Il mondo della luce

Il mondo della luce
di Bruno Telleschi

Finalmente sono stati raccolti in volume gli articoli che Marcello Di Martino pubblica sul sito della casa editrice ytali (www.ytali.com) con piacevole costanza: Cinquantapezzifacili, L’Aquila, Textus, 2024, cinquanta escursioni facili sulle montagne dell’Appennino, l’Abruzzo soprattutto sebbene non manchino incursioni altrove, in Lazio, Molise, Basilicata, Campania, Puglia e addirittura nella valle d’Aosta. La montagna vera infatti non è una palestra di eroismo sportivo o di prestazioni tecniche nella società del consumismo e dell’alienazione materiale, ma un luogo dello spirito dove gli uomini possono celebrare e consacrare la vita alla comunione con la natura e alla contemplazione della bellezza. Nel panorama delle guide escursionistiche il libro rinnova lo stile dei discorsi perché vuole superare i confini della cronaca ed ambisce alla letteratura, dove mescola efficacemente il lirismo con l’ironia, la politica con la storia, la tradizione del passato e con la costruzione del futuro. Le guide tradizionali sono tecniche per necessità e molto utili per chi non ha la conoscenza viva del territorio, ma spesso noiose. Ma non basta essere utili: i buoni viandanti non cercano in montagna la sfida con sé stessi né vogliono competizioni eroiche.

Il Monte Porrara

L’escursione in montagna diventa piuttosto la rivelazione di un viaggio interiore nella ricerca della bellezza sulla cima delle montagne. Dopo la nebbia sulle onde del panorama «La nebbia galleggia sul panorama e pur negandoci l’Adriatico all’orizzonte, ci consegna una visione onirica di rara bellezza» (p.106) finalmente appare l’azzurro del cielo a rinfrancare i cuori: «Un lungo balcone assolato con affaccio a grandangolo su colline, valli, altipiani, aree pianeggianti, corsi e bacini d’acqua, distretti industriai fino alla lunga linea dal blu intenso dell’Adriatico» (p.100). Sulla cima delle montagne il panorama dell’infinito è uno spettacolo che si rinnova ogni volta come premio alla vita e consacrazione dello spirito. Come recita una celebre canzone popolare: So’ sajjtu a ju Gran Sassu / so’ remastu ammutulitu, / me parea che passu passu / ji’ sajesse a j’infinitu. / Che turchinu, quantu mare, / quanta luce, che bellezza, / ppure Roma e j’atru mare / se vetea da quell’ardezza. / Po’ so jitu a la Maiella, / la montagna tutta ’n fiore / quant’è bella, quant’è bella, / ppare fatta pe’ l’amore! (Sono salito sul Gran Sasso / sono rimasto ammutolito, / mi sembrava che passo passo io salissi all’infinito. / Che turchino, quanto mare, / quanta luce, che bellezza, / pure Roma e l’altro mare / si vedeva da quell’altezza. / poi sono andato sulla Maiella, / la montagna tutta in fiore / quant’è bella, quant’è bella, / sembra fatta per l’amore!).

La leggenda vuole che dalla cima del Gran Sasso si possano vedere insieme sia il mare Adriatico sia il mare Tirreno in giorni di particolare splendore quando la bellezza incontra l’amore. Se la bellezza dell’amore e l’amore della bellezza fossero fratelli, il mondo sarebbe un paradiso di felicità per tutti, tutto il mondo sarebbe una montagna da vivere in compagnia degli amici senza la necessità di salire in montagna. Nel frattempo possiamo salire in montagna finché il mondo non si trasformi nel paradiso in terra.

La preparazione delle vette maggiori può cominciare con il girotondo del monte Cervia 1434 m, proseguire con il girotondo della Maiella nei monti Pizzalto 1966 m, Porrara 2137 m, Rotella 2129 m e Secine 1852 m, la tetralogia per raggiungere alla fine la cima della Maiella 2795 m in religioso pellegrinaggio. Oppure il viandante, come un pellegrino sulla via bellezza, può cominciare sui monti del Terminillo e tentare la concatenazione delle tre vette che in breve conduce sempre più in alto, dal Terminilluccio 1804 al Terminilletto 2106 m e infine al Terminillo 2216 m comunemente detto. Finché il Terminillo, il piccolo termine, fece parte del regno delle Due Sicilie fu anche il termine settentrionale ai confini del regno come la Vetta d’Italia 2911 m (Klockerkarkopf) fu ribattezzata per essere collocata ai confini del regno d’Italia dopo la grande guerra. 

I piani di Pezza

Noto come la montagna di Roma, il Terminillo fu trasferito nel Lazio in epoca fascista per diventare l’avanguardia del turismo moderno e popolare. Del resto nelle mutazioni della storia anche l’Abruzzo ebbe la stessa sorte del Tirolo e fu trasferito in Italia con il sangue dei garibaldini: sul Blockhaus 2143 m, l’anticima settentrionale della Maiella, una lastra ricorda l’opposizione dei briganti all’unità nazionale («Prima era il regno dei fiori ora è il regno della miseria»). Oggi il luogo tragico della storia rimane un luogo magico sul crinale della montagna nel labirinto dei mughi, oggi l’ascensione della Maiella rappresenta insieme la liberazione dai vincoli della vita materiale e nello stesso tempo rievoca l’eroismo dei partigiani in lotta contro l’occupazione nazifascista. Il Sentiero della Libertà da Campo di Giove a Taranta Peligna incontra sulla strada il sacrario della brigata Maiella dove riflettere sulla pace e la solidarietà tra i popoli.

Le tre cime del Terminillo viste dai pressi della Sella di Leonessa. Foto: Mauro Pancaldi.

L’Abruzzo della montagna degli eremi solitari e dei borghi silenziosi è anche l’Abruzzo degli alberi nei boschi misti delle quote più basse con gli ontani gli aceri i carpini i lecci i cerri le farnie e le roverelle, nelle nuove pinete e nelle vecchie abetine superstiti con l’abete bianco che in epoca antica popolava tutto l’Appennino, ma soprattutto l’Abruzzo risplende nelle faggete delle quote superiori con alberi secolari e maestosi: «Il percorso nella faggeta è senza pari. Alberi secolari, di straordinaria possanza. Quasi a palesare una certa prepotenza, diritti e maestosi. Il tappeto di foglie ammorbidisce e facilita l’ascesa, anche nei tratti di maggiore pendenza. La luce trapassa la densità dei faggi in punti dove realizza effetti cromatici abbaglianti. Si apre a rallentare gli effetti che l’inclinazione produce sul respiro uno slargo erboso, pianeggiante, che dà su Quarto santa Chiara e sul Porrara» (pp.78-9).

L’idillio della montagna viene spesso profanato dagli orrori del progresso con l’invasione delle strade e degli impianti turistici, ma l’ostinazione degli abitanti che sopravvivono nei centri minori resiste alla deriva della società. Alla nostalgia della tradizione l’impegno democratico sovrappone la visione di un futuro che concilia la materia con lo spirito.

L’alta valle di Taranta Peligna
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