Ritorno alla neve, quella vera

di Chiara Baù
(pubblicato su imperialecowatch.com il 23 gennaio 2025)

Tracce di lupo intorno alla baita dove per qualche giorno mi rifugio, lontano da tutto ciò che è artificiale.
Mi trovo in Val Pusteria, Alto Adige presso il maso Tschurtchenthalerhof, la casa più antica della valle, a 1600 metri, costruita nel 1750, quasi sulla cima di una montagna, circondata solo da boschi.

Qui tutto sembra essersi fermato. Una stalla con le mucche, cavalli e oche. Il fieno viene raccolto nei campi adiacenti due volte all’anno. La legna scalda la magnifica stube dove si mangia tutti insieme. Qui l’intelligenza artificiale non sanno neanche cosa sia, ogni cosa è regolata dalla natura, e dalla saggezza dei vecchi contadini.

A primavera è l’odore del letame a farla da padrone, quando i campi vengono coltivati nel modo più naturale invece che da pesticidi. Masun, un meraviglioso cane, pastore bernese, è il custode di casa, nonché il mio compagno di merende. Non so chi dei due senta di più il richiamo per la foresta, se io o lui. Appena possiamo andiamo sempre nei boschi insieme, anelando a quella libertà primitiva che giace nella parte più profonda di entrambi. Fuori dalla finestra la nebbia mattutina fa da ponte tra la realtà e la magia di una giornata dove finalmente si ritorna all’unica vera dimensione che conosco, la natura.

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Sapere che ci sono dei lupi nelle vicinanze è allo stesso tempo inquietante ed emozionante. Le loro tracce sono così nitide e fresche da sembrare irreali.

È arrivato il momento in cui la neve, quella vera prenda finalmente il sopravvento e si ribelli a tutta la superficialità di questi ultimi inverni. Lei è sempre stata la vera padrona. La natura sopporta tutto, ma fino ad un certo punto. Da tanto tempo non si verificava una nevicata così abbondante, due giorni ininterrotti di fiocchi di neve che volteggiando nel vento sono caduti incessantemente coprendo tutto il terreno. Una fortuna, anzi un privilegio disporre di tempo libero per vivere i boschi della Val Pusteria, in un ambiente sopito e sopraffatto da cumuli di neve. I primi raggi di sole danno tregua ai fiocchi di neve. 

Vorrei essere una pernice bianca, l’unico uccello ad avere una muta d’inverno, trasformando il suo piumaggio così da mimetizzarsi tra la neve, e volare in ogni angolo di queste magnifiche vallate. Il potere dell’inverno è uno stimolo continuo ad esplorare. Lo testimoniano le impronte degli animali sulla neve . 

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Dopo una copiosa nevicata la visione dei boschi appare incontaminata, intatta. In quei momenti non esiste overtourism, ma è silenzio assoluto, assenza di ogni rumore e i boschi si arrogano il diritto di rimanere per qualche tempo immacolati. Le nevicate mi hanno sempre affascinato, ma stavolta l’incanto dei boschi ha catturato non solo il mio stupore, ma anche la fantasia e la creatività, senza alcun bisogno di ricorrere a chatgpt finendo in un tunnel dove il cervello si adatta a qualcosa di preconfezionato e ci si abitua ad avere tutto pronto. L’uomo sembra saper comunicare solo con fantomatiche voci artificiali, perdendo la capacità di sintonizzarsi sull’unica vera voce da ascoltare, la natura.

Sono i primi di gennaio.

La neve, quella vera, ribelle contro ogni fiocco artificiale, diventa artefice di sculture fantasiose dando vita ad una trasformazione mai vista. La bufera ininterrotta di 48 ore offre uno spettacolo inimmaginabile. Entro nel bosco con discrezione, con un timore reverenziale per non scalfire con le mie impronte il manto nevoso. Bastano pochi passi e subito sprofondo nella neve alta. Uno sguardo sule montagne davanti e finalmente la neve vera si è appropriata anche delle piste da sci che non sfigurano più come stupide strisce bianche in mezzo ai boschi marroni.

I larici svettano verso l’alto con la loro sagoma statuaria. I rami privi di aghi scolpiscono l’orizzonte. 

Invece i pini e gli abeti, le uniche conifere a mantenere gli aghi durante l’inverno hanno creato una sorta di barriera: appaiono legati tra loro come un’unica impenetrabile schiera. 

I rami di pini ed abeti si estendono infatti come lunghe braccia che si allacciano l’una con l’altra, intrecciate tra loro come se la foresta volesse impedire ogni accesso. Cosa sta nascondendo quell’apparente limite invalicabile? Avanzo sul sentiero ponderando ogni singolo movimento. La coltre nevosa è alta e non voglio spaventare i caprioli: una fuga veloce potrebbe essere pericolosa.

