Il saggio-provocazione dell’ambientalista George Monbiot: il futuro è sotto i nostri piedi eppure è un universo ancora sconosciuto.
Il cibo sottoterra
(come sfamare gli abitanti del pianeta Terra nel 2050)
di Mauro Garofalo
(pubblicato su lastampa.it/tuttoscienze il 28 dicembre 2022)
Il futuro è sottoterra. Un’indagine per sfamare il mondo senza divorare il pianeta è l’evocativo titolo dell’ultimo libro di George Monbiot, pubblicato da Mondadori: ambientalista britannico, oltre che politico e giornalista per The Guardian, fresco vincitore dell’Orwell Prize, racconta in oltre 400 pagine, illuminanti e provocatorie, in che modo potremo sfamarci quando, secondo gli ultimi dati, arriveremo a 10 miliardi di umani. Il tutto succederà già entro il 2050.
“La nostra capacità di nutrirci senza divorare il pianeta dipende in larga misura dal miglioramento della nostra conoscenza del suolo – dice l’autore – si tratta di uno degli ecosistemi più complessi e affascinanti della Terra, eppure ci è quasi sconosciuto. Se riuscissimo a comprendere meglio le relazioni incredibilmente intricate tra piante, batteri e funghi del suolo, potremmo ridurre notevolmente – in alcuni casi addirittura eliminare – la necessità di fertilizzanti e concimi, mantenendo la resa delle colture e togliendo al contempo un’enorme pressione sul mondo vivente”.
“Eppure – ammonisce – non ci sono quasi fondi per la ricerca in questo settore. Stiamo spendendo miliardi di dollari per un programma di rover su Marte per esplorare la superficie del pianeta. Non dovremmo spendere miliardi di dollari anche per esplorare la superficie del nostro pianeta?”.

Nel saggio di Monbiot coesistono numeri e concetti, teorie e innovazione scientifica, e persino termini sconosciuti che pure hanno a che fare con la biodiversità ovvero la nostra vita. E’ il caso del cosiddetto “ipervolume di Hutchinson”: “E’ un concetto meraviglioso della scienza ecologica che descrive le opportunità multidimensionali nello spazio, nel tempo e in relazione tra loro e queste permettono la sopravvivenza di diverse creature – specifica l’autore che ha studiato zoologia a Oxford – in linea di massima, più un sistema è complesso, maggiore è la diversità che può supportare. Un suolo sano ha un enorme ipervolume hutchinsoniano. È pieno di “punti” e “momenti caldi”: fluttuazioni nello spazio e nel tempo che creano luoghi e un’intensa attività biologica. Il vasto ipervolume del suolo sano potrebbe spiegare un mistero: l’incredibile numero di specie che sembrano vivere assieme nello stesso luogo, e nello stesso momento, facendo apparentemente la stessa cosa”.
Come si può sostenere tutto questo senza che una o poche dominino le altre e le portino all’estinzione? “Una possibile risposta è che – poiché la nostra comprensione del suolo è così debole – potrebbe sembrare che vivano insieme nello stesso luogo e nello stesso momento, ma non è così. Ognuno di loro potrebbe sfruttare minuscoli punti e momenti caldi che non siamo riusciti a individuare”.
Se negli Anni ’30 del Novecento negli Stati Uniti imperversavano le “dust bowls”, le tempeste di polvere, oggi ci troviamo di fronte a catastrofi ambientali sempre più gravi e variegate. Che cosa possiamo fare, allora, per ridurre il nostro impatto sul pianeta entro il 2050? “Dobbiamo occuparci di tutti gli impatti, alcuni però – è bene saperlo dice l’autore de Il futuro è sottoterra – sono molto più gravi di altri: l’impatto del sistema alimentare, per esempio, è maggiore di quello di qualsiasi altro settore. È la principale causa al mondo di distruzione di habitat, deforestazione, perdita di fauna selvatica, estinzione, uso e degrado del suolo, consumo di acqua dolce”.
Non solo. Continua: “È una delle maggiori cause di alterazione del clima, di inquinamento delle acque e dell’aria. La produzione alimentare, a sua volta, è gravemente minacciata da questi disastri ambientali: il degrado climatico e l’erosione del suolo renderanno probabilmente non coltivabili parti significative del pianeta”.
L’innovazione, però, può fare la sua parte nel restituire “terra alla Terra” e all’umanità. “Credo che la più importante tecnologia ambientale mai sviluppata sia la fermentazione di precisione – spiega Monbiot – l’allevamento di microbi che possono essere utilizzati per produrre alimenti ad alto contenuto proteico, utilizzando una minima parte di terra, acqua, del carbonio e dei fertilizzanti necessari”. Tutto questo – specifica – “potrebbe consentirci di ritirare dall’agricoltura aree molto vaste del pianeta e di ripristinare foreste, zone umide, le savane, le praterie naturali e altri ecosistemi che un tempo le occupavano, arrestando la sesta grande estinzione e sottraendo grandi quantità di carbonio all’atmosfera”.
Molto si sta facendo – nota Monbiot – “nello sviluppo di colture cerealicole perenni, per sostituire le colture annuali che coltiviamo ora, e ai nuovi progressi nei controlli biologici, per sostituire l’uso dei pesticidi”. Il nostro futuro, a ogni modo, dovrà trovare un equilibrio nei grandi numeri del più vasto pianeta di cui facciamo parte: “Se guardiamo al peso dei mammiferi sulla Terra: il 36% è costituito da esseri umani, il 60% da bestiame e solo il 4% da specie selvatiche. È francamente terrificante”, riflette l’ambientalista britannico, perché “è un segno di quanto sia stato estremo il nostro impatto sul pianeta. Dimostra anche che la più grande crisi demografica del mondo non è la crescita della popolazione umana (che attualmente è dell’1% l’anno), ma quella del bestiame, che attualmente è del 2,4% l’anno. Entro il 2050, per dirla in termini brutali, gli esseri umani in più sul pianeta peseranno poco più di 100 milioni di tonnellate, mentre, se non si interrompe l’attuale tendenza, gli animali da allevamento in più peseranno 400 milioni di tonnellate”.
Davvero può considerarsi una buona soluzione produrre alimenti in laboratorio?
Davvero non vediamo che è il nostro stile di vita il ver problema e non il numero crescente di abitanti?