L’amico americano

La grande capacità di dispersione del lupo è il motivo del successo del ritorno del predatore in diversi stati americani. Anche al di là dell’oceano non mancano i problemi. Intervista a Daniel Pletscher, dell’Università del Montana, direttore del Dipartimento di Wildlife Biology.

L’amico americano
di Francesca Marucco*
(pubblicato su piemonteparchi.it il 18 aprile 2023. L’articolo, pubblicato in originale nel 2002, è stato recentemente riproposto per i 40 anni di Piemonte Parchi)

Daniel Pletscher professore dell’Università del Montana, direttore del Dipartimento di Wildlife Biology, dagli anni Settanta si occupa di lupi al di là dell’oceano e segue in particolare il ritorno naturale del lupo intorno al confine tra Stati Uniti e Canada, nel Parco nazionale di Glacier ed in tutto lo stato del Montana.

In Italia per un viaggio di studio di una settimana, ha voluto percorrere le montagne alpine dove da alcuni anni il nostro lupo appenninico è ritornato. È stata una bella occasione per scambiare alcune opinioni in merito al futuro di questo splendido animale, e per confrontare l’adattamento di questo carnivoro a situazioni ambientali così diverse come quelle dell’antropizzata Italia e del selvaggio Montana.

Durante le giornate trascorse sul territorio dei parchi della Valle Pesio e delle Alpi Marittime, per analizzare le aree selezionate dai lupi in questi anni sulle Alpi sud-occidentali, Dan Pletscher ha evidenziato le similitudini che intercorrono tra il processo di naturale ricolonizzazione che sta avvenendo in Nord America e qui sulle Alpi.

Foto: Pixabay

I lupi sono stati sterminati sistematicamente dall’uomo dall’ovest degli Stati Uniti, dalle Montagne Rocciose, all’inizio del 1900, per eliminare i conflitti uomo-lupo. Sulle Alpi l’ultimo lupo documentato è stato ucciso nel 1921 nella zona delle Alpi Liguri per le stesse ragioni.

Dan Pletscher sostiene che una combinazione di maggiore tolleranza dell’uomo nei confronti dei predatori e protezione legale della specie a livello nazionale (Endangered Species Act del 1973) ha gettato le basi per i primi stadi del ritorno del lupo negli Stati Uniti occidentali.

I lupi hanno iniziato a ricolonizzare il nord-ovest del Montana, in particolare Glacier National Park, alla fine del 1970 tramite dispersione dalla popolazione di lupi in Canada. Sicuramente la grande capacità di dispersione del lupo è il motivo del successo del ritorno del predatore in diversi stati e continenti oggi. Così come i lupi, all’inizio degli anni 90′, hanno iniziato a riapparire sulle Alpi Occidentali, grazie ad individui in dispersione provenienti dall’Appennino Settentrionale.

Conversando con Dan Pletscher emergono le sostanziali differenze tra il Vecchio e il Nuovo Continente. Oltreoceano gli spazi sono enormi e la popolazione di lupi naturalmente ritornata nel Nord degli Stati Uniti, dice Dan Pletscher, è ormai valutabile in 13-15 branchi, la crescita annuale della popolazione è del 20% in media ed inoltre il Parco di Yellowstone ed il Fish and Widlife Service, con un progetto che dura ormai dal 1995, ha avviato una reintroduzione in Wyoming ed in Idaho per velocizzare ed aiutare il processo di ricolonizzazione nel sud delle Montagne Rocciose.

Ciò “con non pochi problemi con gli allevatori, i quali oggi reclamano i danni causati dai predatori“, enfatizza Pletscher. Le reazioni del pubblico sono divergenti, allevatori ed ambientalisti prendono posizioni diverse, ed il Fish and Widlife Service si trova a gestire una situazione sempre più complicata.

La ricerca diventa fondamentale per fornire dati sui quali basare ogni tipo di gestione e intervento. Dan Pletscher infatti ha lavorato, con importanti ricercatori quali Diane Boyd e Kyran Kunkel, per 20 anni nell’area di ricolonizzazione naturale del lupo in Montana per fornire importanti dati su dispersione, dinamica di popolazione, genetica, dinamica preda-predatore, conoscenze fondamentali in qualsiasi ambito gestionale.

Sono stati “radiocollarati” 58 lupi, seguiti settimanalmente, documentando una distanza media di dispersione di 264 km per le femmine e di 152 km per i maschi, e fornendo dati su tassi di sopravvivenza, riproduzione e dispersione. Dati fondamentali per capire l’evoluzione della ricolonizzazione, dati che purtroppo in Italia non riusciamo ancora ad ottenere, sia per disponibilità economiche che difficoltà logistiche e differenze ecologiche ed ambientali.

