Quando la geografia è una questione di marketing
a cura di Marrano (Lafuori *)

Per molti le Dolomiti sono una fichissima zona di vacanza interamente ricompresa nella regione Trentino Alto-Adige/Südtirol. Per pochi un’area geografica formata da rocce coralline, boschi e vallate che si estende a cavallo di cinque province: le suddette Trento, Bolzano a cui si associano la veneta Belluno, e le friulane Udine e Pordenone. Fra le fantastiche cinque il primato quantitativo spetta inaspettato (notare la finezza lessicale) alla sgangherata provincia di Belluno, estrema propaggine nord del Veneto, che da sola si tiene nello zaino quasi il 50% dell’intero patrimonio Unesco, lasciando ai celeberrimi vicini di casa trentoatesini circa il 30% e ai furlani quel poco che resta.
Fin qui tutto bene. I confini geopolitici tracciati dopo la prima guerra mondiale sono salvi e ben delineati, nonostante qualche diatriba storica dalle parti del massiccio del Sella, dove alcune comunità, oggi malinconicamente venete, rivendicano una storica appartenenza asburgica che, se confermata da una legittima ma mai concessa opzione referendaria, farebbe pendere l’ago della bilancia montuosa a favore del Südtirolo. Fine della lezioncina di geografia che prelude a ben più spinose riflessioni…
Sì, perché la domanda chiave che tutti si pongono in attesa del soccorso alpino ammassati in riva al lago di Braies o in fila indiana lungo il sentiero che conduce al mitologico laghetto del Sorapiss, poco distante da Cortina d’Ampezzo, è infatti la seguente: ma dove diavolo si trova il cuore delle Dolomiti?
Ascoltando la radio, guardando la televisione, scorrendo le pagine di quotidiani e rotocalchi, il cuore delle Dolomiti pare essere collocato ovunque abbia origine un prodotto autentico e di alto valore qualitativo associabile alla tradizione montanara. Poco importa se il profilo acuto di un monte pallido si possa intuire solo grazie ad un potente telescopio!
Nella poetica cialtrona del marketing, il cuore delle Dolomiti è diventato infatti la dimensione distopica per eccellenza. Di volta in volta sede di una gamma sterminata di ristoranti e hotel per la vacanza perfetta; luogo di nascita per una lista interminabile di aziende di eccellenza dei più svariati prodotti industriali, artigianali e, naturalmente, agroalimentari.
Nel cuore delle Dolomiti nascono così mele e birre rispettivamente coltivate e pastorizzate a non meno di 50 chilometri dal primo frammento di carbonato doppio di calcio e magnesio (formula chimica della Dolomia, la roccia dolomitica per la cronaca). Nel cuore delle Dolomiti menti geniali di giovani atleti, corroborate dall’aria fresca di montagna, progettano e ingegnerizzano i più stilosi e funzionali capi di abbigliamento per gli strafichi dell’outdoor, sempre pronti a una memorabile avventura. In qualche remoto ventricolo delle Dolomiti, degli gnomi vestiti di rosso impastano e cucinano biscotti wafer dalle proprietà salutari leggendarie, deliziosi, naturali come il territorio dal quale provengono e speriamo anche ideali per contrastare l’accumulo di colesterolo che si sta via via constatando in un cuore che, al netto della reale collocazione geografica, pare essere sempre più appesantito e affaticato.
A furia di tiralo in ballo come involontario protagonista di fasulle campagne pubblicitarie, il cuore delle Dolomiti è diventato un organo vitale gravemente intasato, bisognoso di iniziare una seria terapia disintossicante a base di potenti statine, che gli consentano di riprendere a battere a ritmi più rilassati e congeniali alla sua vera natura. Perché a voler dire le cose come stanno, il vero cuore delle Dolomiti è un luogo incerto, fragile e delicato, spesso maltrattato dal suo stesso legittimo proprietario, già segnato da un infarto chiamato Vaia la cui ferita è ancora sotto gli occhi dei troppi che, passandogli a fianco, richiamati dal suono dell’artificiale battito mediatico, nemmeno la vedono.
Ma in fin dei conti, chi se ne importa di dove e cosa effettivamente sia il cuore delle Dolomiti? Il cuore delle Dolomiti è oggi un non luogo a uso e consumo del marketing e si trova ovunque ci sia abbastanza cinismo da considerare la montagna come un bancomat o una vacca da mungere fino allo sfinimento, con la scusa di un progresso che lassù, fra le instabili rocce calcaree, mostra tutti i suoi limiti, con crescenti tensioni sociali ed economiche.
Lafuori *
Non è un nuovo brand outdoor fondato da due giovani mountain runners appassionati di climbing. Non è l’account Instagram di un influencer. Non è nemmeno il nome di una falesia segreta di un’isola sconosciuta del Mediterraneo o di un hotspot di Hokkaido dove cade la neve più polverosa del mondo. Lafuori è il titolo del contro editoriale di Outdoor Magazine. Un racconto libero e disincantato dell’outdoor scritto sotto mentite spoglie.