Turismo cafone – 4

Dopo i camperisti nudi che si cambiano in centro a Cortina e i casi di abbronzature in mutande a Padova, arriva la richiesta di misure più dure. Il sì di Federalberghi. Ma c’è chi frena: «Eccessivo».

Daspo * per chi non rispetta i luoghi
(il presidente Zaia si infuria: «Ora basta»)
di Martina Zambon
(pubblicato su corrieredelveneto.corriere.it il 27 agosto 2025)

L’album fotografico dell’estate ormai agli sgoccioli rischia di restituire un Veneto ben diverso da quello della scintillante narrazione di «prima regione turistica d’Italia». Si tratta di istantanee innegabilmente trash in cui il «nudismo» noncurante la fa da padrone. Eclatante il caso dei turisti che si lavano o si cambiano accanto al «furgone camperizzato» in pieno centro a Cortina d’Ampezzo.

Così il presidente della Regione Luca Zaia invoca il Daspo urbano per i «turisti cafoni». A dire il vero, un provvedimento simile è già previsto, ad esempio, nel regolamento cittadino del Comune di Venezia. Del resto, il capoluogo ha fatto da apripista anche sul fronte del decoro. E il Daspo (o qualcosa che gli somiglia) è stato introdotto contro chi vaga serenamente fra le calli a petto nudo o chi ha preso il Canal Grande (è successo innumerevoli volte) per una piscina da tuffi.

A sinistra, Luca Zaia. A destra, un turista si cambia in una strada di Cortina.

Scene da «spogliatoio» in centro e pannolini sporchi nei piatti
«Il Veneto è la regione dei record nel turismo, ma non può e non vuole diventare terra fertile per il turismo cafone. Non siamo un luna park in cui ognuno fa quello che vuole senza regole» tuona il governatore Luca Zaia. A farlo infuriare sono, appunto, gli ultimi esempi di maleducazione spinta citati poco sopra: «In Prato della Valle a Padova alcuni soggetti si sono messi a prendere il sole in mutande a ridosso delle statue; in centro a Cortina diversi turisti si sono spogliati accanto al loro camper, stendendo i panni sul monumento alle Olimpiadi 1956; a Jesolo ed Eraclea non si contano i bagnanti in tanga o a torso nudo per le strade della città e nei negozi; non ultimo, il gestore del rifugio Talamini a Vodo di Cadore ha lamentato inciviltà da parte di alcuni avventori che hanno lasciato addirittura dei pannolini sporchi nei piatti. C’è un limite a tutto. Noi accogliamo chi porta rispetto. Ma a chi pensa di venire qui per fare i propri comodi, per lasciare caos e degrado, diciamo chiaramente che non sarà tollerato. Il Veneto non è e non sarà mai la terra del turismo selvaggio».

Federalberghi: effetto collaterale del turismo di massa
Ecco allora il «sì» di Zaia a «strumenti normativi che prevedano anche il Daspo per chi viola il decoro dei nostri luoghi di villeggiatura in modo pesante, ripetuto, e con palese disprezzo degli operatori e della comunità locale». Una linea abbracciata anche da Massimiliano Schiavon, presidente di Federalberghi: «Credo che il turismo che si approccia a politiche di sostenibilità e rispetto ambientale debba considerare anche il rispetto delle comunità ospitanti. Non è nelle nostre corde “evangelizzare” il turista ma le regole per garantire il rispetto luoghi sono doverose. Anche da parte degli operatori ci può essere maggiore sensibilizzazione, rientra nei compiti degli addetti ai lavori. Purtroppo questo è un effetto collaterale dell’overtourism ma l’educazione e il rispetto valgono ovunque e non parlano lingue diverse».

