La prima volta sulla neve

Quant’è difficile guidare una bici su un manto bianco? Lo abbiamo scoperto in sella a una Bam con telaio in bambù.


La prima volta sulla neve
di Dino Bonelli
Foto di Sergio Bolla

La neve è il mio ambiente naturale, da sempre. Scio fin da quando ero bambino, sono diventato poi maestro di sci, a metà degli Anni ‘80 sono stato tra i precursori dello snowboard nel nostro Paese. Mentre d’estate mi sono dedicato al trail running, d’inverno ho iniziato a correre anche sul manto bianco, organizzando poi la Sunset Running Race, la prima gara di corsa a piedi, su neve, in Italia. Adesso che nelle stagioni calde mi diletto con la gravel, a dicembre, ovviamente, ho provato a portare il mio nuovo gioco anche sulle mie amate distese bianche.

Siamo a Prato Nevoso, una dinamica stazione sciistica del basso cuneese, dove vivo e lavoro, e in una giornata di sole e temperature quasi polari, con un paio di amici saliamo sulla telecabina La Rossa e andiamo ai 2.000 metri di quota. La bici che uso è una Bam con telaio in bambù, cambio e componentistica Ingrid, pedali flat e ruote che montano copertoni Continental 29×2.0, ben tassellati. Per proteggermi dal freddo, che il termometro identifica in -4°C ma che grazie al vento del nord si percepisce come un -8, oltre a un intimo nella parte superiore vesto una maglia e una salopette invernali Slopline, mentre sotto il casco SH+ aggiungo un berrettino in lana, magari non bello esteticamente ma indubbiamente caldo. I guanti e gli occhiali sono indispensabili. 

Essendo questa la mia prima esperienza in bici sulla neve, inizio il mio pedalare su tracce di neve compressa e compattata, dove la bici non sprofonda e reagisce bene a ogni comando. Poi, acquisita una certa dimestichezza e apportate un paio di modifiche d’assetto, come l’abbassamento della sella per essere più agile nello smontare ogni volta che una lastra di neve ghiacciata mi fa partire per la tangente, mi lancio in nuove esperienze. La mia curiosità infatti mi porta là dove il manto nevoso sembra essere una soffice coperta bianca facilmente perforabile dalla mia ruota anteriore, ma la realtà è diversa. Le varianti di neve infatti sono tante. Ci sono nevi fresche e polverose, altre sempre immacolate ma più umide e pesanti, le cosiddette nevi marce, con in mezzo mille variabili dettate dalle escursioni termiche e talvolta dal vento.

La candida coperta bianca in questione, fatta principalmente da una piccola nevicata di neve fredda e secca, nei giorni passati è stata scaldata in superficie dalle irradiazioni solari, quindi inumidita nei primi centimetri di spessore e poi gelata durante la notte. Questo ha fatto sì che lo strato a contatto con l’aria è diventato una crosta di media coesione e durezza. Uno strato leggero, poco spesso e poco resistente che non regge il peso del ciclista ma che nel contempo con la sua parziale compattezza ne limita i movimenti, rendendo la pedala difficile e faticosa.

Benché in pianura le gambe spingono un rapporto molto corto e faticano come se fossero sul Mortirolo, la guida è rigida e la velocità molto bassa. Basta un nonnulla che un equilibrio decisamente precario si trasformi in una soffice caduta laterale, con il corpo immerso nella neve e la bici che vola in aria sollevando cristalli di polvere bianca e pezzi di neve crostosa. Un piacevole capitombolo da cui ci si rialza e, bici in spalla, si ritorna sulla neve battuta, là dove è più facile ripartire, magari nuovamente per esplorare le incognite del “fuori pista”.

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