Mattmark 1965

Approntare un cantiere sulla possibile linea di caduta di una grande seraccata sarebbe oggi più difficile.

Mattmark 1965
di Paolo Crosa Lenz

Il 30 agosto 1965 il crollo del fronte del ghiacciaio dell’Allalin, un muro di ghiaccio ampio 800 m dai 3400 m del Rimpfischhorn, è scivolato su Mattmark, a monte di Saas Almagell in Canton Vallese (Svizzera). Due milioni di metri cubi di roccia e ghiacci, 88 morti di cui 56 italiani. Una tragedia dell’emigrazione nell’Italia del boom economico.

Alla base del ghiacciaio vi era il villaggio operaio che stava costruendo una diga. Il progetto prevedeva la costruzione di uno sbarramento in terra alto 120 m e lungo 780 m (un record in Europa); al termine dei lavori l’invaso avrebbe contenuto 100 milioni di metri cubi di acqua in grado di produrre 650 Gwh che grosso modo corrispondono al fabbisogno di circa 150.000 famiglie.

La colata di ghiaccio che ha travolto il villaggio operaio di Mattmark

Fu la più grande disgrazia dell’emigrazione italiana dopo il disastro di Marcinelle, nella miniera di carbone in Belgio dove l’8 agosto 1956 morirono 262 persone tra cui 136 italiani. E avvenne a pochi anni dalla tragedia del Vajont, la sera del 9 ottobre 1963, quando l’enorme frana del Monte Toc sollevò un’onda che scavalcò la diga, annientando il paese di Longarone.

Il Lago di Mattmark oggi

La tragedia di Mattmark ebbe il suo epilogo qualche anno dopo nelle aule del tribunale di Visp. Erano passati sei anni e mezzo dal disastro e i 17 imputati vennero assolti dall’accusa di omicidio colposo in quanto la catastrofe non era prevedibile con la motivazione che “una valanga di ghiaccio rappresenta una possibilità troppo remota per essere presa ragionevolmente in considerazione.” Quello che fu definito come “il processo già scritto” ebbe il suo atto finale nel settembre 1972 quando il tribunale cantonale di Sion emise l’ultima sentenza. Decretò l’accidentalità dell’evento, assolse gli ingegneri e impose che i familiari delle vittime, costituiti come parte civile, dovessero contribuire al 50% delle spese processuali. Una vergogna per la Svizzera che solo recentemente la storiografia elvetica prova a ricostruire. Lo scrittore Max Frisch lasciò parole lapidarie: “Volevamo braccia e sono arrivati uomini”. E sono morti.

Una squadra del Soccorso Alpino di Macugnaga appena appresa la notizia della tragedia salì al Monte Moro e scese a Mattmark. Era un gruppo di tredici esperti soccorritori, guidati da Costantino Pala, che giunsero nella notte sul luogo del disastro per scavare tra roccia e ghiaccio.

A 60 anni dalla tragedia, il recente libro di Elisabeth Joris Mattmark 1965: Erinnerungen, Gerichtsurteile, italienisch-schweizerische Verflechtungen (Mattmark 1965: ricordi, sentenze giudiziarie, intrecci italo-svizzeri), Rotpunktverlag, Zurigo, 2025) dà voce alle donne coinvolte nella costruzione della diga, lavoratrici o familiari, analizzando le differenze nella cultura della memoria tra Italia e Svizzera. Alla ricerca hanno contribuito storici italiani e svizzeri (Vasco Pedrina, Kurt Marti, Andreas Weissen e Andrea Delvescovo).

(La diga fu terminata e inaugurata nel 1967 ed è a tutt’oggi funzionante, NdR).

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2 Comments

  1. says: Carlo Crovella

    Bell’articolo. Avevo contezza dell’esistenza di tale problematica, ma non mi sono mai attivato per approfondire il tema (troppe cose da fare!) e ora ho più informazioni <al rigurado.

  2. says: Enrico Villa

    Molti italiani emigravano ancora negli anni del c. d. boom economico accettando lavori pesanti e pericolosi in ambienti molti ostili. Come nelle miniere o per la costruzione di dighe in montagna. Spesso i cartelli didascalici illustranti le caratteristiche delle dighe non mancano di indicare il triste contributo di vittime. Quelle italiane sono sempre numerose, per esempio diga dell’Albigna in val Bregaglia. Ma le citazioni non mancano anche alla fine della galleria ferroviaria nel ventre dell’ Eiger: 30 morti, di cui 29 italiani. Non giustifica il fatto che all’inizio del ‘900 grame condizioni economiche generavano flussi migratori anche al di fuori dell’ Europa. Le tragedie come quelle citate dall’ articolo colpiscono per la gravità e per i numeri dell’evento. Il lavoro uccide, specialmente nella cantieristica e nell’ edilizia, come ci è noto dalle cronache quotidiane. Il bilancio di ogni anno è sempre intorno a mille unità. Come 11-12 Mattmark.

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