L’assessore di Padova: Daspo? Eccessivo
Più prudente Andrea Colasio, assessore con delega al Turismo di Padova: «Sono più propenso a valutare un approccio sanzionatorio a livello di multe, il Daspo mi pare francamente eccessivo dato che attiene all’ambito dell’ordine pubblico ma qui si parla della pubblica decenza. È come voler uccidere un cardellino con una mitragliatrice, parliamo di uno strumento spropositato rispetto al problema». E Roberta Alverà, vicesindaca di Cortina, è altrettanto prudente: «Purtroppo, la novità di quest’anno sono i furgoni attrezzati a camper, quindi senza servizi a differenza dei camper tradizionali che ci sono sempre stati, che si sono moltiplicati. Li si vede occupare tutte le piazzole di sosta verso i passi ma solo per una notte, poi si spostano. Da qui la difficoltà di sanzionare comportamenti di questo genere. Se restano con lo sportello chiuso non li si può neppure far muovere».

*
Il DASPO (D.A.S.P.O.) è un Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, una misura preventiva introdotta in Italia per contrastare la violenza e il degrado nei luoghi sportivi, che può essere emesso dal Questore o dall’autorità giudiziaria, estendendosi anche ad altri ambiti come il “daspo urbano” contro i corrotti o persone pericolose per l’ordine pubblico.

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    La campionessa di sci Deborah Compagnoni: «Gli stranieri in vetta sono tanti, ma bisognerebbe riscoprire anche la media montagna. Le vacanze ideali? Per me a ottobre, in rifugio o mangiando al sacco».

    Deborah Compagnoni: «In quota non solo per farvi un selfie»
    di Gaia Piccardi
    (pubblicato su corriere.it il 9 agosto 2025)

    È in vacanza sulle Dolomiti, nella zona di Arabba. Non è la sua Santa Caterina Valfurva, in Valtellina, dove la famiglia gestisce la Baita Fiorita, base di partenza delle prime escursioni con i fratelli, Jacopo e Yuri. Però è montagna. Dalla forza dei montiDeborah Compagnoni ha sempre attinto ispirazione nello sci e nella vita. Da lì la campionessa dei tre ori olimpici e mondiali è partita. Lì ritorna anche nell’estate dell’overtourism, il malcostume che Compagnoni smonta pezzo per pezzo.

    Deborah Compagnoni

    Deborah perché quest’anno la montagna è stata presa d’assalto?
    «Il motivo è banale: i social. Ma alla base di tutto c’è la mancanza collettiva di cultura della montagna. Una volta il concetto era: vado per esplorare e trarre benefici dall’ambiente; c’era preparazione, rispetto, quasi un timore reverenziale nei confronti delle vette più leggendarie. Oggi in montagna si va per fare vedere agli altri che si è andati lì, proprio lì. Non ci si prepara, non ci si guarda più nemmeno intorno. Salgono sulle Tre Cime di Lavaredo, fanno una foto da postare, scendono».

    Un po’ triste.
    «Non serve a niente vivere la montagna così».

    A Santa Caterina come va?
    «Un po’ meglio che altrove ma anche da me ci sono due o tre rifugi assaliti, sempre gli stessi. L’overtourism si concentra nei posti più social e popolari. E intorno, magari, ci sono luoghi bellissimi e molto altro da vedere e vivere».

    Il suo modo di frequentare la montagna è cambiato?
    «Proprio per niente. Non mi interessa mettere la bandierina, la faccia, fare il post. Queste attenzioni modaiole mi preoccupano un po’ ma dal punto di vista egoistico per me e la mia famiglia non è cambiato nulla».

    I suggerimenti e le idee per limitare l’assalto alle vette la convincono?
    «Mah, i passi alpini ci sono sempre stati: è inutile chiuderli alle auto. Inizierei a lavorare sulla promozione turistica: spingere la montagna nei periodi non convenzionali potrebbe essere un inizio. Anche l’avvicinamento ai monti va gestito. Una volta gli impianti aperti d’estate erano pochissimi, ma vai a dire al gestore di chiudere ad agosto… Io credo che, a lungo andare, la gente capirà da sola».

    Capirà cosa?
    «Che a furia di code, disagi, attese e affollamento bisogna cambiare posto, o periodo. Le cose torneranno in equilibrio. Qualche regola servirebbe ma le regole, in primis, dobbiamo darcele da soli».

    La sua vacanza ideale?
    «Se posso, vado a ottobre. E sempre dove c’è un rifugio. Ma la montagna non è solo salire in funivia per mangiare al ristorante. Si può andare con la merenda al sacco, fare la gita e tornare indietro. I modi per vivere la montagna in modo più sano ci sono. Basterebbero un po’ di informazioni e di consapevolezza».

