. Questi cambiamenti sono associati alla perdita dell′83% della biomassa dei mammiferi che vivono in natura e di metà di quella delle piante. Il bestiame e gli esseri umani ora rappresentano quasi il 96% di tutta la biomassa dei mammiferi viventi. E il numero delle specie minacciate è il più alto mai sperimentato nella storia umana”.
Per diminuire il rischio e aumentare il nostro livello di benessere “il restauro degli ecosistemi è tra i metodi più economici e rapidi. E può fornire molti benefici sociali come la creazione di posti di lavoro e reddito. Il restauro con varietà di specie autoctone garantisce la resilienza dell’ecosistema di fronte ai cambiamenti climatici e offre benefici per la biodiversità”.
Accanto alle misure di ripristino c’è spazio anche per soluzioni ibride. Ad esempio l’alleanza tra energie rinnovabili e agricoltura: “Gli studi indicano che la vegetazione al di sotto dei pannelli solari può essere l’habitat adatto agli impollinatori, creando benefici nell’ambiente circostante”.
Insomma, conclude il rapporto, o si vince sui tre fronti o si perde sui tre fronti. Clima, biodiversità e benessere umano sono legati così strettamente che possono solo salvarsi assieme o affondare assieme.