Due terzi dell’impronta ambientale lasciata da un’azienda derivano dai suoi fornitori. Chi interviene con coraggio sulla propria supply chain può fare la differenza in termini di sostenibilità.
di Susanna Marchini
Le indagini di settore condotte a metà del 2020 hanno suggerito che i temi ambientali, sociali e di governance (ESG) fossero scivolati in fondo alla lista delle priorità delle aziende, anche a causa del complesso periodo che il mondo stava affrontando. Oggi però i grandi player stanno recuperando il tempo perduto. Nel 2021, per esempio, il 29% delle aziende ha incluso le metriche ESG nei suoi piani di incentivazione del personale, con un aumento di sette punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Questa ripresa di consapevolezza deriva da diversi fattori: adempiere all’obbligo di normative sempre più stringenti, migliorare il coinvolgimento dei dipendenti o attrarre nuovi talenti, evitare i crescenti rischi reputazionali, soddisfare i propri consumatori che scelgono marchi sostenibili anche se i prezzi sono più alti. Qualunque sia la ragione, si sta osservando come i principali operatori del settore stiano già ottenendo benefici da questa inversione di rotta.
Una recente analisi di McKinsey & Company mostra come i top performer ESG godano di una crescita più rapida e di valutazioni più elevate rispetto ai competitor, con un margine compreso tra il 10 e il 20%. Le forti credenziali ESG fanno anche scendere i costi del 5-10%, poiché ci si concentra sull’efficienza operativa e sulla riduzione degli sprechi. Inoltre, l’eccellenza ESG riduce il rischio di transizione, aiutando le aziende ad anticipare i cambiamenti normativi e il sentiment degli stakeholder.
Gli interventi sulla supply chain
Ricordiamo innanzitutto che la base per una trasformazione incentrata sui temi ESG include sì la quantificazione delle risorse consumate e delle emissioni generate dalle attività dirette dell’azienda (Ambiti 1 e 2), ma anche quelle prodotte indirettamente (Ambito 3). Si stima che quest’ultime siano l’80-90% delle emissioni e che due terzi provengano esclusivamente dalle forniture delle aziende. In questa nuova ondata di trasformazioni della sostenibilità aziendale quindi, la supply chain ha un ruolo assolutamente centrale. In un’indagine di settore del 2020, tra le nove iniziative ESG evidenziate dai dirigenti come importanti per la transizione, la maggior parte coinvolge direttamente questo aspetto o ha implicazioni significative per la sua configurazione (figura 1).
Vorrei ma non conosco
Chi si occupa di acquisti all’interno di un’organizzazione (CPO) è l’interfaccia principale con la supply chain e ha un ruolo decisivo nel plasmare l’impronta ESG della sua azienda, sia direttamente attraverso le decisioni di acquisto sia indirettamente, influenzando la progettazione. I CPO comprendono l’importanza della loro posizione, ma la maggior parte delle aziende sta ancora lottando per delineare una visione chiara. In una recente indagine condotta su 20 CPO di grandi aziende europee, ad esempio, il 60% sapeva dove voleva arrivare, ma non aveva una strategia di sostenibilità allineata. Solo il 20% ha dichiarato che le loro organizzazioni utilizzano le misure di sostenibilità come criteri primari nelle decisioni di approvvigionamento o nelle revisioni dei fornitori.
Quando è stato chiesto ai CPO perché non avessero integrato l’ESG nel dna dell’organizzazione, è emerso chiaramente che la maggior parte di loro riteneva di non avere gli strumenti, le competenze e i dati necessari per farlo. Il 70% del campione ha dichiarato che le loro organizzazioni non sapevano da dove venissero generate le emissioni indirette. Il 90% ha dichiarato di avere difficoltà a identificare le azioni giuste per spostare l’ago della bilancia sui temi ESG e quasi tre quarti non sapeva quali obiettivi ESG fissare. Tuttavia, i CPO dispongono già di una grande quantità di dati sulla supply chain, in quanto dovrebbero conoscere esattamente quanto un’azienda acquista, da dove proviene e chi lo produce.
Primi passi
Adottando un approccio olistico allo sviluppo di nuovi dati, processi e capacità incentrati sull’ESG, si può iniziare a costruire il cambiamento. Questo approccio si compone di tre fasi fondamentali (figura 2) che insieme rendono la sostenibilità semplicemente parte del modo in cui l’azienda opera, a partire da ciò che acquista e fino a ciò che vende e a come supporta i suoi clienti.
1. Determinare la linea di partenza e quanto lontano si vuole andare
Individuare e quantificare l’attuale impronta ESG dell’organizzazione. Identificare le aree di rischio più significative e le opportunità di miglioramento. Determinare ciò che conta di più nel contesto dell’agenda ESG complessiva dell’azienda. Stabilire obiettivi e target per gli acquisti sostenibili.
2. Stabilire il core e incentivare le iniziative che producono valore
Definire le metriche e le politiche ESG che saranno integrate nei processi standard di selezione dei propri fornitori, degli approvvigionamenti e della gestione delle forniture. Parallelamente, selezionare un certo numero di temi ESG di massima priorità e affrontarli attraverso iniziative di innovazione cross-funzionali, come la collaborazione con i partner per ridurre a zero le emissioni della supply chain.
3. Guidare il cambiamento dell’organizzazione
Scalare e diffondere le iniziative di successo. Integrare le pratiche di acquisto sostenibile nell’organizzazione. Formare continuamente i responsabili degli acquisti sui principi sostenibile e sulla loro applicazione. Monitorare le prestazioni rispetto agli obiettivi.