Turismo cafone – 6

Giovanni Goldoni ha lasciato un contratto a tempo indeterminato e da tre anni lavora come pastore nella zona del Parco naturale Adamello-Brenta: «È sempre peggio, c’è chi pensa di essere in un grande parco giochi o allo zoo».

Gli alpeggi «assediati» dai turisti cafoni
(sassi contro i cani del pastore, stalle usate come latrine e mucche scacciate per un picnic)
di Tiziano Grottolo
(pubblicato su corrieredel trentino.corriere.it il 22 agosto 2025)

Se all’inizio dell’Ottocento la montagna era frequentata quasi esclusivamente dalle comunità alpine — pastori, contadini, cacciatori e boscaioli — in un arco di tempo relativamente breve questo ambiente ha vissuto una trasformazione drastica. Per molte località si è trattato di una vera e propria conversione legata soprattutto al turismo, che da fenomeno elitario è diventato di massa grazie al boom dello sci degli anni ‘70 e ’80. Tuttavia, nel post-pandemia, è arrivata una vera e propria consacrazione della vacanza outdoor, magari mordi e fuggi. Sicché, oggi, i pastori sono stati soppiantati da orde di turisti alla ricerca del selfie perfetto.

Il pastore
In questo senso, Giovanni Goldoni — 32enne originario di Padova — rappresenta sicuramente un’anomalia: dopo aver lasciato un contratto a tempo indeterminato come corriere di Amazon, ha scelto la via del pastore. Da tre anni lavora tra gli alpeggi che si trovano nella zona del Parco naturale Adamello-Brenta. Nel frattempo, studia Scienze naturali all’Università di Modena. Eppure, come ha potuto toccare con mano lui stesso, i pastori che ancora portano avanti questa attività devono confrontarsi quotidianamente con i turisti. Inoltre, con i grandi numeri aumentano le possibilità di incontrare pure i maleducati. «Devo dire che nel corso degli ultimi anni ho notato dei peggioramenti — spiega Goldoni — in pochi tengono i cani legati mentre al pascolo trovo fazzoletti e immondizia nuova ogni giorno. Qualcuno ha anche il coraggio di rispondere con tono provocatorio». Eppure, mozziconi di sigaretta e avanzi del pranzo non sono nemmeno tra le cose peggiori. «C’è chi entra nella stalla spaventando le mucche solo per scattarsi un selfie da postare su Instagram, altri usano le stalle come se fossero latrine. Un gruppetto di turisti ha scacciato le mie mucche con un bastone solo per fare spazio per un picnic».

Cartelli e divieti
Per tutelare i suoi animali, Goldoni ha dovuto piazzare dei cartelli per vietare il passaggio nelle vicinanze della stalla. «Non tutti li rispettano: c’è chi, persino quando viene ripreso, continua come se nulla fosse». Spesso i sentieri che attraversano i pascoli sono delimitati da alcuni cancelli che possono essere facilmente aperti dagli escursionisti, ma servono per impedire il passaggio degli animali al pascolo. «L’anno scorso — ricorda Goldoni — uno di questi cancelli è stato distrutto apposta, altre volte gli escursionisti di passaggio si dimenticano di chiuderli e così le mucche scappano».

I cani in montagna
Capitolo a parte riguarda la gestione dei cani in montagna, troppo spesso portati senza guinzaglio. «Capita che i cani lasciati liberi spaventino le mucche che si mettono a correre rischiando di ferirsi. Poi bisogna considerare che ci sono anche i miei cani da conduzione che mi aiutano nel lavoro. A un collega — aggiunge il pastore — alcuni turisti hanno preso a sassate i suoi cani perché si erano messi ad abbaiare, una cosa da denuncia».

Non solo cafoni
Fortunatamente, i turisti cafoni restano comunque una minoranza. «È giusto anche dire che non tutti si comportano male, c’è anche chi è pronto a dare una mano: un giorno stavo cercando una vitella che si era persa e degli escursionisti mi hanno aiutato a ritrovarla. Oppure, c’è chi riporta a valle l’immondizia e raccoglie persino quella lasciata da altri». Il problema sta quasi sempre nell’approccio. «Alcuni turisti credono di trovarsi in un grande parco giochi o allo zoo — conclude Goldoni — dimenticandosi che ci sono persone che stanno lavorando».
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“Solo dai 10 anni in su, per avere un ambiente più sereno”.
La rabbia di un papà modenese in vacanza: “Nostro figlio di cinque anni non crea disturbo”, e il sindaco si arrabbia: “Così si compromette l’immagine del nostro territorio”. Ma il titolare si difende: “Non odio i bambini, ma qui volevo un ambiente più sereno”.

Il locale childfree
(a Milano Marittima, “in spiaggia e al bar niente bimbi”)
a cura della Redazione di bologna.repubblica.it
(pubblicato su bologna.repubblica.it il 27 agosto 2025)

Semplice come prenotare un pranzo in famiglia. Ma la prenotazione stavolta si trasforma in un caso. E riaccende il tema dei locali pubblici che si propongono informalmente come “childfree”. Andrea Mussini, papà modenese in vacanza con moglie e un bambino di cinque anni, si è sentito rispondere da uno stabilimento balneare di Milano Marittima: “Non accettiamo bambini”. Una risposta tranchant, che ha suscitato reazioni anche dal mondo politico e sollevato un dibattito nei giorni in cui la Riviera si sta ancora riprendendo dal nubifragio di domenica 24 agosto 2025. “Mangiare fuori è per noi parte integrante della vacanza”, ha raccontato Mussini alla Gazzetta di Modena. “Nostro figlio è tranquillo, educato, abituato a stare a tavola senza creare disturbo, anche in contesti formali come ristoranti stellati”.