    Non se le informazioni le fornisce l’influencer, forse.
    «Rivolgersi alle persone competenti è importante: nessuna guida alpina consiglierebbe di affrontare un sentiero in infradito o un trekking in quota con l’abbigliamento inadeguato. Cultura significa informarsi, chiedersi: perché ho scelto proprio quella montagna? Vedo molta superficialità nelle scelte, invece».

    Intanto, aspettando che l’essere umano rinsavisca, la montagna soffre.
    «Mi unisco al grido di dolore di Federica Brignone: i ghiacciai sono ridotti malissimo, in un mondo in cui ogni luogo è diventato più accessibile la gente arriva dappertutto. Gli stranieri in quota sono aumentati moltissimo. È un bene, in assoluto: certe valli soffrivano, il turismo è ripartito dopo il Covid. Sono ancora in sofferenza le località più basse, a 6-700 metri, dove gli italiani andavano in vacanza cinquant’anni fa. Non sono più di moda. È un peccato: gli accompagnatori di media-montagna conoscono luoghi bellissimi, fuori mano, lontano dai soliti itinerari battuti».

    Una volta in montagna si andava per camminare o sciare. A una purista come lei, le mille attività nate per attirare il turismo piacciono?
    «Nulla in contrario a parapendio, mountain bike, downhill o alle bici elettriche, con cui chiunque ormai scala anche lo Stelvio. Le novità sono tante. Io d’inverno scio o vado con le pelli di foca e d’estate cammino».

    Una vacanza indimenticabile?
    «Tutte le zingarate intorno a casa, a Santa Caterina, quando con i miei fratelli sgattaiolavamo fuori ed esploravamo i dintorni. Le gite belle, oggi, sono quelle che ti restituiscono un’atmosfera: quando, nella semplicità di ciò che fai, riesci a cogliere la bellezza del posto. Non è il luogo, è l’emozione che ti regala. Perché la montagna è bella dentro, prima che fuori».

    Il commento
    di Carlo Crovella

    Detesto l’assioma, tanto caro a certa stampa, per cui si chiede il parere di chi è noto al grande pubblico anche su argomenti che non sono di sua spettanza diretta. Come se valesse a 360 gradi l’opinione di chi ha scritto libri meravigliosi o girato film avvincenti o vinto medagli alle Olimpiadi. Su temi diversi da quelli di competenza, l’opinione di questi VIP conta quanto quella di un qualsiasi cittadino.

    Tuttavia nel caso di Deborah Compagnoni e di come lei veda il problema dell’overtourism in montagna, una piccola eccezione mi sento di farla: è nativa delle montagne, per cui vede il problema con l’ottica dei valligiani, e inoltre riporta un’opinione in più rispetto alle recenti polemiche estive, maggiormente baricentrate sulle Dolomiti. Il che significa, innanzi tutto, che questi problemi non sono pertinenza esclusiva dei Monti Pallidi.

    Devo però metter le mani avanti: che sia davvero l’effetto social la sola causa dell’ingente afflusso di cannibali verso le montagne non mi convince pienamente. L’effetto social è deleterio e sicuramente è una novità strutturale rispetto ai decenni lontani. Tuttavia alla base c’è un clima ideologico generale che, a mio parere, è la vera causa: il lassismo comportamentale, che a sua volta si innesca sul concetto che ognuno ha il diritto di fare tutto quello che vuole, in ogni risvolto della sua esistenza.

    Nelle generazioni più giovani della mia sono saltati i freni educazionali che innescavano l’autocontrollo individuale. È un problema che va ben oltre l’eccesso antropico in montagna, perché infesta letteralmente tutta la società attuale, con esempi quotidiani in qualsiasi settore.

    Certo è che tale fenomeno produce dei danni oggettivi alle montagne e una qualche soluzione occorrerà trovarla. Meglio “prima” che “dopo”.

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    1 Comments

    1. says: bruno telleschi

      Tuttavia ai moralisti preferisco i cafoni. I giornalisti che censurano le foto dei nudi integrali stanno dalla parte dell’inquisizione medievale.

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