La Bessanese declinata al femminile

di Maria Giangoia
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 19 novembre 2024)

Nelle Valli di Lanzo l’Uja di Bessanese 3620 m – dove “Uja” in patois Francoprovenzale vuol dire “ago”, “punta” – domina imponente la testata di due valli: la Val d’Ala ad est e sul versante opposto la Valle d’Avérole (Savoia, Francia), dove si trova il villaggio di Bessans, da cui ha preso il nome.

Si eleva ardita ed elegante sulla cresta di confine, fra il Colle d’Arnas ed il Colle della Bessanese. La cima è costituita da una stretta ed affilata cresta rocciosa lunga circa 150 metri, culminante al centro con il segnale Baretti 3620 m, ai lati e poco più bassi si ergono il segnale Tonini a sud ed il segnale Rey a nord.

La dimostrazione della popolarità di cui gode questa montagna, sia sul versante italiano che sul versante francese, per l’Italia è data dal fatto che dai primi alpinisti frequentatori delle montagne delle Valli di Lanzo, nella seconda metà del 1800, essa ebbe il nome di Cervino di Val d’Ala, mentre in Francia la canzone “La Bessanèse” è stato l’inno ufficiale, insieme a La Marsigliese, cantato domenica 23 febbraio 1992, nel corso della cerimonia di chiusura dei Giochi olimpici di Albertville.


Versante est dell’Uja di Bessanese 3620 m

La strada che le donne hanno percorso per scalare le montagne è stata molto impegnativa e piena di ostacoli. Prima ancora di affrontare le difficoltà tecniche delle scalate, hanno dovuto vincere i pregiudizi di una società maschilista e patriarcale che le voleva relegate al solo ruolo domestico, dedite alla cura della casa e dei figli. In Italia, fino al 1919 fu in vigore il Codice napoleonico, in base al quale le donne dovevano avere “l’autorizzazione maritale” per effettuare qualunque operazione economica o giuridica, erano considerate inferiori agli uomini sia fisicamente sia intellettualmente, dovevano obbedienza al marito, non potevano guadagnare un salario autonomo e, se nubili, i loro diritti erano estremamente limitati.

Le pioniere dell’alpinismo, come i loro colleghi maschi, appartenevano alle classi agiate ed erano sempre parenti di alpinisti, condizione indispensabile, che permetteva loro di non dover affrontare troppe opposizioni familiari ai propri progetti. Le prime esploratrici delle vette delle Valli di Lanzo non fecero eccezione, furono spesso le sorelle o le mogli di alpinisti.

I commenti che accompagnarono le prime scalatrici agli inizi dell’Ottocento furono critici, denigratori e sarcastici. Con gli anni la situazione migliorò leggermente, infatti le relazioni delle ascensioni pubblicate sui periodici del Club Alpino Italiano (fondato nel 1863) non contenevano critiche esplicite, ma evidenziavano la partecipazione femminile utilizzando il carattere corsivo e specificando che si era trattato di “ascensione di signora” o “signorina”, inoltre enfatizzavano sempre l’aiuto che era stato necessario dare alle donne affinché riuscissero a completare l’impresa, aiuto di guide, portatori e compagni di scalata, come a sottolineare che senza l’assistenza maschile le donne non sarebbero potute arrivare in cima. Agli inizi le donne alpiniste erano una esigua minoranza, e ancora più scarse erano le relazioni di ascensioni scritte da mano femminile, ma le poche testimonianze disponibili si distinguono per lo sguardo diverso rivolto alle montagne, come appare nella relazione di Giuseppina Bertetti Vallino, la prima donna a scalare la Ciamarella il 26 agosto 1873, che tra l’altro scrisse: “L’ascensione della Ciamarella mi sarebbe riescita meno gravosa se io fossi stata vestita con abiti virili o quasi. Le sottane rendono men facile il passo; raccogliendo acqua e neve, diventano più pesanti e rendono molto molesto l’urto del vento. Come a me, serva ora ad altre donne la mia esperienza, che è appoggiata anche a precedenti escursioni [Bollettino del Club Alpino italiano, 1874, vol. VIII, n. 22]”.

Cartoline di fine Ottocento

Anche l’abbigliamento fu quindi una ulteriore difficoltà, i primi cambiamenti avvennero indossando i pantaloni sotto la gonna, gonna che veniva poi tolta alla base della scalata, per limitare la portata del gesto scandaloso. Presto i pantaloni furono visibili sotto gonne che arrivavano solo al livello delle ginocchia, gonne che vennero definitivamente abbandonate alla fine dell’Ottocento.

