Natale a Salecchio

di Paolo Crosa Lenz
(pubblicato su Lepontica 25, dicembre 2022)

Salecchio è un villaggio walser abbandonato in Valle Antigorio, a 1500 m fra montagne severe e impervie.
Per sei secoli vi abitarono un centinaio di persone, poi negli anni ’60 del Novecento fu abbandonato. L’ultimo rimasto morì l’estate 1969 mentre tagliava il fieno.

Era un luogo da cui gli uomini “scappavano” per poi tornare. Rimanevano le donne a crescere figli, fare fieno, mungere mucche, piantare segale e patate.

Dopo il 1888, l’emigrazione si diresse oltreoceano. Il primo fu un Giuseppe D’Andrea partito il primo maggio (ritornerà quattro anni dopo “senza aver fatto fortuna”). A piedi fino a Domodossola, poi in treno a Genova, in “bastimento” a New York e quindi in California a “fare formagio”.

Lamerica divenne per i montanari di Salecchio il miraggio di una frontiera da conquistare. Tra il 1888 e il 1909 partirono da Salecchio 26 americani, su una popolazione che in quegli anni oscillava tra i 90 e i 100 abitanti: il 25% degli abitanti.

Il diario di questo esodo è documentato dalle lettere degli emigranti (solo nel 1908 arrivarono a Salecchio ben 32 lettere dall’America), ma soprattutto dalle annotazioni scarne ed essenziali contenute in un quaderno anonimo scritto probabilmente da un membro della famiglia Pali. Sui fogli ingialliti dal tempo sono annotate con grafia elegante gli eventi salienti della vita della comunità: le nascite, le morti, i matrimoni, le partenze e i ritorni degli emigranti. L’emigrazione come morte e rinascita.

Così, la notte di Natale del 1899 “è rivato Agostino Pali dall’america un’ora dopo mezza notte, cioè dopo messa di Natale”.

Dovete immaginare, all’uscita dalla chiesa, il rumore scricchiolante dei passi sulla neve gelata. Tornava a piedi come era partito. Prima o poi tutti tornano al luogo dove sono nati. Agostino era tornato a casa dall’America, la notte di Natale, dopo la messa di mezzanotte.

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