_di Susanna Marchini
Il Montura Store di Milano ha ospitato un dialogo al verticale, tra Laura Rogora e Maurizio Manolo Zanolla: due leggende del climbing che hanno condiviso le loro prospettive uniche sulla disciplina più in voga del momento.
“Il vuoto mi faceva paura. Poi, quando l’ho sconfitto, il vuoto è diventato un punto d’appoggio”. Questa è una delle tante frasi emozionanti che sono emerse giovedì 19 ottobre 2023 presso il punto vendita meneghino del brand veneto, che si è riempito di appassionati per ascoltare le sorprendenti storie di questi due personaggi unici che hanno, in maniera molto diversa, rivoluzionato il mondo dell’arrampicata.

Manolo nasce a Feltre il 16 febbraio del 1958. Laura Rogora nasce a Roma quarantatré anni dopo, il 28 aprile del 2001. Lui è stato il primo italiano a salire una via d’arrampicata di 8b – l’Ultimo Movimento in Totoga. Lei non è da meno – è la prima donna al mondo ad aver scalato un tiro gradato 9b+ – Erebor, a Eremo di San Paolo. Due animi talentuosi accompagnati da tenacia e dedizione, con in comune la passione per una disciplina che, tra una generazione e l’altra, è evoluta in modi insospettabili. Dal più puro rapporto alla roccia fino alle Olimpiadi, i due atleti ci forniscono uno spaccato di questo mondo verticale.
L: Laura Rogora
M: Maurizio Manolo Zanolla
Come si evince dal titolo di questo appuntamento, oggi parliamo di “generazioni a confronto”. Che rapporto avete con i climber che vi hanno preceduto o che sono venuti dopo?
L: Il mio legame tra montagna e climbing non è diretto, anzi. Io scalo molto indoor o a Sperlonga, sul mare. La storia dell’arrampicata in montagna quindi mi ha sempre incuriosito. Ho ripetuto delle vie storiche e ho letto molti libri sui personaggi che mi hanno preceduto. Soprattutto per quanto riguarda i miei conterranei romani, come Alessandro Jolly Lamberti che nel 2001 è stato il primo italiano a liberare un 9a.
M: Mi sento molto lontano dalle nuove generazioni di climber, è inevitabile. Quando io ho cominciato a scalare si stava sulle montagne e non avrei mai immaginato che questa disciplina “scendesse” tra le falesie e poi tra le sale indoor, fino ad arrivare alle Olimpiadi. Ma penso che sia una grande occasione per diffondere questo sport, oggi si ha la possibilità di aprire la porta di casa e avere una sala dove allenarsi a due passi.

Come ci si allena oggi, e come ci si allenava una volta?
L: In generale, se prima gli allenamenti erano più incentrati sulla resistenza, ora ci si focalizza anche sulla forza esplosiva, soprattutto per competere nel boulder. Si raccolgono anche più dati fisici, ci sono delle tecnologie più avanzate per misurare il progresso. Io durante l’inverno mi alleno tre volte a settimana con i pesi e cinque volte su parete.
M: Da giovane non avevo una routine di allenamento, avevo troppi impegni tra vita e lavoro. Quando potevo, andavo in montagna senza troppa regolarità. Personalmente odiavo allenarmi, ma mi piaceva migliorare, quindi dei sacrifici da quel punto di vista li ho dovuti fare. Poi sono diventato più rigoroso, più serio, ma avevo già più di 40 anni.