La Bessanese aveva fama di montagna invincibile, trascorsero infatti sedici anni tra l’ascensione di Antonio Tonini nel 1857, che si arrestò a pochi metri dalla vetta e la conquista di Martino Baretti nel 1873. Si doveva però aspettare fino al 1895 per vedere la prima donna sulla cima della montagna che con il suo particolare profilo caratterizza il panorama dell’intera Val d’Ala ed è il simbolo di Balme. Fu Emilia Semeria Boyer la prima a raggiungere la cima, il 26 agosto 1895.

La Bessanese vista da est

Emilia Semeria Boyer, nata nel 1866 a Nizza Monferrato (Asti), fu una grande alpinista. La sua ascensione alla Bessanese fu così descritta:

1a ascensione di signora. — I soci della Sezione di Torino, Cesare Grosso ed Ernesto Boyer colla sua signora Emilia, lasciato il rifugio Gastaldi alle 5 del 26 agosto salirono alla Bessanese per la cresta Nord, raggiungendo il segnale Baretti alle 13 e quello Tonini alle 13.20. Dopo un’ora di fermata, discesero per la via del Colle d’Arnas al Rifugio, dove giunsero alle 18.45 e quindi a Balme alle 21.45. – Guide: Antonio Bogiatto di Balme e Claudio Perotti di Crissolo; portatori, il figlio di Bogiatto e Antonio Castagneri di Balme [Rivista mensile Club Alpino Italiano 1895, vol. XIV, n. 9, settembre]”.

Al centro la cresta nord (o cresta Rey) della Bessanese vista da nord. Prima ascensione: Guido Rey con Antonio Castagneri, 2 settembre 1889 (diff. PD con passaggi di III)

Sappiamo che arrivata al segnale Baretti, Emilia vi appose una bandiera:

Dicemmo già che avevamo afferrato la cresta al segnale nord di Rey; ne tocchiamo bentosto il secondo, dal quale salutiamo quasi a livello il segnale Baretti su cui una rossa bandiera sventola gettando una nota gaia in quell’ambiente severo. È un gentile ricordo di un’ardimentosa alpinista che ci ha colassù preceduti”.

A sinistra la cresta nord della Bessanese vista da ovest

La signora Boyer aveva pochi giorni prima fatto la traversata della punta dalla cresta nord a quella sud, e Bogiatto si ringalluzziva ancor tutto pensando ch’era toccato a lui l’onore di guidare la prima signora sulla Bessanese [Ettore Canzio, Nicola Vigna, La Bessanese, prima ascensione per la parete nord-est, Rivista mensile Club Alpino Italiano 1896, vol. XV, n.1, gennaio]”.

Le pagine dedicate all’ascensione di Emilia Semeria Boyer sul libretto della guida Antonio Boggiatto [Archivio Alpinistico, Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna – CAI Torino]

Dopo l’ascesa alla Bessanese, la guida Claudio Perotti invitò Semeria Boyer e il marito ad aprire con lui una nuova via al Visolotto per la parete e la cresta est:

L’intraprendente guida Claudio Perotti di Crissolo, che da parecchi anni accarezzava l’idea di tentare questa nuova via, mentre accompagnava il nostro collega Ernesto Boyer e la sua signora nella traversata dalle Bessanese, ebbe campo di apprezzare le qualità alpinistiche di questa coppia, così unita anche sulle vette più ardue: e lanciò la sua proposta, che venne subito accolta con entusiasmo [Rivista mensile Club Alpino Italiano 1896, vol. XV, n.4, aprile]”.

Visolotto 3348 m, parete est. La variante, codificata “nb” nella foto, è stata aperta il 22 settembre 1895 da Emilia Semeria con Ernesto Boyer, Adolfo Sacerdote, Claudio Perotti, Domenico Putto e Giovanni Meirone (diff. AD +). Foto da Monte Viso. Alpi Cozie meridionali, Guida dei monti d’Italia (CAI – TCI).

Nello stesso anno salì, di nuovo come prima donna, Punta Corna (Val di Viù) e la relazione mise in evidenza il suo valore:

Le guide, e specialmente il Re-Fiorentin, si portarono in modo lodevole, e seppero pure usare i riguardi e le cortesie che si debbono ad una signora, per quanto questa, coraggiosa ed ardita, non abbia fatto notare la sua presenza che per destare l’ammirazione di tutti [Rivista mensile Club Alpino Italiano 1895, vol. XIV, n. 10, ottobre]”.

