Il Sahara è una distesa infinita tanto arida quanto affascinante. In Marocco, insieme a Nico Valsesia, ne abbiamo accarezzato i suoi lembi più accessibili
testi e foto di Dino Bonelli

Il deserto in generale e il Sahara, per le sue dimensioni ancor di più, sono l’icona terrestre dell’infinito. Guardando le sue steppe rocciose o le sue dune sabbiose estendersi a perdita d’occhio, si capisce quanto siamo piccoli e impotenti dinnanzi a cotanta arida bellezza. Attraversare un deserto è, da sempre, un gesto spesso accostato al termine Avventura, con quell’A maiuscola a sottolineare le difficoltà e gli imprevisti che accompagneranno l’intero viaggio. Ma l’avventura, questa volta con l’a minuscola, la si può ricercare anche senza per forza dover attraversare un deserto, ma solo andando a penetrarlo nei suoi lembi più accessibili. Uno di questi, nel Sahara marocchino, avvolge Merzouga, una cittadina a 600 km a est dalla più conosciuta e blasonata Marrakech. Qui, con un appuntamento volante, ovvero fissato in quattro e quattr’otto via messaggio, incontro l’amico Nico Valsesia, grande pedalatore di lunghe distanze, sia su strada che in off-road, che ora ha una base logistica, con tanto di noleggio bici, proprio nelle vicinanze di Marrakech, dove organizza tour sportivi di ogni tipo, anche su misura.
Lui, accompagnato dal figlio Santiago, deve fare scouting sulle tante piste che da Merzouga si estendono e diramano in tutte le direzioni. Io, in Marocco per altre ragioni, da grande amante del gravel, colgo l’occasione per accompagnarli nelle loro escursioni conoscitive. Le nostre bici, tutte e tre Cinelli con telaio Hobootleg Geo in acciaio, montano gomme da 29×2.35, belle larghe, sia per assorbire meglio i contraccolpi dei tanti sassi nei tratti più rocciosi, e quindi ridurre il rischio foratura, sia per “galleggiare” più adeguatamente su quelli più sabbiosi.


Le piste sono come rotaie che fluttuano su un misto di terra e pietre, serpeggiando senza fine e senza un’apparente logica di direzione. Talvolta queste piste smettono il loro cammino in un campo dismesso, a volte s’intersecano con tracce simili provenienti da chissà dove, altre volte ancora si congiungono con qualche sentiero minore o qualche strada sterrata di maggior impiego. Tutt’intorno il paesaggio cambia lentamente e laddove prima c’era una montagna rocciosa, ora alte dune ne hanno preso il posto per poi cederlo di nuovo a un piattone ghiaioso dove il nero delle pietre puntina e oscura l’ocra della sabbia. Noi pedaliamo seguendo l’una o l’altra via, un po’ a fiuto e un po’ orizzontandoci con il Garmin su cui però, per ora, non ci sono molte tracce. Quando s’incontra qualche local, su un mulo o una motocicletta, a dire il vero molto raramente, si chiedono informazioni che il più delle volte, anche per incomprensioni linguistiche, risultano essere inattendibili o addirittura false, ma aggiungono pathos all’avventura. Un’avventura che viviamo di giorno in giorno, per più giorni, sempre facendo rientro nel nostro albergo di Merzouga. Un primo assaggio, specie per me, di quella che, magari in futuro, potrebbe essere un’Avventura con l’A maiuscola, un gironzolare che momentaneamente ha solo una logica esplorativa, ma che a seguito del nostro scouting Nico trasformerà in un bel tour guidato. Un giro organizzato e assistito in cui i partecipanti, con gravel o eBike, potranno immergersi nella desolante bellezza del deserto, scoprendo la seducente sensazione d’infinito che questo sa trasmettere.