di Chiara Baù
(pubblicato su imperialbulldog.com il 15 febbraio 2021)
A bagno con l’orso
Sono trascorsi alcuni giorni a Shelter Creek. Mi trovo a due ore di volo da Anchorage, capitale dell’Alaska e a 40 minuti di idrovolante dal primo campo. Qualche difficoltà di ambientamento eppure nulla mi manca di tutte quelle inutili comodità che ogni giorno si ritengono indispensabili. Man mano che trascorrono le giornate, gli oggetti necessari si riducono di numero, nei pensieri e nella pratica. Il fiume a pochi passi dalla tenda mi regala ogni giorno spettacoli unici: un giorno è un grande orso maschio, un altro una mamma coi cuccioli, un altro ancora sono gli esemplari giovani intenti a gareggiare per il primato della pesca al salmone.
Un conto è fare la doccia in baita, un conto tuffarsi nella pozza del torrente dove poche ore prima un grizzly ha banchettato coi salmoni. Le ore trascorrono come secondi, gli orologi non esistono, e il ritmo della giornata coincide con quello degli orsi che non finisco mai di osservare e fotografare. Una volta sazi, gli orsi abbandonano il torrente per ritirarsi a sonnecchiare nella foresta. Pur essendo quello dell’Alaska un clima freddo, è agosto e il caldo si fa sentire. Non riesco a trattenermi e a vincere la voglia di tuffarmi nello stesso torrente che l’orso ha percorso in lungo e in largo. Non mi è nuova questa propensione a immergermi in acque gelide. Basta resistere qualche secondo, trattenere il fiato per poi rimanere praticamente paralizzati dal gelo dell’acqua, ma il tutto va a beneficio di una circolazione sanguigna più attiva e fluida. Ammetto comunque che al desiderio di refrigerio, si accompagna la voglia di condividere lo stesso specchio d’acqua dell’orso.
Mi godo quella pozza come fossi in una vasca di idromassaggio provando a immedesimarmi con l’orso, valuto idealmente quale salmone agguantare tra quelli che mi sfiorano le gambe. La mia agilità tuttavia non è paragonabile a quella del plantigrado, anche se in questi giorni ho notato un comportamento alquanto ridicolo di alcuni orsi intenti a gironzolare a tentoni avanti e indietro lungo il corso d’acqua senza riuscire a catturare un salmone.
È probabile che si tratti di esemplari alle prime armi, ancora privi di esperienza. Mentre mi godo il refrigerio, mi diverte l’idea che l’orso immerso fino a pochi minuti prima nella stessa pozza mi stia spiando nascosto dietro un pino, chiedendosi perché io non stia pescando salmoni. Un’aquila dalla testa bianca appollaiata su un ramo in alto mi guarda perplessa.
Proprio come gli orsi mi ciberò più tardi di un buon salmone e nel mio caso gustato alla brace dopo che John l’avrà pescato con una canna da pesca.
In questo lockdown naturale che mi spinge ad interessarmi di tanti piccoli dettagli sono attratta anche da un animaletto apparentemente insignificante: lo scarabeo stercorario (Geotrupes stercorarius) un insetto minuscolo che si sta dirigendo con decisione verso gli escrementi dell’orso. Deve affrettarsi, perché per appallottolare quei resti corposi deve trovarli ancora in uno stato, come dire, fresco.
Poi con la forza di un maciste dovrà far rotolare fino alla tana la pallottola di escremento, ben più voluminosa del suo corpo, per depositarla come riserva di cibo, per inserirvi le uova o anche per farne dono alla femmina, nella speranza di sedurla. Ed è proprio grazie a questo insetto che non mi occorre una bussola per orientarmi. Diversi studi sono stati in grado di evidenziare la notevole capacità di questi insetti di orientarsi in base all’illuminazione solare e a quella lunare grazie all’angolo di polarizzazione della luce, ma anche in grado di procedere in linea retta nelle notti serene senza luna.
