“L’Everest non è una discarica”

“C’è ancora spazzatura ma non così tanta come la gente pensa”

“L’Everest non è una discarica”
(parola di Sherpa)
di Fabio Pozzo
(pubblicato su lastampa.it il 14 maggio 2023)

L’uomo che vuole ripulire dai rifiuti e dalla plastica le vette più alte della terra è tornato alle sue montagne, dopo un viaggio in Europa. Ora è ai piedi dell’Everest, a oltre 5 mila metri. Il cielo che lo sovrasta è di un blu perfetto, reso ancor più inteso dal contrasto col bianco della neve e con il giallo ocra delle tende. Trentanovenne, madre belga, padre Sherpa (un uomo d’affari che ha fondato l’Asian Trekking a Kathmandu ed è presidente della Nepal Mountaineering Association), Dawa Steven è esploratore, alpinista, imprenditore e attivista ambientale. Parla sei lingue, si è laureato in Economia aziendale in Scozia e si può dire sia il volto e la voce della nuova generazione degli Sherpa, l’etnia che da 500 anni abita le montagne del Nepal. Il nome del suo popolo deriva da Star (Est) e Pa (gente) e significa “persone provenienti da Est”, vale a dire dal Tibet; per estensione è stato poi applicato alle guide e ai portatori di alta quota.

Un momento dell’ascensione verso il campo base

Steven è al campo base Sud e sta gestendo la logistica e guidando quattro squadre di scalatori. Tre tenteranno di raggiungere la vetta dell’Everest 8848 m, la quarta quella del Pumori 7161 m. «Sono formate da quindici alpinisti cinesi, otto indiani, quattro europei-occidentali. Sono europei anche i tre che tenteranno il Pumori. Con noi ci sono anche 42 scalatori Sherpa, tredici cuochi e due medici». La finestra meteo migliore per tentare di salire sul tetto del mondo è questa, quella primaverile. Il tempo è davvero buono, tanto che gli Sherpa che stanno aprendo la via alla vetta sono in anticipo di due settimane rispetto al programma. «Gli alpinisti avranno tutto il mese di maggio per raggiungerla, prima dell’arrivo del monsone». Gli chiediamo se tutti gli Sherpa sono scalatori. «No, tutti no, mio padre ad esempio non lo è. Ma la maggior parte degli scalatori del Nepal sono Sherpa». E ci sono anche, pur poche, scalatrici.

Il 2023 per l’Everest si preannuncia un anno di affluenza record. «Ci sono 450 alpinisti in attesa, con l’appoggio di circa 600 Sherpa». Le condizioni meteo favorevoli, l’effetto del dopo-Covid e quello cinese. «Più di un quarto degli scalatori sono cinesi. Pechino ha appena aperto i suoi confini ai viaggi e ci sono alpinisti che attendevano dal 2020 di poterci provare. E lo possono fare dal Nepal, perché il versante cinese dell’Everest è ancora chiuso per le scalate». In più, c’è anche il conto tondo con la storia: il 29 maggio di 70 anni fa Sir Edmund Hillary ne raggiungeva per primo la vetta. Per noi, poi, volendo, cadono anche i 50 anni della prima spedizione italiana diretta da Guido Monzino.

Per molti, è la scalata della vita. Per alcuni, come dice l’esperto americano Alan Arnetten, è «una vacanza esotica più che un’esplorazione». Almeno, per chi può permettersi di pagare il permesso e le spese della spedizione, una cifra che può oscillare «tra i 40 e i 100 mila dollari». Non è richiesta alcuna preparazione alpinistica, dal Nepal, e questo agevola il sogno. E, più prosaicamente, l’interesse. Terreno delicato, questo. «È vero che chiunque può permettersi di pagare il permesso può accedere alla scalata. Come per tutte le politiche governative, ci sono molte sfumature al riguardo…» – ammette Steven. Il quale, poi, amplia il discorso. «Queste montagne per noi sono luoghi sacri e dimore degli dèi. In un modo molto reale hanno fornito ai miei antenati pace e protezione nel corso dei secoli e hanno garantito alla mia comunità posti di lavoro e opportunità». Leggi, turismo. Gli alpinisti sull’Everest e sulle altre vette, gli escursionisti nel parco nazionale di Sagarmatha… «Penso sia importante ricordare che il Nepal è un paese molto povero e che l’Everest è il fiore all’occhiello della sua industria turistica. Il turismo oggi offre lavoro e reddito a persone di ogni ceto sociale; dai più poveri della società come i facchini ai più ricchi come i proprietari di alberghi e compagnie aeree. Le sue entrate, inoltre, finanziano anche la manutenzione di sentieri e infrastrutture, la rimozione di immondizia e rifiuti umani nei parchi nazionali e offrono alle persone un’alternativa a professioni distruttive e illegali come il bracconaggio e il contrabbando di legname».