Eppure, in uno stabilimento balneare di Milano Marittima, la famiglia si è trovata davanti a un no. Il titolare dello stabilimento ha giustificato la scelta come una precisa linea commerciale, per tutelare la tranquillità dei clienti. “Non è avversione verso i bambini – ha spiegato il gestore – Abbiamo scelto di accogliere bimbi dai dieci anni in su, per garantire un ambiente più sereno e raccolto, sia in spiaggia che al ristorante. Con qualche eccezione per clienti affezionati o in particolari occasioni. Ma proprio per questo motivo non facciamo né compleanni né addii al celibato o nubilato. Di sicuro però non odiamo i bambini”. Dalla politica locale però è arrivata una ferma condanna.

Il sindaco di Cervia, Mattia Missiroli, ha definito la pratica “inaccettabile”. “Un esercizio pubblico – ha spiegato il primo cittadino – deve essere aperto a tutti, bambini inclusi, salvo ragioni specifiche e motivate. Escludere famiglie compromette l’immagine di una destinazione turistica che deve essere inclusiva e accogliente”.

La questione della possibilità di vietare l’ingresso ai bambini nei locali pubblici in Italia è diventata tema di dibattito: in linea generale, un ristorante o un bar non può vietare l’ingresso ai bambini solo per una questione di preferenza o di tranquillità, ma può adottare regole interne per garantire un ambiente più controllato. In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti e la Francia, esistono locali “childfree” che vietano esplicitamente l’ingresso ai bambini, ma in Italia questa pratica non è ancora legalmente riconosciuta.

Nel maggio scorso fece discutere il cartello esposto dal proprietario dell’Osteria del Sole di Bologna, un segnale di divieto a una donna con passeggino. “Non lo sconsiglio certo per motivi commerciali – disse l’oste – ma solo per motivi logistici: lo spazio è ridotto, la gente è tanta, ci si muove in un certo modo e la presenza dei più piccoli può davvero creare dei problemi. Naturalmente non ho niente contro i bambini”.

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I ricercatori che hanno incrociato l’escursionista: «Questa non l’avevamo mai vista». Un video diventato virale scatena la polemica sui social.

Sulla Marmolada con un monociclo elettrico
di Dimitri Canello
(pubblicato su corrieredeltrentino.corriere.it il 16 settembre 2025)

«Questa non l’avevamo mai vista». Un monociclo elettrico sulla Marmolada a oltre 3mila metri di quota in slalom fra gli escursionisti. Di bizzarrie montane le cronache sono piene, ma quanto scoperto da un gruppo di ricercatori del Museo di Geografia dell’Università di Padova, impegnati nella campagna di monitoraggio del ghiacciaio dolomitico, ha dell’incredibile. 

Il dibattito sui social
Le immagini, subito condivise online, hanno scatenato un acceso dibattito: gesto spericolato o nuova disciplina estrema? «Vedo una pista battuta – uno dei commenti più apprezzati sui social – vedo un bell’impianto a fune. Non vedo alcun segno di wilderness. Quella roba che una volta si chiamava montagna è già da tempo un parco giochi, un monoruota è solo l’ultimo tassello di un sistema degenerato». Un altro utente sottolinea: «La montagna ormai è peggio di Gardaland». Ma c’è anche chi attacca l’indignazione degli amanti dei percorsi dolomitici incontaminati: «Trovo veramente assurdi – si legge – i commenti indignati. Alla fin fine non danneggia l’ambiente e il suo mezzo tra l’altro richiede abilità sportive non indifferenti in quel contesto». In realtà il cosiddetto «monoruota offroad» sta trovando spazio tra gli appassionati, sulla scia di chi pratica downhill in bicicletta e, settimana dopo settimana, non è la prima segnalazione di questo tipo che circola sul web. L’episodio, forse più eclatante di altri, è diventato lo spunto per riflettere sull’uso della montagna. 

Comportamenti sempre meno adeguati
Non è la prima volta che si assiste a comportamenti sopra le righe: dai visitatori in ciabatte infradito che richiedono soccorso al Suem, fino a chi cerca adrenalina solo per un video da pubblicare sui social o chi mette a rischio la propria incolumità pubblicando immagini e video durante operazioni che definire spericolate sarebbe riduttivo. L’immagine del monociclo appare insolita, ma è forse meno impattante rispetto a pratiche ormai consolidate, come l’impiego massiccio di ruspe ed escavatori per l’innevamento artificiale. Il problema principale per la Marmolada resta un altro: il cambiamento climatico. I dati raccolti dai ricercatori padovani, come emerso nei giorni scorsi, parlano chiaro, con un arretramento medio del ghiacciaio di sette metri l’anno. Un segnale che mette in ombra le stravaganze dei singoli turisti e ricorda come la vera emergenza sia la tutela di un ecosistema sempre più fragile e a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

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