Perché ci sono persone a cui non piace viaggiare?

Viaggiare apre grandi prospettive e può essere molto benefico. Ma che dire di coloro che non vogliono o non amano queste esperienze? Qual è la loro personalità? Scopritelo in questo articolo.

Perché ci sono persone a cui non piace viaggiare?
a cura della redazione di lamenteemeravigliosa.it
(pubblicato su lamenteemeravigliosa.it il 3 ottobre 2023)

Se solo qualche decennio fa viaggiare era un lusso per gran parte della popolazione, oggi questa attività è l’hobby preferito di milioni di persone e un vero e proprio stile di vita per molti altri. Tuttavia, in alcuni questa possibilità non è allettante, anche se hanno il tempo e il denaro per farlo. Cosa hanno di speciale le persone a cui non piace viaggiare? Esploriamo la risposta.

Se sei un appassionato viaggiatore, potresti non capire come qualcuno rifiuti l’opportunità di uscire dalla routine, scoprire nuove culture e vivere innumerevoli avventure. D’altra parte, se sei uno di quelli che non sono attratti dai viaggi, potresti esserti sentito messo in discussione, giudicato o discriminato in più di un’occasione.

In realtà entrambe le posizioni sono ugualmente valide e lecite, ma l’opzione prescelta fornisce alcune informazioni sulla persona; ve ne parleremo di seguito.

Perché non mi piace viaggiare?
Viaggiare è un trend in crescita e il turismo continua ad aumentare: questo è un dato di fatto. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale del Turismo (UNTWO), nel 2018 sono stati 1.400 milioni i turisti che si sono spostati da un paese all’altro in cerca di nuove esperienze.

Data questa prospettiva, rifiutare un viaggio può farti sembrare “strano” o “noioso” agli occhi di chi ti circonda, tuttavia è tutta una questione di personalità. Vediamo perché.

Tendenze nativiste
Nell’essere umano coesistono due tendenze: una in cui prevale il conosciuto, la regolarità e l’omologazione (nativista) e un’altra che cerca l’avventura, la novità e la rottura della routine (turismo). Entrambi coesistono in tutti noi e si alternano, ma la verità è che in ognuno c’è una tendenza predominante.

Tradizione, routine e sicurezza
Coloro che rifiutano i viaggi tendono ad essere più tradizionalisti, apprezzano la routine e cercano di avere un certo controllo sul proprio ambiente, in quanto ciò fornisce loro sicurezza. Ma da dove nasce questa esigenza? Ebbene, come suggerisce un articolo pubblicato sull’E-Review of Tourism Research, questo verrebbe addirittura dai primi anni dell’infanzia.

Seguendo la famosa teoria dell’attaccamento di Ainsworth e Bowlby, il bambino, nella relazione con i suoi principali caregiver, sviluppa una particolare visione di sé e del mondo che lo circonda. E, nello specifico, coltivare un maggiore o minore senso di sicurezza.

Pertanto, i minori che stabiliscono un attaccamento insicuro tendono a sentirsi più timorosi, a disagio e angosciati quando sono lontani da casa rispetto a quelli che godono di un attaccamento sicuro.

Trasferendolo alla vita adulta, questo spiega perché c’è chi ama fare un viaggio e chi no. Ed è che la percezione del rischio nelle persone a cui non piace viaggiare è molto più alta.

Intolleranza all’incertezza
Oltre a quanto sopra, non possiamo dimenticare che un viaggio presuppone sempre una rottura con ciò che è familiare e conosciuto. Questo dipende da molte variabili: la lingua della destinazione, la sua compatibilità con il viaggiatore, le informazioni pregresse che si possiedono… Ma, in ogni caso, riporta sempre un grado di incertezza più o meno elevato.

Per alcune persone non è un problema ed è, invece, rinfrescante e stimolante. Tuttavia, in altri, piccoli imprevisti, cambiamenti, aree sconosciute ed elementi al di fuori del loro controllo sono torture.

Per coloro che hanno una bassa tolleranza per l’incertezza, non essere consapevoli di così tanti aspetti di come sarà il loro viaggio quotidiano o di come verrà risolto è una ragione più che sufficiente per non sentirsi chiamati a viaggiare.

Apertura all’esperienza
Infine, c’è un aspetto della personalità che è fondamentale quando si tratta di determinare perché ad alcune persone non piace viaggiare, è l’apertura all’esperienza. Questo è uno dei tratti della personalità dei Big 5 descritti nel modello di Costa e McCrae, che si riferisce alla tendenza ad essere fantasiosi, di mentalità aperta, curiosi e attratti dalla novità e dalla varietà di esperienze.

Quando qualcuno ottiene un punteggio basso in questo aspetto, è più convenzionale e conservatore, sentendosi più a suo agio in ambienti familiari e con persone familiari. Pertanto, la loro curiosità e interesse per i viaggi sono ridotti.