In inverno il metabolismo basale rallenta per permettere loro di sfruttare al meglio il poco cibo disponibile e bruciare meno energie. In pratica mangiano meno e si muovono meno: questo purché non vengano disturbati e messi in fuga. Nella buona stagione una fuga costa relativamente poco, ma d’inverno è diverso e può addirittura provocare una morte di stenti per l’enorme fatica da affrontare avanzando nella neve alta. Sposto delicatamente qualche ramo e superata la barriera di braccia intrecciate intravedo protese sui rami bassi come delle mani. Sono le parti terminali dei rami, infarciti di neve, ma hanno l’aspetto di vere e proprie mani giganti. 

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Non è lo scenario di una leggenda o di una saga. L’immaginazione diventa realtà. Queste mani create dalla neve sembrano toccarsi. Rivolte con il palmo verso il terreno appaiono pronte a dirigere un’orchestra. Basteranno pochi raggi di sole e l’incanto di ciò che stavo ammirando si sarebbe dissolto in poche ore, come la vita di una farfalla effimera che nel giro di un giorno nasce, si riproduce e muore.

Proseguo sfiorando ogni abete, un varco tra i rami mentre le finte mani mosse dal vento sembrano indicare strani personaggi nascosti in una piccola radura.  La sagoma elegante e lineare dei pini è scomparsa. Con la massa di neve caduta sono gli esemplari di pini giovani protetti da alberi più maestosi ad essere completamente mutati. Si delineano figure che sembrano guardarsi tra loro e forse suggestionata dal periodo natalizio e lasciando correre l’immaginazione senza freni mi sembra di riconoscere un presepe vivente. 

Il bosco, complice la neve, ha nuovi abitanti. Le montagne della Val Pusteria come ogni zona montana sono ricche di leggende e di figure mitologiche con folletti e streghe che animano i boschi, ma raccontate unicamente nelle pagine dei libri di fiabe. Ciò che mi appare davanti è quanto di più reale io abbia mai visto. Soggetti al calore del sole le forme di questi personaggi, istante dopo istante sono destinate a modificarsi e a riprendere l’aspetto di giovani pini ed abeti. La temperatura, l’umidità, la quantità di fiocchi caduti sono tutti fattori che forgiano strane e diverse creature. Chissà quale linguaggio parleranno i personaggi del presepe vivente, forse confabulando in silenzio all’alba o al tramonto.

Proseguo incredula sul sentiero appena delineato e altri personaggi appaiono come d’incanto. Mi chiedo quale effetto esercitino questi abitanti sui pochi animali che sopravvivono alle rigide temperature invernali come la lepre variabile, la pernice, la volpe, i cervi che cercano rifugio accanto ai tronchi di pini e abeti dove si accumula poca neve e dove possono trovare riparo dalla bufera. Forse non fanno caso a queste nuove figure, abituati da sempre alle sorprese che la natura improvvisa ogni giorno e in ogni stagione.

Sono in compagnia di Masun, il pastore bernese, che stranito quanto me guarda queste creature del bosco come fossero marziani. 

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Piena di entusiasmo continuo a fotografare ogni singola creatura innevata. Improvvisamente illuminate dai raggi del sole appaiono nuove forme del tutto simili ad una folta banda di fantasmi. Mi nasce spontaneo ripensare ad un collegamento con la sfilata di Halloween che ricorre a New York ogni anno il 31 ottobre con figuranti travestiti da mostri, da figure mitologiche o altri singolari personaggi. Anche questa dei boschi è una festa, la festa della foresta, tutti mascherati. Il trionfo della neve, quella vera.

Alcuni rami di abete tentano di liberarsi a fatica dal bianco travestimento, ma i nuovi fantasmi fanno di tutto per mantenere la loro veste imbiancata.

Avendo di recente tenuto lezioni ad alunni di scuola elementare per spiegare, proiettando immagini di sagome innevate, come gli animali dei boschi affrontino l’inverno, è stato divertente raccogliere dai bambini le più fantasiose interpretazioni e le invenzioni di piacevoli storie. Particolare curiosità ha suscitato l’immagine di una forma simile ad una balena di neve; si trattava di un piccolo abete talmente sovraccarico di neve da dar vita al massimo della fantasia.

Chi aveva intravisto nella balena di neve un piccolo dinosauro, chi la forma di un delfino, chi di un’altra magica figura. In questo scambio di interpretazioni siamo entrati comunque in una nuova dimensione, utile a mio avviso non per sfuggire alla realtà, ma semplicemente per riflettere e dar fiato ad una parte di noi, all’immaginazione, alla fantasia, al desiderio di un pizzico di magia, sensazioni che spesso sono sopite e sopraffatte dalla quotidianità e da una tecnologia invadente che sopisce ogni forma di creatività.

