(presentazione della guida La Chiusa della Valsassina, di Andrea Savonitto, Edizioni AGiElle, giugno 1981)
di Andrea Savonitto
Il sentiero nasce improvviso al limite del gran piazzale, fetido budello a pagamento per turisti dalla testa vuota e portafoglio pieno che con il loro orgoglio in «macrocellulare» in mano s’ingreggiano ordinati e contenti tra le passerelle della cabinovia. Un brevissimo tratto leggermente in salita conduce alla «Porta», una piccola cunetta, dietro la quale il sentiero comincia a pianeggiare e poi a scendere dolcemente, immerso nel bosco. Se ti giri del budello non rimane neanche il ricordo. Sei finalmente solo. Una docile striscia in terra battuta, intanto, t’invita a continuare in un tunnel di fusti giovani e diritti. Intorno non esiste che verde, giallo castano di tappeti di foglie cadute, fughe intricate di legno bruno nell’azzurro…
…Ti senti BONZO! ! Tu, con la troll, i tuoi Taxi-Driver, Nut, Bong, Kropper, Stugghle e Cipolle, ti senti proprio BONZO. Hai fatto due ore di treno e corriera per arrivare fin qua, per arrampicare («codio!») e qui di roccia non ne se vede neanche l’ombra. Solo stupidi alberi e fogliacee secche… L’ideale per la camporella!… L’incantesimo è rotto… Eppure hai sentito che qui si può arrampicare. Che scherzo idiota!
Un Grillo
Infuriato, lasci il sentiero all’improvviso e ti lanci brancicante su direttamente per il bosco, alla ricerca di quel fantasma che il tuo orgoglio di grande esploratore ormai percepisce. La beffa e lo sfottimento aleggiano infatti tutt’attorno. Gli alberi sfottono e così le foglie secche immobili o le pietre che i tuoi piedi stanno smuovendo e rotolano via. Ben presto, però, sconfitto ti fermi ansimante, ormai rassegnato ad «una piacevole gita nei boschi»; ti siedi imprecando alla sfiga e a tutto il resto… Ti rialzi, dopo due sigarette, indeciso se tornare a casa o andare verso quella radura che appena riesci a scorgere là al limite del bosco. Tanto ormai la giornata è «persa», e un po’ di sole non fa mai male! Segui la luce che filtra tra gli alberi. La raggiungi e, in luogo del pascolo che ti saresti aspettato, trovi una placca liscia e solare, che sembra nascere dai noccioli per poi tornare a morire in essi cinquanta o cento metri più in alto.
Interdetto e timoroso di aver alzato un po’ troppo il gomito la sera prima, ti avvicini, la tocchi, fai prima dei movimenti incerti ma poi ti lasci assorbire da quel calcare bianco, eroso, monolitico…. Ti ritrovi nel bosco a camminare tranquillo. E’ stato un sogno?… Torni giù, lo ripeti. Allora è vero!!! Cominci così a giocare, correndo per i boschi e poi sulle placche che nascono improvvise da essi; sulle placche e per i boschi in cui esse tornano a spegnersi sempre docilmente. Non c’è rottura tra il bosco e la roccia, come se fossero dello stesso elemento, così che il muoversi sulla roccia rimane allo stesso livello del girovagare per il bosco. Sì, e proprio così. All’Angelone la natura dimostra ancora una volta la sua capacità intrinseca di dare vita all’insolito, all’irripetibile. Non è possibile infatti fare confronti con ciò che è prossimo all’Angelone: la Medale, le Grigne, lo Zuccone dei Campelli e ciò sia dal punto di vista ambientale che da quello puramente tecnico: sono cose completamente diverse.
Si può dire solo che l’Angelone è un posto tranquillo, un grosso barattolo verde pieno di grilli di calcare bianco, che nascono improvvisi tra i noccioli. Anche a dispetto di chi se ne crede ormai conoscitore c’è sempre un altro grillo bianco, diverso dagli altri che aspetta nel suo tranquillo boschetto di offrire il suo piccolo tesoro di sensazioni. E sono sempre sensazioni incredibili di suole in aderenza su lastre porose, come quelle di Pietracalma o della Placca del Bhikku, o ritorte in fessure improbabili, come quella di Coma etilico o di Brodo di Coniglio; di mani pinzanti su graspole microbiche o attanagliate a lame da mito, come su Verniciati il Cervello, in un orgasmo sempre crescente di bianco, di verde e di sole. Sole. Sì, perché anche d’inverno l’Angelone è sempre al sole, dalle nove del mattino alle quattro del pomeriggio. Così capita a volte di vedere a gennaio la neve giù nella fredda piana di Pasturo e di arrampicare in maglietta e calzoncini sugli specchi solari della Placca del Pistolino o del Pilastro dell’Essenza, trecento metri più in alto!