Le persone cui non piace viaggiare da sole stanno facendo una scelta
Insomma, non c’è niente di sbagliato nelle persone a cui non piace viaggiare. La loro decisione non è necessariamente dovuta al fatto che sono individui timorosi, ma piuttosto perché danno priorità e apprezzano la stabilità, ciò che è familiare e il proprio territorio.

Se vogliono avventurarsi più del solito e approfittare dei vantaggi del viaggio, è positivo per loro conoscere in anticipo informazioni utili sulla loro destinazione, pianificare in dettaglio o tornare in luoghi che già conoscono.
Ma ricordiamoci che viaggiare o non viaggiare è una scelta puramente personale.

Il commento
di Carlo Crovella

Neppure da piccolissimo ho mai sofferto di paure, né di timore per le incertezze della vita, ma ciò nonostante non mi è mai particolarmente piaciuto viaggiare: la correlazione fra i due fenomeni è l’unico riferimento dell’articolo proposto in cui non mi riconosco pianamente.

Tendenzialmente non concepisco il concetto di “viaggio”, al massimo ragiono in termini di “spostamento”: mi sposto in un luogo per un obiettivo specifico (fare una via di arrampicata, visitare un museo, incontrare una persona, ecc.). La scarsa propensione a viaggiare appartiene alla tradizione piemontese e torinese nello specifico (non a caso ci chiamano bougianen. “Buogese” in dialetto significa muoversi, la “s” si pronuncia dolce), ma non è totalizzante neppure fra di noi. Esistono fior di piemontesi/torinesi che hanno scorrazzato in lungo e in largo per il globo e, fra gli appassionati nostrani di alpinismo/arrampicata/scialpinismo, ce ne sono moltissimi che sono saliti sulle montagne e sulle pareti di ogni continente.

Quindi, come sempre, è tutto relativo: forse un po’ dipende dalle tradizioni familiari che si apprendono in tenera età. In questo articolo, che descrive alcune caratteristiche di base dei “non viaggiatori”, si fa riferimento a paure e attaccamento alle figure genitoriali, ma ripeto che è non un elemento che mi sia mai appartenuto. Per ragioni troppo lunghe da raccontare, fin da piccolo sono stato abituato a essere autonomo e a sapermi organizzare, altro che dipendere da un caregiver!

Piuttosto avrò assorbito i cliché tipici della mia famiglia. Per esempio mio padre ripeteva spesso: “Che bisogno c’è di andare al mare, basta guardare il Po per il lungo”. C’è da dire che, quando lui era ragazzo, erano attivi dei veri stabilimenti balneari sulle spiagge ciottolose del nostro fiume, al limitare della città.

Che invece la tradizione a viaggiare con la fantasia sia prerogativa di una certa impostazione torinese lo prova l’esempio storico di Emilio Salgari che, limitandosi a passeggiare sulle rive del Po, ha descritto a meraviglia e con particolare competenza le isole della Malesia oppure le navi corsare nei mari caraibici oppure ancora le carovane dei pionieri nel Far West fra gli attacchi degli indiani.

Quindi non è fuori luogo, per certi torinesi, parlare di bougianen. Per decenni il cliché tipico del borghese subalpino è stato: città nei mesi lavorativi, poi mare ad Alassio e montagna in Val di Susa (estate e inverno). Se non era Alassio, poteva esser Bordighera o Loano, e, al posto di Bardonecchia, era Sestrière o Courmayeur o mille altre località, ma nei paraggi. Per due-tre generazioni, ampie schiere di torinesi hanno sostanzialmente vissuto nel triangolo Torino-Liguria-Valli occidentali.

Col tempo questo triangolo si è relativamente allargato e già nella generazione precedente alla mia gli appassionati di alpinismo/arrampicata/scialpinismo hanno iniziato a spaziare dalle Calanques al Monte Bianco, da Finale al Vallese. Non sono mai mancate puntate esterne, come in Dolomiti, ma c’è sempre stata una certa inerzia. Oggi piuttosto ci si reca in Sardegna e in Corsica, abbinando giornate sulla roccia ad altre di mare.

Ovviamente non mancano, neppure in terra sabauda, illustri esempi di un approccio diametralmente opposto, da Piero Ghiglione e Giorgio Daidola, allo speleologo Andrea Gobetti che si è intrufolato nelle grotte di mezzo mondo. Ma il concetto chiave è che si tratta di preferenze esclusivamente individuali, che nulla hanno a che fare con la validità delle persone in quanto tali.