Alcuni insetti sono in effetti dotati di strutture sensibili alla luce polarizzata, situate all’interno delle cellule visive. La capacità di analizzare l’orientamento assiale della luce polarizzata è il risultato di una particolarità delle molecole. In tutti gli animali, sia invertebrati che vertebrati, il pigmento visivo rodopsina è presente nella membrana fotorecettrice delle cellule visive sotto forma di molecole dipolari, cioè molecole con un’asse definito. Il risultato è che il pigmento assorbe la massima energia della luce polarizzata quando la direzione della polarizzazione è parallela all’asse dipolare della molecola. Anche nelle formiche è stata osservata una correlazione tra percezione della polarizzazione della luce e capacità di orientamento.
Per orientarsi con sicurezza nelle notti senza luna, lo scarabeo stercorario si inerpica sulla pallina di escremento che deve trasportare e osserva il cielo per identificare la posizione della Via Lattea. Si tratta della scoperta di un gruppo di biologi che, trasferiti alcuni esemplari in un planetario, ne hanno studiato il comportamento, simulando le più diverse condizioni della volta celeste. L’angolo di polarizzazione della luce può essere utilizzato anche di notte. È inoltre emerso che una singolare sorta di danza che l’insetto esegue sopra la pallina prima di mettersi in cammino e nei tratti successivi, ha la funzione di identificare e aggiornare il percorso. Nel suo vagabondare notturno lo scarabeo fa affidamento sulla luce espansa generata dalla Via Lattea che contrasta con il cielo scuro. Tant’è che quando questa non è visibile, perde l’orientamento e si muove in modo caotico. Inoltre, pur essendo a contatto con gli escrementi, lo stercorario emette speciali secrezioni che gli permettono di non insudiciarsi e di rimanere pulitissimo.
I pensieri si fanno sempre più lenti e aderiscono al ritmo naturale della natura. Ogni secondo merita una narrazione. In questo periodo in cui mi trovo a Milano in lockdown forzato, purtroppo a discapito della libertà di ogni essere vivente, mi accorgo che la vera dimensione da ritrovare è quel lockdown naturale cui avevo dovuto adeguarmi a Shelter Creek in Alaska. Nulla può minare la mia libertà e cosi provo a trasformare un lockdown forzato in un lockdown naturale, concentrandomi sui dettagli, allenandomi a cogliere aspetti che prima non riuscivo a notare, come quelli che riguardano lo stercorario e il suo approfittare degli escrementi. Forse un unico segreto per trasformare una chiusura in libertà.
Chi invade chi
Torno con la memoria in Alaska. L’unico limite al campo tendato è dato da un filo elettrico collegato a un generatore che in apparenza sostituisce una cinta di protezione. Purtroppo si tratta solo di un effetto placebo, poiché un bel giorno tre orsi sfondano senza difficoltà il piccolo recinto, scavalcando con noncuranza il filo elettrico con l’unico effetto di avvertire un leggero solletico. Il generatore, scoprirò a posteriori, con l’umidità della foresta aveva perso gran parte della sua conducibilità elettrica.
È ora di cena. Stiamo pranzando nella tenda cucina quando lungo il torrente compare un’orsa con i cuccioli. Non è il momento di perdere tempo. Recuperate le macchine fotografiche in gran fretta, usciamo dal campo, oltrepassando il filo elettrico per seguire la piccola famigliola di orsi. Li inseguiamo a distanza con cautela per immortalarli. Non c’è limite alle riprese in natura e benché il mio bagaglio di foto abbia raggiunto numeri considerevoli, ogni momento è diverso dall’altro e non lo si può perdere. Al campo rimane solo la compagna di John che si appresta ad impacchettare i rifiuti del pranzo. Compie tutto in modo frettoloso per poterci raggiungere ma dimenticando alcuni avanzi di cibo accanto al tavolo. Quindi si unisce a noi.
John, gli altri due compagni ed io siamo fermi in riva al mare dove mamma orsa sta approfittando della bassa marea per mostrare ai piccoli come le vongole incastrate nella sabbia non siano affatto da trascurare per il pranzo. Ma, inaspettatamente, il piccolo gruppo familiare fa dietro front verso le tende. L’orsa con i piccoli è in vantaggio di una cinquantina di metri rispetto a noi.