E da parte dei bambini è stato interessante inventare il racconto della balena che stanca di nuotare nel mare voleva esplorare le montagne e catapultarsi nei boschi dell’Alto Adige sotto una nuova veste, oppure la storia del pesce che fuoriuscito dal torrente era fuggito nel bosco per incontrare nuovi amici. Ogni bambino è stata una fonte inesauribile di fantastici racconti immaginari.

A breve distanza dal presepe vivente e dalla balena di neve mi accorgo di scoprire in una radura la sagoma di un angelo di neve. 

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Due ali ripiegate, pronte a decollare dal bosco e volare sulle vette delle Dolomiti di Sesto di Pusteria. Una figura che nasce grazie alla portentosa forza degli aghi, le foglie delle conifere che riescono a sostenere i carichi di neve. Gli aghi, flessuosi ma robusti, rappresentano la superficie più idonea a sorreggere il peso della neve. Consentono infatti accumuli minuscoli, si piegano senza spezzarsi per raddrizzarsi all’improvviso, elasticamente, come abili trapezisti, una volta liberi da una massa di neve eccessiva.

Gli aghi dei pini e degli abeti rappresentano l’unica forma fogliare in grado di resistere tutto l’anno sui rami degli alberi soprattutto in inverno quando sono esposti alla coltre bianca e alle rigide temperature. Piccolo capolavoro della natura, l’ago è dotato di una cuticola ispessita rispetto alle normali latifoglie, così da isolare maggiormente dal freddo i tessuti interni e conferir loro la rigidità necessaria per recuperare la posizione originaria una volta liberati dalla neve cui danno appoggio. Così anche il più piccolo pino è in grado di sostenere masse di neve tali da perdere la forma in origine, ma forse desideroso di mutare abito nella stagione invernale.

Le cime dei Tre Scarperi e della Croda Rossa, le vette più imponenti delle Dolomiti di Sesto di Pusteria scrutano dall’alto i nuovi personaggi del bosco e, mi piace immaginare, forse indovinando possibili somiglianze. Improvvisamente sul lato del sentiero noto una nuova figura con un lungo mantello e il volto illuminato: sembra che preghi assorta nei suoi pensieri.

Nella penombra osservo anche uno strano essere cui non riesco a trovare una somiglianza, ma è divertente di fronte a forme non identificabili soffermarsi a riflettere e a cercare di indovinare. La neve sembra divertirsi a creare forme insolite, e i giovani pini come ragazzini vivaci si prestano al gioco. Enormi virgole di neve addobbano le cime dei piccoli abeti. 

La giornata sta per volgere al termine. Tempo di tornare a casa e lasciare che queste nuove creature della foresta si godano questo momento. La natura aveva ispirato tutte le forme viventi del bosco ed io ero stata inconsapevolmente partecipe di una incredibile festa in maschera. Il mio cane felice di buttarsi nella neve vorrebbe giocare con questi nuovi personaggi del bosco, ma qualcosa lo trattiene, mi guarda come per chiedermi il permesso, ma si accontenta di rimanere immerso in questo magnifico manto nevoso. Il giorno seguente sono ritornata nel bosco.

I fantasmi di neve erano spariti, il presepe vivente si era dissolto, la balena di neve forse si era rituffata nel mare, le strane figure ricurve avevano di nuovo indossato l’abito originale, ma non era scomparsa la sensazione di armonia e ammirazione che quelle creature magiche mi avevano suscitato e sicuramente sentivo di doverle ringraziare una ad una per avermi dato la possibilità di fantasticare sul loro aspetto invernale. Anche se nessuna funivia nelle vicinanze si è fermata, nessuna seggiovia con sedili riscaldati ha smesso di girare nel fantomatico carosello delle piste da sci, nessuna musica assordante degli après ski era stata spenta, la neve vera si era imposta su tutto. Bastava saperla ascoltare, vedere, e in un attimo tutto il mondo artificioso degli impianti da sci spariva.

Insieme a Masun, ho continuato a camminare nel bosco. Poi ci siamo fermati. Felici. Il richiamo della foresta aveva prevalso su tutto.

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3 Comments

  1. says: Carlo Crovella

    Bell’articolo in cui ho ravvisato il desiderio fi parlare della neve come espressione di montagna “vera” e non palcoscenico su cui praticare uno sport (quanto dislivello, in che tempi, su che gradi di ripidezza si è sciato). Complimenti!

  2. says: Giovanni Verzani

    Vincenzo Sarperi, alpinista delle Apuane, si chiedeva:” Nevi formose, o forme nevose?”

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