Torniamo sull’Everest, dove lui è stato già tre volte. Gli diciamo che abbiamo negli occhi le foto degli alpinisti in fila indiana lungo l’Hillary Step, quella dello Sherpa che porta un alpinista sulle spalle… Passo falso. «Ma no! È un mito! Quella era probabilmente la foto di un’emergenza medica. Nessuno Sherpa porterebbe mai così uno scalatore sull’Everest, è umanamente impossibile». Volevamo arrivare, insomma, al punto dell’affollamento. Gli raccontiamo che in Italia si sta parlando concretamente di “numero chiuso” per arginare i flussi turistici. «Abbiamo un detto in Nepal: “non costruire una casa senza porte e finestre solo perché temi che entri un ladro”. Quindi, credo che il diritto di accesso alle montagne debba rimanere aperto a tutti, ma la soluzione sta nel gestire come tale diritto viene esercitato. Se questo vantaggio economico viene tolto alla popolazione locale, allora ci sarà un’alta probabilità che la gente del posto vieti del tutto l’alpinismo, specialmente per gli scalatori che dormono nelle proprie tende, non assumono gente del posto e non danno nulla in cambio. La domanda allora diventerebbe: perché permettiamo a un gruppo elitario di stranieri di venire a disturbare le nostre montagne sacre per la loro fama e gloria personale, senza restituire nulla alle montagne, alle persone o all’ambiente?».

Il tema dei flussi turistici introduce quello della tutela dei luoghi. «Gli Sherpa sono buddisti, sono sempre stati gentili con l’ambiente ed è persino una pratica nella vita quotidiana», ci dice Steven. Le agenzie nepalesi che organizzano le spedizioni versano per i loro gruppi una deposito-garanzia contro l’inquinamento, le autorità impongono a ogni alpinista di tornare indietro con 8 kg di rifiuti organici e inorganici. Lo provochiamo. ll National Geographic aveva definito l’Everest la discarica più alta della Terra… «È una definizione superata. Ovviamente c’è ancora spazzatura, ma non così tanta come la gente pensa. Non ce n’è più al campo base, perché ogni anno lo ripuliamo. I rifiuti che ancora troviamo sono molto vecchi e stanno emergendo dallo sciogliersi dei ghiacci». Sì, il cambiamento climatico, anche qui.

Steven ci spiega che nel 2019, 2020 e 2021 ha guidato tre spedizioni promosse dal progetto Peak Outlook finanziato dalla Fondazione Bally (azienda che nel 1953 fornì gli scarponi a Tenzing Norgay, il compagno di Sir Hillary) con cui sono stati rimosse più di sette tonnellate di rifiuti sull’Everest e su altre vette himalayane. Questa, è la sua battaglia. «Condivido con la fondazione l’impegno di preservare questi paesaggi montani e di responsabilizzare le comunità locali, a partire dalla mia degli Sherpa, attraverso un programma a lungo termine per attuare un cambiamento sostenibile. Da qui, il progetto “8x8000m” per ripulire gli 8.000 dell’Himalaya, ma anche il supporto dei ranger locali nel Kilimanjaro National Park della Tanzania. Quest’anno siamo andati anche in Georgia, dove stiamo progettando di costruire una capanna di salvataggio in alta quota, che sarà utilizzata come base sia per le operazioni di salvataggio sia per rimuovere i rifiuti dei numerosi escursionisti e scalatori che visitano l’area». Un programma, aggiunge, che «Bally ha già annunciato proseguirà sino al 2030 e che sarà esportato in diverse parti del mondo».

Steven condivide questa missione insieme con la sua comunità. Gli chiediamo allora che significhi per lui essere Sherpa. «È un privilegio incredibile e comporta molte responsabilità. Come i Masai e gli Inuit, gli Sherpa sono probabilmente una delle tribù più indigene del mondo. La reputazione degli appartenenti all’etnia di alpinisti laboriosi, forti e degni di fiducia è stata costruita nel corso delle generazioni e sentiamo l’importanza di salvaguardare tale eredità».

