di Smaranda Chifu
(pubblicato su Insalita in data 19 agosto 2020)
Di sicuro non si può dire che quest’anno, in quanto a salite con avvicinamenti lunghi e/o complessi, salite incul… emm lontane e salite con discese più complesse delle salite stesse non ci abbia dato dentro.
La si vede da San Martino, netta che chiude la Val Torrone, con il suo profilo a cresta segnato in maniera evidente da due punte. Di lei sapevo che era lunga, poco frequentata, con una discesa tortuosa e un avvicinamento tipico della Val Masino, ma un po’ più lungo. E dire “tipico della Val Masino ma un po’ più lungo” è già di suo piuttosto significativo.
Perciò non faccio nemmeno in tempo a dimenticarmi della Molteni al Badile che già mi ritrovo di nuovo a San Martino con lo zaino in spalla: la mia fortuna è non esserci mai stata prima, in Val Torrone, altrimenti non so con quale forza d’animo avrei iniziato l’avvicinamento con ancora l’acido lattico nelle gambe dalle salite dei giorni prima.
Compagni di questa cavalcata eterna: Ange e Luchino, che è detto “ino” perché effettivamente è piccolino, io e Ange gli diamo giusto quella decina d’anni, ma dei tre è l’unico che abbia idea di come si chiuda un 8a. In pratica averlo in cordata è come avere un pokemon col superpotere del grado. Ange è il pokemon col superpotere di sapere sempre dove vanno le vie e da dove si scende dalle vie. E io sono il pokemon che non sa perché è insieme a loro, anche se la Osio Canali è un’idea mia e ho insistito io per andare a farla.
Ci ritroviamo così un pomeriggio infrasettimanale sul sentiero della Val di Mello: ma quanto è bella la Val di Mello! A metà agosto di un giorno di sole quando gli italiani non viaggiano all’esterno, è talmente bella che quella mezz’ora a risalirla, con le narici pervase da un profumo di crema solare Bilboa al cocco chimico, ci fanno diventare piuttosto cinici col genere umano. Di sicuro sembriamo un po’ degli alieni con gli zaini con le corde in mezzo alla calca di gente in costume da bagno: la montagna è di tutti, certo, ma quasi quasi vien voglia davvero di farsi 4 ore di cammino per arrivare ad un bivacco che ha massimo 6 posti letto! Infatti stiamo salendo al Bivacco Manzi.
Ecco, la voglia c’è, la gamba e il fiato per 1.600 metri di dislivello con pendenza che d’inverno è sci ripido quella roba, un po’ meno. Pokemon Ange però sfodera il suo secondo superpotere: avvicinamento turbo, abbassa la testa, smette di respirare e tempo tre tornanti e due pini io e Luchino rimaniamo indietro da soli.
Io decido che le mie gambe ultimamente ne hanno passate troppe e una medaglia, se arrivo prima al Manzi, non me la danno, quindi me la faccio con calma, esco dal bosco e sbatto il naso contro il Picco Luigi Amedeo che non avevo mai visto prima. Ho una laurea in architettura e, devo ammettere, una certa propensione ad apprezzare l’estetica di certe forme geometriche. Rimango un po’ lì guardando la parete: la natura ha un post-doc in architettura, mi sa!
Arriviamo al Manzi mezz’ora dopo Ange, che ci guarda e giudica dall’alto sembrando un incrocio tra Yoda e Mufasa. Siamo noi, due ragazzi che stanno facendo il Sentiero Roma e una ventina di insopportabili, belanti e fastidiose pecore. Mangiamo e andiamo a dormire mentre fuori un temporale e un vento non indifferente ci fanno dubitare un po’ del giorno dopo ma allo stesso tempo sperare di ritrovare una delle pecore già sotto forma di arrosticino. In realtà la via asciugherà in fretta e il vento non ci darà fastidio! Al mattino facciamo un’altra ora di avvicinamento dal bivacco al passo del Cameraccio e ci ritroviamo finalmente all’attacco.