I cuccioli che possiedono un olfatto infallibile sono curiosi e disobbedendo alla madre, deviano il percorso. Attratti dalla seggiola da campeggio fuori dal campo, prima la scrutano, poi la mordicchiano. Un cucciolo salta il filo elettrico, l’altro ci inciampa. Una volta superato l’unico ostacolo entrano nelle tende. Stupiti e un po’ impauriti non possiamo far altro che rimanere a distanza dal campo, osservando a malincuore come gli stivali di gomma che avevamo lasciato all’esterno ad asciugare rappresentino per i cuccioli un’attrattiva morbida e gradevole da mordicchiare, forse per sperimentare la prestanza dei nuovi denti permanenti che stanno sostituendo quelli da latte.
John prova ad alzare la voce con tono burbero per spaventarli, ma senza successo: le nostre tre tende e la piccola cucina da campo diventano un parco giochi. Sono attimi di tensione.
John, a differenza della sottoscritta, non sembra preoccupato anche se pronto ad azionare la bomboletta di spray al pepe. Questo strumento di difesa pesa circa un paio d’etti, contiene essenzialmente capsicina e molecole simili che, nebulizzate con forza, possono raggiungere la distanza di circa 7 metri e creare una specie di nube con l’effetto di intontire l’orso che attacca. Ma John tiene duro, non volendo ricorrere a questo espediente che, se pur utile ad allontanare il pericolo, avrebbe comunque potuto irritare l’orso. E i colpevoli di questa invasione di campo eravamo noi, e non gli orsi: un piccolo pezzo di pane dimenticato sul tavolo aveva turbato l’equilibrio tra noi e gli orsi.
La bellezza di una giornata condivisa in gran parte con gli orsi, l’euforia di un’esperienza indescrivibile possono purtroppo indurti a dimenticare una regola di comportamento essenziale: mai lasciare resti di cibo incustoditi.
Dopo i primi attimi di tensione prendiamo atto della situazione, obbligati a un nuovo lockdown non dentro ma fuori dal campo. Mezz’ora ad osservare i nuovi inquilini che si stanno animatamente divertendo ad esplorare i pochi metri quadrati delle nostre attività quotidiane. Mamma orsa si limita ad una breve ricognizione per poi abbandonare quasi subito le tende. Con il suo tipico grugno richiama più volte all’ordine i cuccioli che però sembrano non volerla ascoltare e tardano ad obbedire.
Chi invade chi? Una mezz’ora di tempo sufficiente a farmi capire quale fosse il piacere di due piccoli orsetti nello scoprire un luogo sconosciuto, il campo tendato, ma del resto proprio come io avevo invaso la pozza frizzante di salmoni. Stanchi del gioco, i cuccioli seguono la madre in direzione del bosco.
John si affretta ad avvertire via radio il campo base distante una mezz’ora di volo con l’idrovolante. Il generatore, scambiato per un ceppo di tronco con cui giocare, è completamente distrutto. Per questioni di sicurezza occorre provvedere da subito alla sostituzione.
Nessun rapporto conflittuale tra noi e gli orsi, ma potrebbero tornare non per demolire o attaccare, ma per semplice curiosità. È fondamentale che gli orsi non si abituino a prendere confidenza con il campo. Occorre un’ora di tempo prima che il nuovo dispositivo arrivi. Per la prima volta dopo innumerevoli incontri con gli orsi rimango completamente senza protezione nel mezzo di una terra immensa. Ne avevo veramente bisogno? Non penso. Il legame che si è creato con gli orsi e il loro habitat è talmente intenso che nulla avrebbe potuto turbarlo né in quel particolare frangente né in seguito.
Le luci del tramonto sull’oceano dell’Alaska tingono l’acqua di rosa, è il mio ultimo giorno, ma senza alcun dubbio il primo per un nuovo inizio e inattese esperienze e scoperte nella wilderness dell’Alaska. I dettagli avevano fatto la differenza, particolari che mi hanno resa più libera nella mia conoscenza. Un nuovo insegnamento della natura.