Oltre alle ascensioni già citate, ricordiamo che nelle Valli di Lanzo salì anche l’Uja di Ciamarella e la Torre d’Ovarda. Emilia Semeria Boyer morì l’11 giugno 1909 a Torino.

Dopo l’ascensione di Semeria Boyer dovettero passare sette anni prima di vedere nuovamente una donna sulla Bessanese, nell’agosto 1902. La cronaca di questa scalata è veramente scarna, non conosciamo il nome dell’alpinista ma solo la sua iniziale, si trattava di C. Cazzani:

Bessanese colla signorina C. Cazzani e i signori S. Ferrucci, G. Gallico, A. Lovera. Portatori: Titta Castagneri e Luigi Bricco”.

Nello stesso mese di agosto Cazzani salì anche l’Albaron di Savoia. Sicuramente effettuava le sue ascensioni senza la compagnia di un marito o di un fratello, poteva essere una delle prime donne a praticare l’alpinismo in autonomia. Non sappiamo se ci fosse una parentela con qualcuno dei partecipanti, in ogni caso si tratterebbe di una parentela meno stretta, un segnale decisamente positivo.

Una delle prime riproduzioni della Bessanese. Disegno dal vero di Edoardo Francesco Bossoli [Bollettino del Club Alpino Italiano, 1874, vol. VIII, n. 22]

Il 6 agosto del 1903 Ottavia Dumontel fu la prima donna a raggiungere la vetta senza guide:

Senza guide. Salita per la “via Sigismondi”: ore 5 dal rifugio Gastaldi. Discesa per la solita via e il Colle d’Arnas a Balme. Colla signorina predetta. La via Sigismondi non offre difficoltà di prim’ordine, ma è pericolosa per le pietre nella doppia traversata che si fa del canalone Balduino, e specialmente quando si raggiunge la via solita sotto il segnale Tonini, sovratutto poi se, come nel nostro caso, altre comitive si trovano contemporaneamente sulle rocce del predetto segnale [Giacomo Dumontel, Rivista mensile del Club Alpino Italiano 1903, vol. XXII, n. 12, dicembre]”.

Ottavia Dumontel soggiornava abitualmente nella sua casa a Balme, con la famiglia e il fratello Giacomo, che condivideva con lei la passione per l’alpinismo.

La Bessanese, versante orientale, e il rifugio Gastaldi

Le donne cominciarono a scalare la Bessanese sempre più frequentemente, il 31 luglio 1904 fu il turno di Ottavia Boido:

La Bessanese per la “via Sigismondi” con discesa per la cresta Nord. Colla sorella signorina Ottavia Boido e il fratello Cesare. Guida Michele Bricco, portatore Pancrazio Castagneri [Giuseppe Boido, Rivista mensile del Club Alpino Italiano, 31 Dicembre 1904, vol. XXIII, n. 12]”.

Sono rare le fotografie scattate da donne in quel periodo, ma abbiamo la Bessanese fotografata dall’alpinista Maria Cibrario, che la salì nel 1911. Lo scatto è stato fatto dalla Punta d’Arnas.

Al centro la Bessanese, versante meridionale (Rivista del Club Alpino Italiano, 1911, vol. XXX, n. 1, gennaio)

Le trasformazioni che avvenivano nella società italiana di quegli anni, unite alle battaglie che le donne fecero per il riconoscimento dei propri diritti, portarono ad un cambiamento, seppur lento, anche nella rappresentazione dell’alpinismo femminile. Una prova evidente si ha nel leggere la relazione dell’ascensione alla Bessanese effettuata da Rosalina De Bernocchi il 24 luglio 1907:

Bessanese 3632 m. Prima ascensione di una signorina per la via Nerchiali. – Si era stabilito di tentare la Bessanese passando per la via Nerchiali, che mai nessuna donna aveva percorsa; onde Francesco De Bernocchi insisteva calorosamente che la gita con tale itinerario si eseguisse al più presto, lieto che la signorina Rosalina De Bernocchi, sua cugina, riuscisse a compierla”.