Un’eredità che lo sta portando di nuovo sul tetto del mondo. Ha cominciato ad arrampicare a 11 anni, a 17 ha fatto il corso di alpinismo con la Nepal Mountaineering Association che gli ha aperto la via alle vette. Prevale, a questo punto, la curiosità della persona comune. Come ci si sente ad arrivare sull’Everest? «Nel mio caso, riuscivo solo a pensare alla gratitudine verso mio padre e mia madre per avermi dato l’opportunità nella vita di essere lì. Ho sentito gorgogliare dentro di me una pozza di emozioni indescrivibili». E che serve per salire in cima? «L’arrampicata sull’Everest è una combinazione di 4 pilastri: forza fisica, forza mentale, salute e fortuna. Se manca una di queste quattro cose, non sarai in grado di arrivarci. Ma la buona notizia è che più duramente ti alleni e più ti prepari prima della spedizione, più forti diventeranno tutti questi pilastri». Il cielo, al campo base dell’Everest, è di un blu perfetto.

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Le tariffe dei permessi per raggiungere la vetta più alta del mondo, durante l’alta stagione, saliranno a 15.000 dollari a partire dal 1 settembre 2025.

Everest più caro
(ma il governo offre 97 vette gratis per due anni)
di Fabio Pozzo
(pubblicato su lastampa.it il 12 agosto 2025)

Il Nepal renderà accessibili gratuitamente 97 delle sue montagne himalayane per i prossimi due anni, nel tentativo di promuovere il turismo in alcune delle sue aree più remote. Ciò, spiega la BBC, poiché le tariffe dei permessi per raggiungere la cima dell’Everest, la vetta più alta del mondo, durante l’alta stagione saliranno a 15.000 dollari a partire dal 1 settembre: è il primo aumento in quasi un decennio. Il dipartimento del Turismo spera che l’iniziativa metta in luce “i prodotti e le destinazioni turistiche inesplorate” del Paese.

Foto: Reuters

L’alpinismo genera una fonte di reddito significativa per il Nepal, che ospita otto delle dieci montagne più alte del mondo. L’anno scorso, le quote di iscrizione per le scalate hanno fruttato 5,9 milioni di dollari, di cui oltre tre quarti per salire sull’Everest. Le vette per le quali non saranno applicate tariffe si trovano nelle province nepalesi di Karnali e Sudurpaschim e hanno un’altezza compresa tra 5970 e 7132 metri.

Le province, situate nell’estremo ovest del Nepal, sono tra le più povere. «Nonostante la loro bellezza mozzafiato, il numero di turisti e alpinisti è molto basso, perché l’accesso è molto difficile. Ci auguriamo che la nuova disposizione possa essere d’aiuto», dice Himal Gautam, direttore del Dipartimento del Turismo del Nepal.

«Possono creare posti di lavoro, generare reddito e rafforzare l’economia locale», ha affermato, come riportato dal Kathmandu Post. Ma non è chiaro se le autorità abbiano in programma di migliorare le infrastrutture e la connettività di queste aree remote, né quanto bene le comunità di queste zone potrebbero gestire l’afflusso di scalatori, se l’iniziativa “free-to-climb” dovesse decollare.

Storicamente, gli alpinisti hanno mostrato scarso interesse per queste 97 vette remote: solo 68 di loro si sono avventurati lì negli ultimi due anni. Al contrario, solo nel 2024 sono stati rilasciati circa 421 permessi di scalata per l’Everest.

L’Everest, la vetta più alta del mondo con i suoi 8848 metri, è afflitta da un forte sovraffollamento, problemi ambientali e una serie di tentativi di scalata fatali. Nell’aprile 2024, la Corte Suprema del Nepal ha ordinato al governo di limitare il numero di permessi di alpinismo rilasciati per l’Everest e diverse altre vette, affermando che la capacità di queste montagne “deve essere rispettata”.

A gennaio è stato annunciato un aumento del 36% sui prezzi dei permessi. Per chi tenta la vetta al di fuori dell’alta stagione, da aprile a maggio, il costo per scalare l’Everest sarà ora di 7.500 dollari da settembre a novembre e di 3.750 dollari da dicembre a febbraio.

Il parlamento nepalese sta inoltre discutendo una nuova legge che richiederà a chiunque voglia scalare l’Everest di aver prima raggiunto la vetta di una montagna superiore ai 7000 metri nel Paese.

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