La situazione è tragicomica: Ange è tutta estate che ha un ginocchio sifulo, Luchino ha alzato troppo la gamba arrampicando e nonostante i suoi 21 anni ha mal di schiena e le mie ovaie decidono che questa è la situazione ideale per avere le mestruazioni. Una festa della forma fisica perfetta.
Metà racconto solo per dire questo, che di fatto siamo andati a fare una delle vie più dimenticate della Valle, non abbiamo certo fatto coda sui tiri e la via in sé è come uno se la potrebbe immaginare: c’è dentro poco o nulla, sono 18 tiri (concatenabili) di cui molti su granito un po’ poco solido, non certo un vione dai gradi insuperabili ma con difficoltà tipiche di questo genere di salite ovvero: non si capisce mai una mazza di dove vadano queste vie, non sai se sia più vecchia la roccia o i chiodi che ci son dentro, per scendere da queste vie una buona stella (polare) non fa mai male.
Non starò a descrivere troppo i tiri in sé, ce li dividiamo in base ai superpoteri pokemon: gli ultimi sei Ange che su questi gradi non perde mai efficienza mentre io e Luca siamo un po’ stanchi, i 6 in mezzo Luca che ha il superpotere del grado così si sfanga il chiave sdoulferando come i veri pro e i primi sei io che non ho nessun superpotere ma ho il culo più protuberante dei tre quindi mi incastro meglio nei camini.
Comunque la facciamo tutta, compresi gli ultimi tiri, sui quali io e Luca ammiriamo delle meravigliose soste su cordoni marci su sassi grossi, con maglia rapida di calata. Capisco che da dove si sale, da lì si scende ma calarsi su quella roba lungo uno spigolo, pendolando a destra e sinistra sarà più dura che salirli, gli ultimi tre tiri. Da lì seguiranno altre improbabili doppie su spuntone di polvere di granito e stelle, una doppia da 60 metri tutta di traverso comoda come l’inferno, una in un canale di II, una su un cordone dentro la madre di tutte le clessidre, una nuova perché la parete vicino all’attacco è recentemente franata che ci mancava pure questo e quelle anime pie del Luca Schiera e socio hanno piantato due chiodi nuovi e, finalmente, l’ultima su un chiodo giallo e brutto per arrivare a terra. Comunque da panico tutte, comunque Ange ha messo qui la relazione così se proprio volete farvi un giro di 5 ore di avvicinamento, 6 di salita, 3 di doppie e 4 di rientro perché non c’avete proprio una mazza di meglio da fare nella vita, potete farlo.
Son quelle cose che poi ti chiedi se sia più pazzo quello che si cosparge di Bilboa al cocco chimico in mezzo alla Riccione Val di Mello, o tu che sei 2.000 metri sopra a pregare che quello spuntone stia buono lì.
Però ora quella cresta che si vede dalla Valle sarà un ricordo, un segno all’orizzonte di una giornata estiva, di quelle che sono come le foto, che quando le fai nessuno vuole davvero farle, ma vent’anni dopo fan venire la nostalgia a tutti.
Torniamo a San Martino e incontriamo Luca (Schiera) e socio sotto la Meridiana, che ci dicono della sosta di cui sopra e ci chiedono se l’abbiamo fatta in giornata. Io di quella via, in giornata, potrei farci l’avvicinamento e il rientro, comunque sbuffando.
Al San Martino aspiriamo una pizza dal Fiorelli, con due amici incontrati al Kundaluna, il giorno dopo vago per casa in cerca della voglia di vivere e scendo le scale di traverso come le nonne esclamando “oppalà” ad ogni gradino, quello dopo ancora vado a scalare in Grignetta al mattino e la sera mi ritrovo in macchina in direzione Pale di San Martino.
Ma di questo parleremo nelle prossime puntate…
Certo che prenderne di più lontane di vie, in Valle, sarà davvero dura.