Il papà di Cristina Lacedelli

Lino Lacedelli faceva parte della storica spedizione italiana del 1954. Lui e Achille Compagnoni furono i primi a toccare la vetta della seconda montagna più alta del mondo.

Il papà di Cristina Lacedelli
di Ugo Cennamo
(pubblicato su corrieredeltrentino.corriere.it il 2 dicembre 2024)

Il 31 luglio 2024 sono stati celebrati settant’anni dalla spedizione sul K2 che portò il gruppo guidato da Ardito Desio per la prima volta nella storia in cima alla seconda montagna più alta del mondo. Il 2025 sarà invece quello dei cent’anni dalla nascita di uno dei protagonisti assoluti di quell’impresa, l’ampezzano Lino Lacedelli. Insieme con Achille Compagnoni riuscì laddove già altri, statunitensi in primis, avevano fallito, regalando nel 1954 un primato storico all’Italia che inorgoglì la neonata repubblica ridando linfa vitale a un Paese che ancora faticava a risorgere dopo gli sventurati anni della Seconda Guerra.

E se di quella ‘conquista’, termine oggi messo al bando per la volontà di superare quella competitività tra popoli che ha a lungo caratterizzato le ascensioni verso le vette più rappresentative del pianeta, tanto si è parlato e scritto, oggi l’obiettivo è più focalizzato su rivelare gli aspetti intimi e umani che tanto peso ebbero a determinare la riuscita della missione. Si muove in questa direzione la mostra «Lettere dal K2» che si è tenuta nel corso dell’estate nello spazio espositivo Lagazuoi Expo al Passo Falzarego, poi al Castello Cantore di Aosta (un’altra esposizione sul’impresa c’è stata a novembre al Circolo Operaio San Giorgio di Trento)  e potrebbe ora avere un seguito romano proprio per celebrare i cent’anni dalla nascita di Lacedelli, nato nel dicembre del 1925 e scomparso nel novembre del 2009. «Esiste questa volontà – spiega Cristina Lacedelli, figlia dell’alpinista – e mi auguro che si colga questa occasione alla vigilia di un appuntamento come le Olimpiadi del 2026, proprio come nel 1954 il ritorno a casa di papà dal K2 anticipò i Giochi del 1956 a Cortina». L’allestimento che potrebbe arrivare nella capitale, curato da Roberto Casanova e Vinicio Stefanello, attinge materiale proprio da casa Lacedelli: fotografie e centinaia di lettere scritte nei mesi da maggio a settembre, tanto durò la spedizione, da Lino, all’epoca 29 anni, e le relative risposte da colei che sarebbe diventata la sua inseparabile compagna, Elda Dimai, compaesana ventiduenne. 

A far da sottofondo a questo delicatissimo carteggio, dove traspare un amore d’altri tempi fatto di parole dolci e infinite delicatezze, le paure e le ansie dei giorni dell’impresa, dalle tappe d’avvicinamento all’ascensione, poi il ritorno in nave fino al trionfale ingresso a Cortina. «Dovevo ancora nascere – racconta Cristina – ma è vivo in me il racconto di mia madre e le foto di quel giorno: papà arrivò in carrozza e ad attenderlo c’erano gli amici alpinisti degli ‘Scoiattoli’, tutto il paese e molti di più. Papà, si vede nelle foto, sorrideva, come sempre ha fatto nella vita».

Dopo essere stato il primo uomo con Achille Compagnoni a mettere piede sul K2 era cambiato qualcosa nella vita e nel carattere di Lino Lacedelli?
«Mio papà era una persona semplice, non è mai stato un esaltato e mai si è vantato di quello che aveva fatto. Noi figli abbiamo saputo del K2 non dai suoi racconti, ma da quello che gli altri ci dicevano di lui. E’ partito persona semplice ed è tornato uguale. Un uomo affabile, amorevole, sorridente, generoso e con un cuore grande più del K2».

Però lassù, sul tetto del mondo, è arrivato lui…
«Non si è montato la testa per questo, anzi ha sempre dato grande valore all’impresa di gruppo, a tutti i compagni alpinisti e non. Ha sempre sottolineato che il successo è stato ottenuto perché tutti hanno dato il loro essenziale contributo. Poi aggiungeva che era stata la montagna a sceglierlo, perché aveva un gran fisico e tollerava bene altitudine e fatiche. Ma l’impresa è stata il frutto di un gruppo molto unito e lui l’ha sempre sottolineato».

Dalle lettere traspare un amore genuino tra il suo papà e la sua mamma.
«Scriveva dal K2 “sarai la donna della mia vita” e così è stato. Papà è stato l’uomo che è stato anche perché ha avuto vicino una donna come mia mamma. Erano anime linde, pulite, papà aveva corteggiato tantissimo mamma, un amore costruito a passi lenti utili a cementare la passione».

Andavate a scalare insieme?
«Tutti in famiglia siamo cresciuti alimentando i valori dello sport. A dodici anni mi portò sulla Torre Grande delle Cinque Torri dove c’era un libro dove volle che scrivessi data e nome. Ricordo che salendo persi l’equilibrio e lui mi tirò su come un fuscello. Aveva una forza incredibile e andare ad arrampicare con lui mi dava sicurezza».

Una lezione che non dimentica?
«Lui ha rischiato la vita andando sul K2, ma a noi ha trasmesso anche un altro principio: se avverti un pericolo, se le condizioni meteo non ti danno certezze torna indietro perché la montagna resta dov’è e tu puoi sempre tornare un’altra volta. Non rischiare, vai con il tuo passo, non importa correre».

Qual è il ricordo della Cortina della sua infanzia?
«Cortina era bella perché c’era cultura e tradizione, cose autentiche, mentre poi lo sviluppo è stato, per così dire, pasticciato. Cortina è un paese, non è una città, non la si può far diventare quella che non è e sono personalmente convinta che la trasformazione in atto non porterà alcun tipo di positività».

A suo parere cosa direbbe Lino Lacedelli della pista da bob che si sta costruendo e nella parte finale proprio davanti a casa vostra?
«Penso che avrebbe preferito si sistemasse la pista da bob che già c’era, inserita benissimo nel nostro bosco al punto che non ci si accorgeva nemmeno della presenza. Bastava ridarle una seconda vita, ma mi è stato detto che sulla base delle nuove normative andava rifatta completamente. Il risultato finale sarà una cattedrale non più inserita in un contesto armonioso come lo era in precedenza».

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1 Comments

  1. says: Nesto

    Le ultime due risposte di Cristina condensano lo sfacelo ambientale, culturale e sociale che sta subendo Cortina, in nome dell’ambizione politica, della sfrenata tensione al guadagno, del voler renderla tristemente una città di lusso. Lino non approverebbe.

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