Alle origini dell’outdoor, la ricetta della pace.
a cura di Marrano

Certo, parlare di svago e di rigenerazione nella natura di questi tempi pare essere alquanto imbarazzante e fuori luogo. I fatti di cronaca politica ci inchiodano a una realtà spaventosa, nel senso proprio del termine, cioè che spaventa per il presente e per il futuro. La parola guerra non è oggi sulla nostra bocca come sinonimo, per dare enfasi a un semplice stato di tensione, tipo la guerra quotidiana nella routine casa, lavoro, famiglia; la guerra per il traffico in autostrada o altre simili banalità. Oggi se ne parla perché il mondo è davvero in guerra. Altro che perifrasi!
Così noi, figli di un mondo di pace, così lontani dai luoghi in cui la vita è appesa a un filo, impegnati nel programmare la prossima corsetta in montagna o a sognare la neve polverosa dell’inverno giapponese, ci troviamo a riflettere su cosa ci stia accadendo intorno e sul perché si stia andando in questa direzione. Perché non bastava l’impegno sistematico dell’uomo nel compromettere la salute del proprio ambiente di vita, a noi tanto caro; ora ha deciso di passare a un livello superiore e di eliminare fisicamente se stesso, chiudendo in questo modo il cerchio di un’insensata deriva autodistruttiva. Altro che sostenibilità!
E, allora, di cosa vogliamo parlare in un momento tanto spaventoso in una rubrica tanto discutibile? Ci ho pensato su e mi è venuta in mente la cosa più in antitesi con tutto il marasma di questo tempo: possiamo parlare del picnic!
Mi scuso con i lettori di questo articolo, ma il mio insostenibile istinto alla banalità mi spinge a ragionare per paradossi, immaginando che forse un po’ di svago nella natura farebbe bene anche ai “capoccia” che oggi si scannano e ci scannano con le loro cazzo di bombe, raccontandoci che lo fanno per mantenere la pace. La pace…
La pace è una giornata nei boschi, sulle rive di un lago, in un pascolo di montagna o sulla cima di una montagna, nel silenzio dell’alba rotto solo dal suono del vento. Cari signori, che dall’alto delle vostre miserabili vite rompete i coglioni a tutta l’umanità, questa, descritta in poche parole, è la condizione che porta alla pace, non quella imposta dalle vostre furbe regole o dalle bombe che massacrano bambini, donne e uomini innocenti catalogati come danni collaterali della vostra incapacità di mostrare gioia e rispetto per la vita.
“Mettetevi seduti sull’erba e riscoprite il piacere di un semplice picnic” è il messaggio forte di oggi. Distesi mollemente su un prato a contemplare la natura ritrovereste forse il piacere di dialogare in modo sereno, magari a fianco di una ninfa delle selve, in una prospettiva di amore, anziché di odio.
“Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, perché volevo conoscere e gustare fino in fondo il piacere della vita”, ci suggerisce uno che la sapeva lunga, ma quell’insegnamento purtroppo ha fatto poca strada e certo non ha fatto breccia nel cuore di chi contrabbanda da sempre l’idea della sfida come presupposto dei meccanismi dello sviluppo. A muovere lo sviluppo, di una persona o di una civiltà, non è una sfida. È il desiderio di conoscenza del mondo e dell’altro. A muovere lo sviluppo non è una gara contro il tempo, ma il bisogno di scoprire qualcosa di nuovo, una nuova esperienza. Non c’è sviluppo nello scontro e nella competizione. C’è solo, per una delle due parti o per se stessi, l’esperienza della sconfitta e con essa il desiderio di rivalsa che, portato all’estremo, si traduce in vendetta o autolesionismo.
Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, perché volevo conoscere e gustare fino in fondo il piacere della vita e non per competere contro me stesso, per lasciare alle spalle lo stress e non per rigenerarlo, io vorrei aggiungere.
La poetica del picnic farebbe un gran bene anche ai tanti appassionati “sportivoni” dell’ambiente che, tra un’esperienza estrema e l’altra, da raccontare sui social con l’inseparabile birretta fra le mani e con la garanzia di un pronto intervento del soccorso alpino in caso di necessità, imparerebbero a fare pace con se stessi, mettendo da parte il cronometro e l’ansia da prestazione per ritornare padroni del proprio tempo.
Con il picnic, nella sua semplicità, torniamo infatti alle origini. Siamo all’essenza dell’autentico spirito outdoor e al kick off, direbbero i più raffinati, dell’esperienza di contatto con la natura. Che, appunto, non è una sfida, ma un bisogno di vera armonia, rigenerazione e, in una parola, di pace.
*Lafuori. Una pagina pubblicitaria in meno, uno spunto di riflessione in più. Lafuori non è un nuovo brand outdoor fondato da due giovani mountain runners appassionati di climbing. Non è l’account Instagram di un influencer. Non è nemmeno il nome di una falesia segreta di un’isola sconosciuta del Mediterraneo o di un hotspot di Hokkaido dove cade la neve più polverosa del mondo. Lafuori è il titolo del contro editoriale di Outdoor Magazine. Un racconto libero e disincantato dell’outdoor scritto sotto mentite spoglie.
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L’altrove del picnic può essere dovunque: al mare in montagna e soprattutto in città, dove erano frequenti le gite fuori porta. Per questo il picnic è ormai vietato dovunque: nella società dei consumi gli indigeni non sopportano i turisti cui non possono vendere più nulla.
Nel quadro c’è una donna nuda! Ah, vil marrano!
P.S. Sto scherzando. Beati loro!