Parliamo di Olimpiadi. Laura, come è andata a Tokio nel 2021 e come sarà la gara di qualificazione per Parigi 2024? Come ti senti?
L: A Tokio c’erano solo venti posti per gli atleti e una sola medaglia dedicata al climbing che combinava boulder, lead e speed. L’esperienza è stata piuttosto strana, a causa del Covid si svolgeva tutto a porte chiuse. Dopo due anni di attesa, c’era molta pressione, anche perché nessuno l’aveva mai fatto. A Parigi invece ci saranno due medaglie diverse, una per la speed e una per una combinata lead e boulder. Al momento tra le donne si sono qualificate Jessica Pilz, Janja Garnbret e Ai Mori. Il livello si è alzato molto, soprattutto nelle competizioni femminili. Tante nazioni hanno iniziato a investire su questo sport, compresa proprio la Francia. L’Italia invece va un po’ a rilento.
Qual è il vostro rapporto con Montura?
M: Conosco Roberto (Giordani, founder del brand, NdR) dagli anni novanta. Quando lavoravo con Sector, lui mi dava dei capi tecnici da testare. Poi, dopo un suo viaggio in Kashmir venne da me con il logo e il nome di una nuova azienda e mi chiese di dargli un parere. Appena fondò Montura, ricominciò la nostra collaborazione. Lui puntava molto sulla parte tecnica, abbiamo creato insieme i pantaloni Vertigo, che sono diventati un’icona del brand. Abbiamo sempre avuto un rapporto molto confidenziale, di amicizia.
L: Il mio rapporto con Montura è nato dieci anni fa grazie a un negozio di Roma che rivendeva il brand. Con il tempo, il rapporto si è consolidato, fino a ricevere supporto per i miei viaggi di arrampicata. Grazie a loro, ho potuto affrontare i 9b di Ali hulk a Rodellar e Stoking the Fire a Santa Linya.

Se Laura punta a Parigi, quali sono i tuoi progetti per il futuro, Manolo?
M: Ho 66 anni e me li sento tutti. Non ho intenzione di fermarmi, ma accetto la mia età. Amo vivere in ambiente, continuerò nei miei obiettivi senza pensare a quelli che guardano. Ecco, sicuramente non scriverò un altro libro, è stata una faticaccia. Ho iniziato a scriverlo a mano e non riuscivo neanche a decifrare la mia scrittura.
“Contrastare la gravità fa schifo, ma non esiste altra attività dove si può immaginare così tanto”. Manolo
Rimane qualcosa dopo aver letto questa intervista? Credo nulla….
Il modo in cui si affronta qualunque disciplina sportiva ai nostri giorni un po’ mi turba e credo sia la ragione principale per cui ho abbandonato il mondo delle gare di corsa. Non capisco il desiderio di voler misurare tutto e tutti, di dare etichette a ogni attività. Quando ero al nord e arrampicavo, mi allenavo in una palestra, ma mi ha sempre messo più paura l’idea di cadere indoor che all’aperto. In ambiente naturale tutto mi appare più morbido e accogliente dei manufatti umani.
Splendida la foto di Manolo.
Grazia, misurare è necessario per progredire, senza riferimenti non sarebbe possibile. Ma vale non solo nelle attività sportive. Pensa al processo della conoscenza, di qualsiasi cosa: se non la misuri come puoi avanzare al passo successivo? Non si chiamerà “9a”, ma il procedimento è lo stesso.
Manolo mi fà morire quando, riferito al suo libro (per altro bellissimo) dice che non riusciva a decifrare la sua scrittura. Un Grandissimo in tutti i sensi !
Questi campioni mi piace immaginarlo nella vita di tutti i giorni,ma succede anche a me quando arrampico sono diverso e mi piace ancora farlo a 71 anni,è come fare l’amore non si scorda mai
Luciano, in che modo la conoscenza è misurabile? Vengo definita una buona guida perché sono “performante” (come si usa adesso) oppure perché ho una buona capacità di gestione del gruppo e delle criticità che possono affacciarsi, unite a buona conoscenza del territorio?
Enri, se non ti è rimasto nulla dopo questa breve ma intensa intervista, forse non hai letto con attenzione!
Il primo 9a in Italia è di Manfred Stuffer comunque. Underground a Massone, 1998.
@Albi:giusto per la chiacchiera, Underground è stata gradata 8c+ in apertura, poi qualcuno dice 8c+/9a, altri 9a. Per quel che può valere (e per quel che mi può interessare), per una ripetizione di Hugh ce ne sono circa 8 di Underground. Certo la Charente non è Arco di Trento, ma l’ultimo giro di Seb Bouin su Hugh credo abbia decretato non solo il valore storico di questo tiro (peraltro tutto scavato), ma la sua solidissima difficoltà. E se c’è una cosa che non si può non sottolineare è la caparbietà di Lamberti che quel tiro se l’è andato a guadagnare in Francia, quando avrebbe potuto fare la stessa cosa a casa sua, Grotti, con molto più agio.
Ciao.