La descrizione del momento in cui la comitiva raggiunse la cima è particolarmente interessante per la sottolineatura del valore alpinistico di una donna:

In quel momento ognuno si sentiva pienamente felice! Ond’è che la signorina esclamò: «Io antepongo questa soddisfazione, questa beatitudine a tutto il mondo!» Gli altri, sebbene esternassero meno l’emozione, non ne erano punto scevri. E se l’energia fisiologica fosse pari a quella psichica, nessuno mai più si sarebbe mosso di là. L’ultima a distogliersi da quella contemplazione fu la signorina, che, là ritta sul punto supremo della Bessanese, non batteva palpebra, pareva fuori dal mondo. Sentiva, come ella stessa si espresse più tardi, un’ebbrezza celestiale di gaudio indefinibile, gustava in quel supremo istante la gioia conscia di essere la prima del suo sesso la quale aveva per la via Nerchiali raggiunta la vetta della Bessanese, avendo superato da sola ogni ostacolo, senza che neppure una volta la guida avesse dovuto darle qualsiasi aiuto né durante la salita, né durante la discesa. Che si compì per la via Sigismondi”.

Parete est della Bessanese. La via Nerchiali (diff. II e III) è la 301m mentre la Sigismondi (diff. I e II) è la 301q. Foto da Alpi Graie meridonali, Guida dei monti d’Italia (CAI – TCI).

Le imprese delle alpiniste non erano più azioni da deridere o stravaganze di singole donne comunque bisognose dell’aiuto maschile, il cambiamento in atto diventa evidente nella frase che chiude la relazione sull’ascensione:

Veda adunque ognuno con quanta ragione le signore villeggianti di Ala, encomiando la signorina Rosalina De Bernocchi, la proponessero a modello e soggiungessero, additandola alle proprie bambine: «Fra qualche anno anche voi farete consimili escursioni, dalle quali anche voi acquisterete quel colorito, quell’agilità di movenze, quella dignità di portamento, la quale, mentre aggiunge grazia alla persona, impone assoluto personale rispetto!» [D. Brignolo, Rivista mensile del Club Alpino Italiano, 1907, vol. XXVI, n. 12, dicembre]”.

Le conquiste femminili della Bessanese continuarono ad intensificarsi, le donne iniziarono a praticare l’alpinismo con una maggiore autonomia, nel 1909 abbiamo la prima notizia di due donne presenti in una ascensione:

Ferreri dott. Giulio (Sez. di Torino). – […] Bessanese, con le signorine Ada Ferrero ed Elvira Cavalchini [Rivista del Club Alpino Italiano, 1910, vol. XXIX, n. 4]”.

Cristina Silvetti nel 1977 (La Stampa, 20 agosto 1977)

Dopo quindici anni dalla prima salita femminile alla Bessanese troviamo la prima donna che nel 1910 la salì da sola, senza guide né portatori: fu Cristina Silvetti, della Sezione di Torino del CAI. Silvetti ripeté l’impresa anche l’anno successivo, sempre senza guide né portatori [Club Alpino Italiano Rivista mensile, 1912, vol. XXXI, n. 4, aprile].

Cristina Silvetti, nata nel mese di maggio del 1887, era una villeggiante abituale di Ala di Stura, dove trascorse tutte le estati fino ad oltre novant’anni. Era una valente alpinista, tra le sue numerose ascensioni ricordiamo: il Gran Paradiso, l’Uja di Mondrone per la parete Nord, il Castore, il Polluce, la Grivola, l’Herbetet, il Lyskamm occidentale e orientale, la Rheinwaldhorn, il Bianco. Nel 1913 effettuò la prima traversata femminile in un solo giorno dall’Albaron di Savoia, punta Chalanson, piccola Ciamarella arrivando alla Ciamarella.

Uja di Mondrone 2964 m, parete nord

Fu anche un’abilissima sciatrice, distinguendosi in numerose ascese invernali con gli sci, e partecipando vittoriosamente alle prime gare femminili di sci di velocità. Amava raccontare di essere salita al rifugio Gastaldi più di cinquanta volte, l’ultima delle quali all’età di ottantotto anni. Fu sempre attiva nel CAI, ricevendone una speciale medaglia nel 1978 perché socia da settant’anni e facendo ancora una donazione per il Museo Montagna nel 1983.

Molti altri piedi femminili da allora sono arrivati sulla cima della Bessanese, da tutte le vie, contribuendo ad allungare la strada che le donne hanno percorso sulle montagne. Ma il cammino, sia sulle montagne sia nella società, non è terminato e la vetta della parità di genere non è ancora raggiunta.


Bibliografia e sitografia
Camilla Ravera, Breve storia del movimento femminile in Italia, Editori Riuniti, 1978.
La Stampa, 20 agosto 1977.
Antonio Boggiatto, Libretto di guida 1889-1906.

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1 Comments

  1. says: Carlo Crovella

    Bell’articolo, ben scritto, bella ricerca bibliografica, belle foto. soprattutto belle storie. Complimenti.

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