I non viaggiatori (io sono sicuramente fra questi) non amano uscire dai loro tipici riferimenti e indirizzano le loro priorità verso altri interessi rispetto al viaggiare: la famiglia, il lavoro, la cultura, l’impegno civico o addirittura politico, lo sport, l’andar in montagna (a stretto giro, ça va sans dire…). Non è assolutamente detto che essere curiosi sfoci esclusivamente nel desiderio di viaggiare, come dimostrerò fra poco. Inoltre se ci si deve barcamenare fra mille impegni e scadenze inderogabili, spesso “scrivere” entra in conflitto con “viaggiare”, perché le due attività si disputano il (in genere poco) tempo libero. Ma anche qui non vige una legge universale: ci sono viaggiatori che, una volta tornati, scrivono attingendo alle esperienze accumulate nei loro viaggi e, viceversa, ci sono altri che, per coltivare l’interesse dello scrivere (ai loro occhi superiore), rinunciano ai viaggi o li limitano strutturalmente.

Per la maggioranza dei piemontesi, il termine bougianen non è affatto negativo. Anzi è un indicatore di fermezza d’animo e di risolutezza caratteriale. Proprio perché si preferisce “stare fermi” (in senso fisico), lo si è anche nelle scelte di vita. Personalmente preferisco pagare il prezzo (che poi per me non è neppure un “prezzo”) di non amare i viaggi e, viceversa, avere da sempre una personalità “ferma e risoluta”. Mi è servita molto nella vita, sia nei rapporti con gli altri che nell’affrontare le difficoltà della vita stessa: il mio modo di pormi verso l’esistenza non sarebbe così se io non avessi, come caratteristiche di base, la fermezza e la risolutezza. E questo non ha prezzo.

Infine i viaggiatori vagheggiano, a sostegno della loro preferenza, la bellezza del conoscere in prima persona luoghi lontani, popoli diverse, culture differenti. Non lo si può contestare, ma io affermo che in realtà chi viaggia lo fa per un “suo” piacere personale più che per raggiungere davvero questi obiettivi. Al di là del citato riscontro storico di Salgari, nella società tecnologica in cui viviamo non è più necessario recarsi fisicamente in luoghi lontani per conoscerli a fondo e per apprendere la cultura che li contraddistingue. Oggi c’è una schiera immensa di opportunità (TV, internet, DVD, podcast, ecc. oltre agli strumenti tradizionali come libri, articoli, riviste…) per cui si possono apprendere queste conoscenze senza spostarsi dal divano di casa propria.

Spesso mi è capitato di confrontarmi con persone che sono state in determinati luoghi e ho verificato che il viaggiatore medio ha scarsa capacità di apprendimento, forse perché “distratto” dalle emozioni del viaggio e, soprattutto, dai mille contrattempi (ritardi, scioperi, furti, costi, fastidi, puzza…). In genere si impara molto di più se si studiano a fondo i paesi lontani stando nella tranquillità di casa propria. Mi è anche capitato di interfacciarmi con viaggiatori “raffinati” e mi sono accorto che, parlando di paesi da loro visitati e da me conosciuti solo dal divano, ho retto la conversazione: in pratica essi non si sono accorti che io non ho personalmente visitato quei luoghi.

Il tema quindi è aperto a ogni preferenza. La mia conclusione coincide sostanzialmente con quella dell’articolo: viaggiare molto o viaggiare poco/non viaggiare del tutto è una scelta esclusivamente personale e non implica un giudizio positivo o negativo sul valore della persona. Io non ho mai né disprezzato i viaggiatori né ho impedito loro di viaggiare: sono liberissimi di farlo. Mi ergo però a strenua difesa, “ferma e risoluta”, della mia preferenza per il viaggiare poco/non viaggiare, pur essendo una persona molto curiosa e ricca di conoscenze anche sui paesi lontani da casa mia.

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2 Comments

  1. says: Cla

    Come diceva qualcuno: “viaggiare è il paradiso degli sciocchi”.
    Viaggiare oggigiorno è solamente turismo, omologazione, routine. Avventura proprio 0, c’è più avventura nel prendere la Metro a Milano o Roma.
    Viaggiare è eseguire un ordine che ci vuole compratori di viaggi aerei e pernottamenti in hotel e beb.
    Viaggiare è l’overturism nei grandi centri turistici, tutti li e tutti insieme.
    Se voglio conoscere nuove culture, vado nella piazza del mio paese, a km 0 ci sono tutte le nazionalità, basta che mi metto a parlare con loro.
    Se vuoi essere veramente alternativo, stai a casa e fai l’orto.

  2. Ho viaggiato tanto conoscendo il mondo. Ora sto a casa e faccio l’orto ma un paio di volte l’anno riparto comunque.
    La mentalità che si sviluppa non viaggiando del tutto è molto limitata. Crovella ne è l’esempio più eclatante.
    Come in ogni cosa una giusta via di mezzo è forse la soluzione migliore.

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