Le Montagne Rocciose in Nord America, così come le Alpi in Europa, stanno fungendo non solo da corridoio di ricolonizzazione per i grandi carnivori, ma come vero habitat idoneo alla presenza stabile del lupo.

Pletscher, durante l’accertamento di una predazione di una pecora in Val Vermenagna (CN), evidenzia come in Nord America la ricolonizzazione del lupo in ambiente montano avvenga in primo luogo nel fondovalle. In Italia, così come in ogni ambiente fortemente antropizzato, i fondovalle sono l’habitat preferito anche dall’uomo.

Ecco perché i ricercatori sulle Alpi cercano e seguono le tracce di lupi in zone molto scoscese ed impervie: le zone più idonee ai lupi sono occupate dall’uomo. Ciò nonostante il lupo si è adattato ad utilizzare queste aree, ma comunque il conflitto uomo-lupo rimane il punto fondamentale da risolvere per la sopravvivenza di questo predatore in ogni parte del mondo.

Nel Glacier National Park l’uomo è l’80% della causa di mortalità del lupo, sostiene Dan Pletscher. Da noi non riusciamo ancora a quantificare l’entità del bracconaggio sulla popolazione di lupo alpina, ma quasi certamente è la principale causa di morte del carnivoro.

Un approccio transfrontaliero da parte dei ricercatori e di qualsiasi tipo di gestione è fondamentale sia in Nordamerica, tra Canada e Stati Uniti, dove gran parte dei branchi di lupi frequentano zone di entrambe gli stati, sostiene Pletscher, sia in Europa.

L’importanza di una scala transfrontaliera omogenea per conservare il lupo sulle Alpi è evidente, soprattutto analizzando i dati raccolti ormai da anni da ricercatori italiani e francesi che documentano un utilizzo del territorio “senza frontiere” da parte di quasi tutti i branchi di lupi alpini.

Il conflitto con l’uomo è inevitabile, le predazioni ai domestici e la competizione per le prede selvatiche da parte dei cacciatori, sono dibattito comune in Italia come in America.

Le realtà sono molto diverse, enfatizza Pletscher dopo aver conosciuto il pastore Maurizio Martini, in Val Vermenagna: “In Montana i ranger e i cowboy sono personaggi con un forte peso politico ed economico“.

Insomma questa specie affascinante e inquietante non è semplice da gestire ovunque, dal Montana ai grandi laghi, dalle Alpi ai Pirenei, continua a lanciarci una sfida apparentemente facile da vincere ma complessa nella realtà: convivere con una specie che interferisce con le nostre economie.

Di conseguenza è fondamentale che qualsiasi proposta di conservazione e gestione sia calibrata sul caso specifico, alpino o americano, e per fare questo è necessaria una ricerca su larga scala e continuativa, che vede la collaborazione tra stati diversi, in grado di fornire informazioni oggettive sulla situazione dei branchi di lupi transfrontalieri.

Francesca Marucco*, zoologa, laureata a Torino, ha conseguito Master e Dottorato (PhD) all’Università del Montana, Missoula, USA, dedicati allo studio dell’ecologia del lupo. Dal 1999 al 2022 ha effettuato studi sulle dinamiche spazio-temporali della ricolonizzazione del lupo sulle Alpi. La sua ricerca si è concentrata negli anni sulle dinamiche spaziali, demografiche e genetiche delle popolazioni di grandi carnivori, dall’Europa al Nord America,per estendersi alle dinamiche preda-predatore e alla valutazione delle interazioni con le attività umane, nell’ottica della sostenibilità ambientale e della conservazione delle specie. Esperta di progetti europei, ha scritto, conseguito e attuato progetti europei (Interreg e LIFE). Coordinatore scientifico del Progetto LIFE WolfAlps (2013-2018), premiato con il LIFE BestAward dalla Commissione Europea nel 2019, è oggi coordinatore scientifico del più esteso LIFE WolfAlps EU. Ricercatore e docente all’Università di Torino, presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi (DBIOS), è membro affiliato con l’Università del Montana. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici a livello internazionale, libri ed è editore e reviewer per giornali scientifici. Referente sull’argomento per il Ministero della Transizione Ecologica ed ISPRA, è membro di diversi gruppi scientifici internazionali, tra cui il Wolf Alpine Group (WAG) ed il Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE) (SSC di IUCN).

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